domenica 5 agosto 2012

Sto attraversando la hall dell'università. È estate, è sera, è penombra, pochi esseri umani in giro. Le scale mobili sono lì dietro. Ma cos'è questa? Una poltrona da ufficio. Con rotelle. Mi ci siedo, do una spinta, dopo qualche attimo sono accanto alle scale mobili. Freno il movimento con un ultimo colpo di piede, ruotando lentamente su me stesso per trecentosessanta gradi. Lei per la prima volta compare nella mia visuale. Mi alzo, e accosto la poltrona al muro: l'ho trovata fuori, l'ho lasciata fuori, che ci sarà di male? Ma le scale mobili possono attendere: lei mi fa un cenno con la testa per portare via la poltrona. Afferro la poltrona, più per dimostrare la buona volontà e risparmiarmi la predica, lei mi fa cenno di seguirla. Professoressa, o assistente, sulla trentina. Vestita di nero, con questo caldo. Pare quasi un vestito da strega, le mancano solo il cappello a punta e la scopa. Nel seguirla trovo una sedia, la raccoglie. Altra sedia, stavolta la raccolgo io prima che lei ci arrivi con la mano. Cavaliere sì, specialmente quando sento aria di guai. Forse è la fatica con sedia e poltrona a rendermi sono così silenzioso e così renitente a sfuggire? Finalmente entriamo nella saletta, con tutte le sedie uguali e ordinate a griglia, vuota sebbene sulla parete in fondo ci sia la proiezione di un film. Un film di quelli che si dimenticano già prima del The End finale. Le porte della saletta sono spalancate, lei mi fa cenno di sedermi. Confuso, mi siedo, al centro dell'ultima fila, sulla sedia che avevo portato io. Lei si siede accanto a me e fissando la proiezione in fondo comincia ad anticipare le battute del film. Lui è un pirata, lei è una piratessa, e si scambiano sarcasmi. La professoressa strega li indovina tutti: sembra voler provocare un mio commento. Le chiedo quante volte ha rivisto il film, e lei mi zittisce dicendo: solo 5-6 volte. Vorrei ricordare una battuta, una sola parola, ma non ci riesco: è un film visto e dimenticatissimo. Tranne che da lei. Mi giro verso di lei. Lei si gira verso di me senza fermarsi nel citare quel dialogo a memoria. Mi guarda negli occhi e mi dice: “allora perché non mi baci?” Un attimo, solo un interminabile attimo nel quale cercavo di capire cosa stesse succedendo. Solo un interminabile attimo, prima che la piratessa del film dicesse: “allora perché non mi baci?” Il pirata la bacia, e io invece sto ancora lì, fissando la mia assistente strega negli occhi. Ma prima che potessi decidere, il rumore della pioggia mi sveglia. Devo chiudere le finestre per evitare che si allaghi tutta casa. Pioggia, ad agosto? Era solo il fogliame tirato su da una rara brezza di vento. La donna del sogno, nella realtà, era vestita di bianco. Ieri, nel tardo pomeriggio. Scende da un autobus per prendere una linea diversa. La stessa che avrei preso io. Aveva stivaletti neri aperti (stivaletti ad agosto?), un vestitino-tutù bianco, orecchini rossi a forma di teschio stilizzato e un vistoso ciondolone egizio al collo, più d'impiccio che di glamour. Borsetta insignificante e scura. Occhiali di marca, piccoli, montatura nera aggressiva. E i capelli neri lucidi e annodati. Avrei voluto chiederle: chi sei e dove vai? Chi sei, che di sabato ad agosto esci così? Dove vai, con gli autobus, nelle ore più calde del giorno? È scesa una fermata prima di me. Andava verso il corso. Mentre l'autobus ripartiva la osservavo fermarsi un attimo ad una vetrina, e poi allontanarsi lentamente. Avrebbe perso un po' di tempo a fare finto-shopping, doveva avere un appuntamento ma si è presentata con largo anticipo. Non so se la rivedrò mai più. Così accuratamente vestita (tranne le unghie, smaltate di rosso ma un po' sbiancate sulle punte) e in giro alle sei di un caldissimo sabato sera agostano, avrebbe fatto ciò che intendeva raccontare alle amiche al ritorno a casa. Metodica, puntuale, elegante, un pochino aristocratica. Bassina, molto più della donna del sogno. Ma no, non poteva avere meno di 22-25 anni. Non la rivedrò più. L'orrore del turismo è che tutto ciò che vivi, e le persone che conosci, scompaiono in remoti ricordi e al massimo qualche fotografia presto sepolta nei meandri di un computer. Nel mio sogno lei non era bassina. Nel mio sogno lei mi diceva ciò che non osavo nemmeno desiderare: “allora perché non mi baci?” Proprio in quel momento in cui non avevo a portata di mano nessun “perché”, nessuna spiegazione, proprio in quel momento lei trasformava la mia vita partendo da uno stupido film. Proprio in quel momento mi sarei lasciato andare ad un bacio. Con una perfetta sconosciuta di cui non so neppure il nome, ma di cui pochi minuti di osservazione mi hanno fatto trepidare il cuore e caricarlo -come al solito- di malinconia e nostalgia.