domenica 25 novembre 2012

Lei ha undici anni più di me. E un figlio di quattordici, o giù di lì, totalmente allergico alla scuola. Il figlio vuole lavorare, ma di questi tempi è dura. Non so se sia vedova o se sia divorziata. Non so molto di lei. Non so nemmeno se è vero quel poco che lei mi ha raccontato di sé (il dettaglio del figlio che vuol lavorare le sfuggì per caso: fino a un momento prima me la figuravo come una di quelle che invecchiano zitelle). Si era sempre lamentata di uomini che prima la corteggiano e poi svaniscono nel nulla, cosa che mi aveva fatto sospettare un suo handicap fisico. Per molti mesi era stata di compagnia. Entravo in facebook solo perché ero certo che c'era una donna con cui chiacchierare, poco importava che il suo profilo contenesse di lei solo una foto sfocata. Non mi sentivo (non mi sono mai sentito) innamorato di lei. Lei, invece, era sempre stata desiderosa di conoscermi, mi chiedeva sempre di incontrarci. Non le ho mai concesso il numero di telefono, non le ho mai detto con esattezza dove abito: prevedevo che prima o poi avrei potuto stancarmi di lei. Ora non ho più voglia di conoscerla. Non ho più voglia della sua compagnia. Mi sono stancato di lei. Ma non so come dirglielo. Non so quale scusa trovare per dirle “non voglio più parlarti”. C'è bisogno di scuse perché per una donna è assurdo sentirsi dire che non ci sono validissime ragioni per un distacco. Eppure l'uomo è fatto così.

mercoledì 17 ottobre 2012

Siccome la giustizia è ingiusta, allora le persone oneste tremano quando qualcuno le minaccia di portarle in tribunale; le persone disoneste, invece, se ne fanno un baffo delle azioni legali.

domenica 5 agosto 2012

Sto attraversando la hall dell'università. È estate, è sera, è penombra, pochi esseri umani in giro. Le scale mobili sono lì dietro. Ma cos'è questa? Una poltrona da ufficio. Con rotelle. Mi ci siedo, do una spinta, dopo qualche attimo sono accanto alle scale mobili. Freno il movimento con un ultimo colpo di piede, ruotando lentamente su me stesso per trecentosessanta gradi. Lei per la prima volta compare nella mia visuale. Mi alzo, e accosto la poltrona al muro: l'ho trovata fuori, l'ho lasciata fuori, che ci sarà di male? Ma le scale mobili possono attendere: lei mi fa un cenno con la testa per portare via la poltrona. Afferro la poltrona, più per dimostrare la buona volontà e risparmiarmi la predica, lei mi fa cenno di seguirla. Professoressa, o assistente, sulla trentina. Vestita di nero, con questo caldo. Pare quasi un vestito da strega, le mancano solo il cappello a punta e la scopa. Nel seguirla trovo una sedia, la raccoglie. Altra sedia, stavolta la raccolgo io prima che lei ci arrivi con la mano. Cavaliere sì, specialmente quando sento aria di guai. Forse è la fatica con sedia e poltrona a rendermi sono così silenzioso e così renitente a sfuggire? Finalmente entriamo nella saletta, con tutte le sedie uguali e ordinate a griglia, vuota sebbene sulla parete in fondo ci sia la proiezione di un film. Un film di quelli che si dimenticano già prima del The End finale. Le porte della saletta sono spalancate, lei mi fa cenno di sedermi. Confuso, mi siedo, al centro dell'ultima fila, sulla sedia che avevo portato io. Lei si siede accanto a me e fissando la proiezione in fondo comincia ad anticipare le battute del film. Lui è un pirata, lei è una piratessa, e si scambiano sarcasmi. La professoressa strega li indovina tutti: sembra voler provocare un mio commento. Le chiedo quante volte ha rivisto il film, e lei mi zittisce dicendo: solo 5-6 volte. Vorrei ricordare una battuta, una sola parola, ma non ci riesco: è un film visto e dimenticatissimo. Tranne che da lei. Mi giro verso di lei. Lei si gira verso di me senza fermarsi nel citare quel dialogo a memoria. Mi guarda negli occhi e mi dice: “allora perché non mi baci?” Un attimo, solo un interminabile attimo nel quale cercavo di capire cosa stesse succedendo. Solo un interminabile attimo, prima che la piratessa del film dicesse: “allora perché non mi baci?” Il pirata la bacia, e io invece sto ancora lì, fissando la mia assistente strega negli occhi. Ma prima che potessi decidere, il rumore della pioggia mi sveglia. Devo chiudere le finestre per evitare che si allaghi tutta casa. Pioggia, ad agosto? Era solo il fogliame tirato su da una rara brezza di vento. La donna del sogno, nella realtà, era vestita di bianco. Ieri, nel tardo pomeriggio. Scende da un autobus per prendere una linea diversa. La stessa che avrei preso io. Aveva stivaletti neri aperti (stivaletti ad agosto?), un vestitino-tutù bianco, orecchini rossi a forma di teschio stilizzato e un vistoso ciondolone egizio al collo, più d'impiccio che di glamour. Borsetta insignificante e scura. Occhiali di marca, piccoli, montatura nera aggressiva. E i capelli neri lucidi e annodati. Avrei voluto chiederle: chi sei e dove vai? Chi sei, che di sabato ad agosto esci così? Dove vai, con gli autobus, nelle ore più calde del giorno? È scesa una fermata prima di me. Andava verso il corso. Mentre l'autobus ripartiva la osservavo fermarsi un attimo ad una vetrina, e poi allontanarsi lentamente. Avrebbe perso un po' di tempo a fare finto-shopping, doveva avere un appuntamento ma si è presentata con largo anticipo. Non so se la rivedrò mai più. Così accuratamente vestita (tranne le unghie, smaltate di rosso ma un po' sbiancate sulle punte) e in giro alle sei di un caldissimo sabato sera agostano, avrebbe fatto ciò che intendeva raccontare alle amiche al ritorno a casa. Metodica, puntuale, elegante, un pochino aristocratica. Bassina, molto più della donna del sogno. Ma no, non poteva avere meno di 22-25 anni. Non la rivedrò più. L'orrore del turismo è che tutto ciò che vivi, e le persone che conosci, scompaiono in remoti ricordi e al massimo qualche fotografia presto sepolta nei meandri di un computer. Nel mio sogno lei non era bassina. Nel mio sogno lei mi diceva ciò che non osavo nemmeno desiderare: “allora perché non mi baci?” Proprio in quel momento in cui non avevo a portata di mano nessun “perché”, nessuna spiegazione, proprio in quel momento lei trasformava la mia vita partendo da uno stupido film. Proprio in quel momento mi sarei lasciato andare ad un bacio. Con una perfetta sconosciuta di cui non so neppure il nome, ma di cui pochi minuti di osservazione mi hanno fatto trepidare il cuore e caricarlo -come al solito- di malinconia e nostalgia.

giovedì 14 giugno 2012

La chiamavamo Linda. Forse era il suo vero nome. Chissà. Capelli alla maschietta, carattere forte e ruvido, femminilità in azione solo rare volte e solo in presenza di amiche. Ma si innamorò segretamente del più barbaro del gruppo, che per sentirsi uomo la maltrattava e la respingeva. Finché il giovane barbaro spese una parola di troppo - forse addirittura inavvertitamente - e la piantò. Lei ci rimase malissimo, pianse per una settimana (lo scoprimmo per caso dalla madre), e poi se ne fece una ragione e tornò sulla scena: aveva imparato il cinismo. Un giorno, non so come, delle bambine viziate la umiliarono. Brutto segno quando pensi che l'età maggiorenne ti renda inattaccabile dalle bambinate, e scopri che non è così. La trovai sulla piazzetta, in lacrime. Ricordo ancora quelle lacrime sfiorate dal sole, sarà stato giugno inoltrato. Era una delle rare volte che lasciava trasparire un sentimento che non fosse la rabbia. Non ho idea di cosa le avessero detto le perfide bimbette: ricordo solo che lì, alle quattro del pomeriggio, nella piazzetta deserta col solo rumore di qualche auto che passava di tanto in tanto, lei era lì a mendicare una spalla (metaforica) su cui piangere. Tentai di consolarla - fu una pessima idea ma involontariamente trovai le parole adatte per lei e le sputai fuori trecento al minuto. Non so come toccai il tasto giusto, io che non ci sapevo fare con le donne, io che non sapevo trattare il dolore (né quello sincero, né quello simulato, né quello d'abitudine), riuscii a fermare quelle lacrime prima che le attraversassero le guance. Ebbi la prontezza di riflessi di guardare altrove, più per timidezza che per cavalleria. Lei si asciugò le lacrime e andò via. E fu l'ultima volta che potei parlarle. Prima la vedevo tutti i fine settimana, ogni sabato e ogni domenica. Poi sparì dalla mia vita e non ebbi più notizie di lei. Da qualche giorno sono di nuovo su Facebook a spazzolare accuratamente tutti i vecchi contatti, e l'ho ritrovata. I lineamenti sono i suoi, ma è invecchiata molto, moltissimo, come se si fosse sposata e avesse avuto vari figli. I capelli sono quelli alla maschietta. Lavora in un gruppo di “animazione”, una di quelle stupidissime cose moderne per cui paghi perché qualcuno ti distragga con delle idiozie. Ha ancora quello sguardo ruvido e cinico. Sarei curioso di leggere nel suo diario segreto per capire cosa passò con quella delusione d'amore di cui oggi magari ha solo un remoto e confuso ricordo.

mercoledì 14 marzo 2012

Per la prima volta da quando ho aperto il blog ho smesso di scrivere per alcuni giorni. Il fatto è che sto attraversando ciò che comunemente viene chiamato “brutto periodo”, cioè quando ai guai si sommano altri guai imprevisti e improvvisi. Non è che mi mancava il tempo: mi mancava la voglia di scrivere. Per la prima volta scopro che non posso lamentarmi sul blog neppure in termini generici.

mercoledì 7 marzo 2012

Prima o poi questo freddaccio cane finirà. D'inverno aspetto l'estate, d'estate aspetto l'inverno. 365 giorni all'anno passati o aspettando che arrivino le vacanze o aspettando il temuto momento in cui, rientrato a lavorare, vengo nuovamente messo sotto torchio. Ma si può vivere senza lo stress del “domani”?

martedì 6 marzo 2012

Una delle cose massimamente irritanti? Il capo-capetto che si presenta alle 10:45 in ufficio e inveisce contro coloro che sono entrati alle 9:30 piuttosto che alle 9. Poi, mentre sta ancora inveendo, va a prendersi il suo caffettuccio. Se siamo fortunati, lo vedremo rifarsi vivo verso le 16:15 per dire: “vado via, ci vediamo domani, fatemi trovare tutto pronto! OK?” In compenso sembra quasi non fare pausa pranzo (e quando la fa, sta sempre e comunque a parlare di lavoro). Dunque, in condizioni veramente ottimali, mentre pretende almeno otto ore da noi, lui ne lavora al massimo sei e mezza.

lunedì 5 marzo 2012

Esistono persone la cui sola presenza fisica nel raggio di cento metri equivale a darti un pugno dello stomaco. La sola presenza fisica ti mette ansia, ti mette in pre-allarme, ti mette fretta e fatica, ti accende tutti i meccanismi di difesa (invenzione di scuse, preparazione di frasi di circostanza, riepilogo di espressioni verbali e fisiche della categoria “evasive”).

venerdì 2 marzo 2012

Tra le caratteristiche tipiche degli schiavisti si distingue quella del cambiare improvvisamente discorso. Provate ad immaginare cosa significa, nel bel mezzo di una discussione sulle antiche filosofie orientali, sentirsi chiedere a bruciapelo la dimostrazione di un teorema di matematica superiore. Mentre state ancora riprendendo i sensi e cambiando l'impostazione del vostro cervello da “orientali” a “matematica”, all'improvviso esige il vostro assenso ad una questione di politiche sociali. Mentre state ancora impostando il vostro dizionario da “matematica” a “politica”, vi ferma per chiedervi conto dei dettagli storici di una guerricciola ottocentesca che non avevate mai sentito nominare prima. Dietro tutto questo, ancor prima del desiderio di farvi apparire imbecilli, distratti e impreparati, cova solo l'ansia. L'ansia del capo-capetto che non appena sente che una discussione (ossia il terreno fertile dove esercitare la propria insulsa vanteria, la propria manifestazione di predominio) sta per terminare, immediatamente ne avvia un'altra, pescando a caso tra gli argomenti meno gettonati, meno interessanti e meno pertinenti. Pretendendo, da voi, una risposta adeguata a nutrire la sua boria. Per il capo-capetto conta solo manifestare (autoritaristicamente) il suo predominio, il suo status di persona importante, indispensabile, incaricata di dare ordini casuali (ma all'apparenza intelligenti) e di esigere che vengano rapidamente e perfettamente eseguiti.
Era una bellissima donna... mi aveva fatto venire i brividi di emozione... fino al momento in cui mi sono accorto che era costellata di pezzi di ferro. Un orecchino sotto la bocca. Uno al naso. Svariati sulle orecchie. Che assurdo abisso tra quel volto apparentemente acqua e sapone, e quelle protuberanze metalliche. Che assurdo, che assurdo.

giovedì 1 marzo 2012

C'era ancora bisogno di dimostrarlo? Il capo-capetto si lascia sfuggire una cosa tipo: “mi stavo per comportare come un dipendente, da coglione”.
Quella stupidissima musichetta che ronza ogni giorno nelle nostre orecchie... la suoneria del telefonino del capo-capetto, esimio spostatore di pedine umane sulle virtualissime (ed enormi) scacchiere delle sue ansie.

mercoledì 29 febbraio 2012

“Questa cosa deve essere prioritaria su tutto”, annuncia tronfio il capo-capetto. “Tu, lascia quello e lavora su questo; tu, lascia quell'altro e lavora anche tu su questo”. Siamo pedine su una scacchiera, spostabili a piacimento, all'improvviso, senza altro motivo che l'ansia del capo-capetto. “Tu, qui! Tu, di nuovo qui! Tu, cerca quell'altro! Tu, concludi questo e quello!” Il nuovo schiavismo. Un capo-capetto funge da padrone, e noialtri siamo schiavi per garantirci il tozzo di pane. Il nuovo schiavismo.

martedì 28 febbraio 2012

Sono ansioso, ma l'ansia mi resta tutta dentro. I capi e i capetti sono altrettanto ansiosi, ma sanno scaricare i frutti della loro ansia su noialtri. L'ansia non fa parte del lavoro: andrebbe conteggiata tra le malattie professionali, se solo si potesse misurare e diagnosticare prima che diventi incontrollabile.

lunedì 27 febbraio 2012

Avere un blog su cui segretamente scrivere che il capo (anzi: il capetto) batterebbe tutti i record di castronerie, diminuisce incredibilmente la pressione sui nervi. Diminuisce di poco, ma in modo comunque efficace.

venerdì 24 febbraio 2012

Quanto detesto vedere donne che parlano in modo volgare. Anche quando lo fanno in chat, nascoste da uno pseudonimo. Ma tanto si sa che le “donne in chat” sono per la maggior parte uomini che fingono di essere donne solo per provare qualche (noiosa) ebbrezza extra.
Stavolta toccava a me parlare col cliente. Il cliente mi imbottisce di paroloni, pretendendo un mio assenso. Ingenuamente -sono debole, a volte mi scappa- ho detto non so quale verbo al futuro, alla prima persona plurale, qualcosa come: “certo, analizzeremo”: in quel momento si sono girati tutti a guardarmi, con occhi torvi, uno sguardo di accusa, pronti a gridare: “come ti sei permesso”, “sei stato ingenuo e noi dovremo pagarne le conseguenze”, “volevi sentirti un grande?”

giovedì 23 febbraio 2012

Uno dei pochi argomenti che il capo usa per intrattenere i dipendenti uomini, batte sempre sullo stesso tasto: in tale azienda sono riuscito a portarmi a letto una insospettabile, da tale cliente mi son portato a letto una volta l'una e una volta l'altra delle donne presenti in zona di caccia, eccetera. Non si accorge che quando parla in tal modo ci fa capire che vende chiacchiere. Come le vende ai clienti (chiacchiere vuote, spacconerie, “faremo, vedremo, sapremo”), allo stesso modo le sta vendendo a noi. Chiacchiere. Lui distribuisce chiacchiere, ma da noi vuole i fatti. Vende al cliente una soluzione che esiste solo nella sua fantasia (e noi dobbiamo far diventare “fatti” quelle disastrate e sconclusionate fantasie), e allo stesso modo vende a noi la descrizione, variabile ma sempre uguale, delle sue fantasie erotiche (se fosse vero un decimo di quel che dice, significherebbe che le donne che lavorano in azienda sono tutte puttane a buon mercato).

mercoledì 22 febbraio 2012

Il capo non sa sorridere. Ride svaccato, ma non sa sorridere. Non sa essere umano. Vive ossessionato dal suo lavoro (che gli garantisce un ricco stipendio anche quando commette errori grossolani). Non sa “prendere con filosofia” le frenate, non si sazia mai delle accelerazioni, parla come se tutto il mondo gli stesse presentando una valanga di miracolose occasioni commerciali che per colpa di noialtri (che materialmente produciamo la ricchezza dell'azienda) non si riesce a sfruttare.

martedì 21 febbraio 2012

Quando uno ha voglia di scappare, per prima cosa corre su internet a guardare le fughe impossibili: vacanze dall'altro capo del pianeta, mezzi di trasporto costosissimi per andare lontanissimi, sistemi per diventare eremiti autosufficienti e telefonicamente irreperibili... Internet ti aiuta a sognare, ma sei sempre come in un dormiveglia, sempre pronto ad essere svegliato all'improvviso dalle fastidiosissime e inutilissime esigenze di qualche capetto in vena di dimostrare a noialtri (popolino basso e maltrattable, sebbene “fatturante”), chi comanda qui dentro.

lunedì 20 febbraio 2012

In un'azienda esistono sostanzialmente due categorie di lavoratori: il personale “fatturante” (ossia quello che materialmente produce e che oggettivamente fa guadagnare l'azienda), ed il personale “non fatturante” (ossia quello che serve a tutto tranne che a produrre materialmente ricchezza per l'azienda). Una segretaria potrebbe anche essere utilissima, ma il suo lavoro non “fabbrica” realmente ricchezza per l'azienda. Un capo potrebbe anche essere indispensabile, ma il suo lavoro non “fabbrica” vera ricchezza. Dico tutto questo pensando a quanto “impegnativo” sia il lavoro della segretaria, ossia quanto costano all'azienda le segretarie e quanto oggettivamente siano indispensabile. Stesso discorso per capi e capetti. Un esercito di “non fatturanti” che potrebbe essere facilmente e rapidamente “dimagrito”, con grande vantaggio per l'azienda e grande sollievo per noialtri “fatturanti”. Sarebbe come avere un parco veicoli, di cui i furgoni “fatturanti” sfruttati fino all'ultima goccia, ed i costosi “non fatturanti” circolanti poco e per mansioni del tutto secondarie.

venerdì 17 febbraio 2012

Quando l'aria diventa pesante, vien voglia di scappare. Quando il capo (ossia il capetto) va avanti e indietro cercando qualche pecorella da sbranare, bisogna tenersi “di basso profilo”, silenziosi, accondiscendenti, estranei ad ogni espressione di emozioni, totalmente “tecnici” ma estranei ad ogni manifestazione di dati e risultati (anche se fossero dati positivi). Come quando una pecorella attraversa la giungla, mentre il capetto si trasforma da pitone a piranha, da leone a tarantola.
In Italia i capi sono capetti. Stabiliscono cosa si deve fare, senza sapere se sia possibile farlo. Stabiliscono quanto tempo ci vuole, senza sapere come sia possibile farlo. Sarebbe come se pretendessero di vendere un romanzo best-seller impegnandosi a stento a dire come dovrebbe suonare il titolo, mentre i dipendenti dovrebbero indovinare una trama di successo, convincere un editore di prestigio, inventare un'efficace campagna pubblicitaria capace di provocare entusiaste recensioni. Quando ci chiede: “Allora, siamo pronti?” ci sta accusando di essere incompetenti. Quando ci chiede: “Quanto tempo ci vuole?” ci sta accusando di essere lenti. I capetti sono scimmioni con cravatta.

giovedì 16 febbraio 2012

Tutte le cose che in azienda non si dicono. Il cliente sapeva benissimo che quest'azienda avrebbe dovuto pagare di tasca sua l'impianto. Il cliente sapeva benissimo che l'impianto sarebbe servito solo per pochi mesi. Il cliente ha trovato dunque il modo di procurarsi l'impianto facendolo pagare all'azienda per cui lavoro. Ora, in un mondo normale, i capi si sarebbero quantomeno infuriati. Invece tutto tace, tutto resta in silenzio, tutti i sorrisi d'ordinanza spalmati su quelle facce da scimmioni con cravatta al collo. Strane bestie: quando incassano una perdita enorme sorridono; quando scoprono una perdita di un pugno di centesimi sbraitano per un mese. Strane bestie. Si direbbe che costitutivamente amino essere truffati alla grande, mentre adorano sentirsi truffatori nel piccolo. Strane bestie. E guai a chi fa presente tutto questo, guai a chi fa notare la furbata del cliente, guai a chi fa notare questo ridicolo andazzo.
Mi meraviglio sempre nel vedere che esistono persone che hanno come problema principale il come organizzare il proprio tempo libero e i propri divertimenti. Non hanno preoccupazioni sul lavoro. Si preoccupano solo della loro vita sociale e di come divertirsi, di come lamentarsi della politica, di come filosofeggiare sull'ultima delle mode... Il lavoro, per loro, consiste solo nel contare il numero di minuti che mancano al ricevere il prossimo stipendio.

mercoledì 15 febbraio 2012

Ogni tanto sogno di ritrovarmi all'università. Ha cambiato forma, è qualcosa di futuristico, ma le aule e le sale di studio sono agli stessi posti: “in fondo sulla destra”, “a sinistra del corridoio lungo”... Ricordo abbastanza bene un sogno fatto almeno due anni fa. Futuristica: le sale di studio in bianco, le aule con colori tenui e scuri. Un paio di giri all'interno e all'esterno, il tempo di ricordare che almeno un'altra volta ho sognato quei luoghi. E poi in fila per la mensa, con quel viottolo che sembrava un bazaar turco. Il piacere dell'erba dei giardini, il solo passeggiarvi al sole rendeva tutto più gradevole, conciliava addirittura il sonno. Ho il terrore che un giorno tornerò nella vera sede, veramente futuristica, nella realtà, e troverò ciò che avevo sognato ma con inclusi i brutti ricordi del periodo universitario (che nel sogno avevo semplicemente cancellato).
Uno si rende conto di essere troppo vecchio quando comincia a calcolare i giorni che gli restano da vivere e vede che sono in ogni caso insufficienti a realizzare tutto quello che aveva sempre avuto in mente fino a quel momento.

martedì 14 febbraio 2012

Sì, da piccolo avevo tanta fantasia ma pochi mezzi. Avrei voluto leggere, ma non avevo libri a parte quelli di scuola e pochi libercoli insignificanti. Avrei voluto imparare a suonare qualche strumento musicale, ma erano troppo costosi. Avrei voluto imparare a guidare qualcosa, progettare qualcosa, costruire qualcosa, ma non avevo nulla. I miei giocattoli erano contati: mi divertivo a censirli e a stabilirne le priorità, passai una volta un intero pomeriggio a immaginare di schematizzare cosa si potesse fare con quel poco di plastica idiota che avevo. Da allora mi è rimasto il desiderio di far fruttare tutto ciò che ho, inclusa la polvere sotto le scarpe. Ma è rimasto solo sogno, è restato solo una fantasia di bambino.

lunedì 13 febbraio 2012

All'inizio non ci credevo. Poi un po' ho dovuto accettarlo. Ora lo sto ridimensionando di nuovo. Molto del nostro male, mi dicevano, è causato da ciò che mangi e da come lo mangi. Mangiare in fretta, mangiare scadente, mangiare disordinato, il corpo si ribella, il metabolismo impazzisce, metti chili, perdi chili, ti senti affamato anche se sei gonfio, ti senti sazio anche se sei a stomaco vuoto da ventiquattro ore. Ma ora sto ridimensionando quel timore: al massimo è una concausa, ma non è la causa. La causa del mio male è il mio lavoro. Un lavoro che uccide i nervi. Non si può dare la colpa alla sregolatezza nell'alimentazione: sono tutte scuse. La sregolatezza è una concausa, non è la causa.
Quanto sono patetiche quelle telefonate in tarda serata da parte di un amico che si è autoincaricato di salvarti l'anima. Teme che tu possa fare qualche gesto di rappresaglia contro qualcuno che ti ha fatto del male. Teme che tu possa mobilitare, sull'onda dell'ira, qualche avvocatucolo che toglierà sonno e soldi ai due litiganti improvvisati. Teme che tu possa fare qualche idiozia e perciò mette mano al cellulare, in tarda ora, preparandosi il discorsino per farti rinsavire. Se per rinsavire bastassero discorsini e discorsetti, sulla Terra non ci sarebbero mai state guerre e neppure liti condominiali. Il moralista che fa il discorsino, anche se onesto e in buona fede, sortisce sempre l'effetto opposto. Con me sei stato fortunato: ero al bagno, non ho sentito la chiamata. Ho visto che eri tu, non ti ho richiamato perché non voglio farti spender soldi per avere come unico risultato quello di farmi saltare di nuovo i nervi. Quanto sono patetiche le telefonate degli autoimprovvisati infermieri da manicomio.

venerdì 10 febbraio 2012

Comprare un regalino per una donna che se lo aspetta è un'esperienza strana. Ti trasforma per qualche minuto. Entri di tua volontà in un negozio in cui non avresti messo piede neanche se spinto da dieci energumeni. Osservi in giro i ninnoli più assurdi senza pensare che qualcuno ti sta considerando un cretino o una checca. Ti fermi a contemplare un aggeggino che normalmente non varrebbe ai tuoi occhi nemmeno il tempo di guardarlo e dopo un po' lo porti alla cassa per pagarlo. Il commesso, con aria indifferente, chiede se preferisco una confezione regalo. Sì, esatto, incartalo in modo da creare l'aspettativa alla fanciulla che lo riceverà. Scarterà quell'inutile arnese, che hai pagato fior di euro, sorridendo per l'ansia di sapere cos'è. Eppure lei stessa sa già che in un negozio del genere si può comprare solo roba del genere. Nessuna sorpresa. Sapevi già che lei poteva intuirlo. Eppure lo hai comprato ugualmente. Sei diventato “strano” per qualche minuto. Ed ora tocca a lei essere “strana”. Questi pochi minuti di emozione, tuoi e suoi, passati attraverso un'impresa commerciale che vende ninnoli idioti funzionali solo a queste reciproche recite intitolabili “che-carino-che-carino”, parole che lei dice al costoso aggeggino e che tu, finalmente, per un attimo, puoi sognare come dirette a te.

giovedì 9 febbraio 2012

Una persona di cui ti fidi all'improvviso fa un giochetto strano. Il risultato sarà che tu ne ricaverai un danno, qualcuno dei suoi amici ne ricaverà un vantaggio, e la persona di cui ti fidavi ti dirà con una falsa aria innocente: “ma forse non mi avevi capito”. “Forse”? “Capito”? Senza altro motivo che un guadagno momentaneo, ti accoltellano alle spalle. Senza neppure pianificare, senza nemmeno progettare: arriva l'occasione, e dottor Jekyll si trasforma in mister Hyde.
Dichiarare su un blog anonimo e sconosciuto che il capo in azienda è un cretino (senza far nomi), non dovrebbe essere sufficiente per venir licenziato. Quindi lo dico, e lo dico a gran voce: è un cretino. Dirlo qui sul blog dovrebbe allentare la tensione che lui spalma sui nervi miei e di tutti gli altri suoi sottoposti. O almeno, così spero. Definizione di capo cretino: uno che crede che per migliorare la produttività ci sia continuamente bisogno di urlare che dobbiamo fare di più e meglio, trattandoci come se fossimo dei deficienti pronti a disfare la tela di Penelope non appena lui non ci vede.

martedì 7 febbraio 2012

Una ragazza seduta nella fila davanti a me. Avrà avuto vent'anni. Tanti ricci nei capelli, un fisico non proprio perfetto. Una borsa lasciata semiaperta, da cui si scorge... un santino con una “Orazione a san Giuseppe”. Più sotto qualcosa che sembra una corona del rosario tutta consumata. Vent'anni, amante della musica classica, cattolica. Mi ricorda la mia collega cattolica. Anche lei aveva quel non so cosa che la rende più attraente, più interessante, benché non proprio una fotomodella da urlo. Quel “non so che” potrebbe essere il fatto che per motivi di coscienza non è una che va di letto in letto. Non è una puttanella qualsiasi. Vent'anni, donna, non puttanella: è qualcosa che si può capire solo quando si è alla ricerca di qualcosa di molto più grande di una buona scopata. Ossessionati dall'idea di dover scopare, trombare e ancora scopare, gli uomini perdono di vista le cose della vita. E si avventurano in storie “amorose” con donne abituate a trombare qua e là, cioè abituate a tradire, e che anche quando decidono di mettere la testa a posto e organizzarsi una vita seria prima o poi ricadono nell'abitudine giovanile (cioè quella di prima della menopausa): “concedersi”, pensando di essere “adulte” e “libere” nel farlo. Una volta il matrimonio normale era sposarsi illibati. Casti. Fors'anche vogliosi di scopare, ma mantenuti casti fino al matrimonio. Sì, costava qualche fatica, però garantiva risultato. All'epoca non si diceva “scopare”, non si parlava di “trombate”, era la vita matrimoniale e basta, era il “finché morte non vi separi”. Così, dalla cosiddetta “prima volta” in poi, era un conoscersi, uno scoprire qualcosa di nuovo, di assolutamente esclusivo, qualcosa che nessun altro al mondo aveva già assaggiato. Il sesso era qualcosa di così riservato e intimo, che nessun altro al mondo avrebbe potuto sapere, capire o intuire la “magia” della prima volta, e della seconda, e della centesima, e della millesima... Ci si adeguava a vicenda, nelle caratteristiche di entrambi, le capacità, i ritmi, le delicatezze, un mondo nuovo, esclusivamente per lui e lei... Un altro pianeta, proprio un altro pianeta rispetto all'epoca odierna, fatta di trombate “da performance”, da “servizi particolari”, da necessità di “ravvivare il rapporto”, da urgenza di boicottare i ritmi naturali (con viagra, preservativi, pillole, creme, arnesi vari). All'epoca era sesso, ma da sogno. Era come arrivare a digiuno ad un pranzo luculliano (invece oggi si arriva già sazi e alla ricerca di stranezze e stuzzichini). Era qualcosa che oggi solo i più romantici possono sognare (e comunque anche i più romantici, appena sono nudi come vermi davanti alla propria donna, hanno l'urgente preoccupazione di esibire “performance”, di farla “impazzire”, eccetera: posson anche sognare, ma in fin dei conti al momento di “fare” sono uguali a tutti gli altri). Certo, oggi tante ragazze “religiose” sono in realtà volgari troiette ipocrite che cercano solo di alzare il prezzo. Ma quella lì al concerto no, non doveva esserlo, non poteva proprio esserlo. Una troietta non può riuscire a tenere con delicatezza un'immaginetta di san Giuseppe nella sua borsa (il santo della castità) senza farlo apparire un orpello da esibire.
Faceva bene Dante a mettere i traditori nel cerchio più basso dell'inferno. I traditori degli amici, i traditori della fiducia, quelli che deliberatamente approfittano della tua fiducia.

lunedì 6 febbraio 2012

Vizietto diffuso: vogliono scatenare il finimondo ma senza rischiare di essere riconoosciuti come coloro che volontariamente hanno acceso la miccia.

venerdì 3 febbraio 2012

La corsa delle illusioni, cioè la vita. Nella corsa delle illusioni vince chi è duro al punto giusto, cinico al punto giusto, intelligente e comunicatore al punto giusto... e fortunato al punto giusto. Puoi avere tutte le qualità del mondo ma se nasci nella famiglia sbagliata e nell'epoca sbagliata, dovrai avere qualche grossissimo motivo per vivere.

giovedì 2 febbraio 2012

Rileggendo antiche pagine di questo blog riscopro momenti di pure emozioni, puri sentimenti, che da tempo mi sembra di non vivere più. Mi vedo ancor più stanco e affaticato. Era un'epoca in cui lavoravo duro e mi innamoravo molto. Ora mi limito a lavorare duro, ubbidendo all'ordine perentorio di inseguire soluzioni impossibili, di risolvere problemi inesistenti, di assecondare voglie di comando. Ma non vivo più quelle emozioni di prima. Il tempo passa e sembra rallentare tutto. Il mondo va avanti ma la mia vita si ferma. Le donne che cerco di tener vicine fanno di tutto per allontanarsi da me, forse presaghe di una dichiarazione che vorrebbero sentirsi fare invece da qualche proprietario di una BMW o Mercedes, dotato di enorme stipendio, fisico da fotomodello, romanticherie da filmetto americano di serie B. Finiscono poi per innamorarsi di un disoccupato spendaccione, giocatore e cinico, beffardo e volubile. Quanto è triste l'idea che la scelta è stata libera solo se è stata irrazionale. Non vogliono un uomo che le ami, vogliono una figura televisiva da sfoggiare nei discorsini con le amiche, e poi si trovano tradite e umiliate e dimenticate e ugualmente decidono di restar lontane da me.
Per qualche misterioso diabolico motivo queste coppiette pomicianti sembrano far di tutto per farsi vedere. Vedete? Noi siamo entrati nel mondo degli Adulti, infatti facciamo cose che fino a cinquant'anni fa erano qualificate come Solo Per Adulti, vedete? E poi le facciamo non per necessità impellenti (nessuno è mai morto per astinenza da pomiciate) ma soltanto perché Facciamo Quel Che Vogliamo: sono infatti le Nostre Voglie Momentanee la legge suprema dell'universo.
La dolce voce di una donna può trasformare una bestia in un uomo. Ma oggi le donne non sanno più essere dolci. Sanno solo esser sdolcinate.

mercoledì 1 febbraio 2012

A quell'orrido buco ti ci sei affezionato. A quelle patetiche mura, ti ci sei affezionato. A quello schifoso servizio igienico, a quel miserabile cucinino affumicato, a quelle luci tremule, quei rumori fracassoni, ti ci sei affezionato. Ti sei abituato alle facce losche che ci sono in giro. Non ti dà più peso sentire le violenze (spesso non solo verbali) degli appartamenti intorno. Sei diventato silenzioso e quasi invisibile proprio per non avere rogne col vicinato. Proprio perché sai che lo sfratto è imminente. Proprio perché sai che puoi essere gettato via per far posto ad un altro disposto a pagare qualche liretta più di te. Sei stato preciso nei pagamenti dell'affitto proprio perché sapevi che prima o poi ti sarebbe stato necessario urlare: “proprio io che sono stato sempre preciso e onesto”. Ebbene, i “padroni”, cioè coloro che hanno per virtù solo il fatto di essere figli di chi ha potuto spostare ingenti somme di denaro tra mobili e immobili, i “padroni” sono sul punto di applicare il loro ultimatum, di cacciarti di casa nel modo più meschino, chiedendoti un aumento che non sei in grado di pagare. Sanno bene che non puoi ricattarli in nessun modo, perché non hai vie d'uscita, non hai scappatoie, non hai strategie e mezzi di riserva. Il Potere è questo: forte con i deboli e debole con i forti. La tua debolezza è la loro forza, ma non puoi vincere una debolezza materiale perché il povero non diventa ricco soltanto sforzandosi di diventarlo.

martedì 31 gennaio 2012

Ciò che più mi manda in bestia sono le persone che odiando se stesse finiscono per creare danno anche ad altri.

lunedì 30 gennaio 2012

Scrivo quattro pagine di relazione. Complessa, dettagliata, precisa. Metto a disposizione il testo che mi era stato comandato, con piacere, perché è una delle rare volte che mi hanno chiesto di fare una cosa impegnativa che sarebbe stata vista e usata anche da altri. Il giorno dopo una dei miei capi la utilizza e ringrazia... non ringrazia me, ma ringrazia un suo galoppino del suo gruppo per aver “sintetizzato” in mezza pagina non la mia relazione ma alcuni luoghi comuni. Daccordo: ti pare forse che i capi siano mai capaci di gratitudine? Ti pare forse che qualcuno possa ringraziare per quattro pagine di onesto e faticoso lavoro? Ti sembra forse che siano mai capaci di premiare chi merita piuttosto che premiare chi lecca?

venerdì 27 gennaio 2012

Geniale: prima si è posto come intermediario, poi mi ha detto che dovevo liberare il monolocale perché ci sarebbe venuta ad abitare una famiglia, quindi settimane dopo la “famiglia” diventa un semplice inquilino “suo amico”, infine scopro che in realtà era lui che intendeva soppiantarmi. Ho scatenato un putiferio per sentirmi dire alla fine che sarei stato io ad equivocare, sarei stato io a non aver avvisato che non volevo lasciar casa, eccetera... Tutto questo avviene per mano di quello che consideravo tra i miei migliori amici, che pensavo si fosse posto come intermediario soltanto per intraprendente spirito di amicizia. Chissà cosa aveva pianificato di fare, se fosse riuscito nella sua operazione (ancora non conclusa purtroppo!) di mettermi in mezzo a una strada per accaparrarsi questo lurido e costosissimo buco.

giovedì 26 gennaio 2012

Una volta litigai con una poveraccia perché pensando tra me e me ad alta voce, considerai che una che si è fatta scopare per anni da un uomo per poi essere mandata via da un giorno all'altro (miracoli del “convivere”) non meritava uno come me. Lei si sentì chiamata in causa (non perché tenesse a me, ma perché in nome di un imprecisato sentimento di “amore” si era fatta scopare per anni: “sai, conviviamo” andava dicendo a tutte le amiche, che la invidiavano per quell'alto coraggioso sentimento di chi vuol giocare a marito e moglie senza sposarsi... così quando lui trova un'altra che gliela dà, pianta immediatamente la precedente).

mercoledì 25 gennaio 2012

Non puoi fare un favore a uno, che il giorno dopo già pretende: “allora, è a posto?” Grandissimo idiota, invece di ringraziare che è gratis, invece di apprezzare che già ieri ha funzionato, invece di essere riconoscente... sei pretenzioso? Ma allora da oggi in poi non meriti più niente, perché mi stai già considerando un tuo schiavo... Sì, bei discorsi, sì, ma il fatto è che non posso togliergli la pacchia. Non posso rispondergli male. Non posso dirgli la verità. Troverebbe immediatamente un modo per vendicarsi. Sono quelli come lui che hanno fatto sparire dal mondo la riconoscenza e l'altruismo.

martedì 24 gennaio 2012

Ti svegli al mattino quasi gridando: “perché? perché?” Ti sdocci pensando a come sia bello tornare a letto, ma non puoi permettertelo. Ti vesti pensando a quale scusa trovare per non andare, ma non te ne viene nessuna. Esci di casa con un groppone in gola, tentando di consolarti pensando che dopotutto dopo poche ore sarà tutto finito. Arrivi lì e ti siedi aspettando il tuo turno, perché il mondo gira attorno a loro e non attorno a te. Finalmente entri, ed il losco figuro ti guarda in volto, come se stesse per dire: “ho scoperto il tuo peggior punto debole: sei finito”. Il tempo non passa mai e loro sembrano trovare ogni scusa per trattenerti più del necessario. Finalmente è finita, puoi uscire. “No, aspetti lì, un momento soltanto”. Dopo un “momento” di oltre quaranta minuti finalmente ti viene concessa udienza, quella per la quale hai bruciato mezza giornata di lavoro. E cosa ti vien detto? Proprio ciò che temevi: niente. Nemmeno un “no”. Forse pensavano che “no” sia poco gentile. Per cui i “sì” li dicono ad alta voce, ed i “no” li lasciano sottintesi. Mezza giornata di fatica per due minuti e mezzo di udienza nella quale non viene data risposta a nulla: devi capirlo tu che è un “no”. Maledetto galateo moderno.

lunedì 23 gennaio 2012

Niente è più dilaniante del trovare la foto della donna che segretamente amavi... mentre bacia un idiota più vecchio di lei... e in atteggiamento di “abbiamo appena consumato”... pubblicata da lei stessa sulla sua lurida bacheca...
Un mio sogno ricorrente è ritrovarmi in sede di esame e di scoprire di aver studiato solo uno dei cinque testi richiesti. Ho scoperto che è un genere di sogni abbastanza comune tra tutti quelli che hanno anche solo un vago accenno dell'onestà nei confronti del proprio lavoro. Chi è determinato (anche solo un po') a lavorare bene, ha tra le sue paure tipiche il non riuscire a completare o consegnare ciò che aveva promesso. Ma quel genere di sogni capita specialmente nei momenti in cui il capo pretende, dopo la scadenza, qualcosa in più di imprevedibile e di mai pattuito, mai accennato, mai comandato.

venerdì 20 gennaio 2012

Cioè, ritrovi su internet il curriculum di quel tuo compagno di classe, quel perdigiorno, quel che lasciò tutto per correr dietro a una gonnella e poi lasciò di nuovo tutto quando la gonnella lo piantò... Ed ora ha un curriculum che sembra una sinfonia di Beethoven, collaborato di qua, lavorato di là, socio lì, fellow member là, associato qui, consulente là... la prima cosa che ti chiedi, mordendoti il labbro per l'invidia, è “come ha fatto?” Poi cerchi di negare, di fartene una ragione: avrà esagerato lì, barato là, spacciato fischi per fiaschi, vendute lucciole per lanterne... E poi ancora ti rendi conto che alcune delle cose sono semplicemente irrealistiche e desideri dimostrarlo per tutte, vorresti che la sua ignoranza proverbiale dimostrasse l'insulsaggine di tutte quelle associazioni e aziende dai nomi stratosferici. Finalmente finisce l'invidia e riaccendi il cervello. Nel mio curriculum posso vantare poche cose. Durante la vita ero impegnato a vivere, non a cercare titoli e trofei. E nella scuola come nel lavoro ho appreso la più estenuante e odiosa delle lezioni: che va avanti non chi merita ma chi ha la parentela giusta. Non chi ha studiato, ma chi è stato amicone e compagnone di tizio e caio. Non chi ha lavorato per rendere realtà un progetto, ma chi ha barato con la realtà e con i progetti. Forse è ancora la voce dell'invidia. Però a guardare il mio curriculum, così scarno, così misero di fronte al suo, il primo grido che ho dentro è quello: durante gli anni della mia vita, ero impegnato a vivere, non a leccare piedi.

giovedì 19 gennaio 2012

Lo scultore Alberto (Bertel) Thorvaldsen, a ventun anni e appena premiato per un bassorilievo, trova un conte che gli procura i mezzi finanziari per la prosecuzione dei suoi studi. E oggi? Dove sono oggi gli scultori? Dove sono i mecenati? Vediamo solo puttanelle di lusso. E mecenati del loro ventre.
Facilissimo innamorarsi della donna sbagliata. Quella ti ha fatto sentire qualcosa, vedere qualcosa, subodorare qualcosa... e tu pensi di averla in pugno. Come tutti gli altri a cui ha fatto udire, mirare, annusare qualcosa. E in quei banalissimi gesti decenti tu, come tutti gli altri, hai costruito un intero film d'amore con tanto di scene di sesso e finale felice, come i milioni di film che hai visto dalla tua nascita fino ad oggi. Ma lei non cerca un uomo. Lei cerca solo attenzione. Vuole essere al centro dell'attenzione. Vuole sentirsi amata da tutti, desiderata da tutti, sognata da tutti. E tu non sei altro che una pedina sulla sua scacchiera, alla quale lei non è affezionata per niente: può sostituirti con una qualsiasi altra pedina, o semplicemente accettare l'idea di avere una pedina in meno. Vivete in due mondi paralleli, tu e lei: lei nei suoi sogni, tu nei tuoi. La sofferenza, però, è reale.

mercoledì 18 gennaio 2012

L'ometto si aggiustò gli occhiali con un gesto stizzito e gridò, in modo da farsi sentire dai passanti sconcertati: “gliela faccio vedere io! la legge è dalla mia parte! ora lo sistemo per bene, dovrà piangere amaramente per quello che mi ha detto! in galera, lo sbatto, in galera! conosco tanti di quegli avvocati, che tra un minuto la sua vita diventerà un'inferno, per sempre!”

martedì 17 gennaio 2012

Tra duemila anni, gli storici che vorranno dare un nome a quest'epoca la chiameranno con ogni probabilità “il secolo dei falsi sorrisi”. La dottoressa, al colloquio, mi sorrise e mi pose come prima domanda una cosa che non c'era scritta da nessuna parte, con l'evidente scopo di mandarmi via. La padrona di casa, sorridendo, mi dice che tra pochi mesi dovrò sloggiare. Nel primo caso, le mie fatiche, le mie capacità, i miei sforzi, valevano zero ancor prima che entrassi lì, perché aveva già deciso di eliminarmi. Nel secondo caso, l'esser sempre stato preciso nei pagamenti (a costo di rinviare spese più urgenti, incluso il cibo), valeva zero ancor prima che io potessi rispondere, perché lei aveva già deciso di sfrattarmi. Quando il boia ti portava alla ghigliottina non sorrideva. Non assumeva quell'espressione di chi decide del tuo destino a prescindere da te, dalla tua onestà nei suoi confronti, dalla tua correttezza, dalla tua preparazione, dalle tue fatiche. Sei solo una inutile, sacrificabilissima pedina del loro grande gioco.
Siamo così scemi che la rappresentazione del divertimento altrui viene forzosamente considerata equivalente al divertimento nostro. Lo vedo in particolare quando dei ragazzi giocano a palla, e degli spettatori osservano la partitella addirittura emozionandosi e identificandosi. Sarebbe come se uno, per saziarsi, mi guardasse mangiare. Dopo, in realtà, avrà più fame di prima.

lunedì 16 gennaio 2012

La stanchezza che ho addosso necessiterebbe di un paio di settimane di ferie a cominciare da questo momento. Ma non ho nemmeno un paio di minuti. Non basterebbe a lungo. Il fatto è che questo lavoro è odiosamente stressante. Ci vorrebbero due settimane di riposo ogni due o tre giorni di lavoro.

venerdì 13 gennaio 2012

Era costruito di proposito. Erano giovani e si divertivano: ecco cosa veniva rappresentato. Giovani spensierati: e chi guarda quel film si immerge, si identifica, sogna, va fantasticando anche molto tempo dopo aver visto il film. Eppure non era vera felicità: erano attori che recitavano una parte. Non era vera gioventù: nessuno degli attori aveva davvero l'età che recitava. Non era vero divertimento, perché tutto era costruito, tutto era eseguito, tutto era programmato, come se fossero state marionette. Quanto ho odiato quel film, eppure... quanto ero stato desideroso di vederlo. Maledetto film, maledetta finzione, maledetta recitazione, maledetti venditori di sogni.

giovedì 12 gennaio 2012

Anche stavolta mi è capitato. Sarà almeno la terza volta. Lei che con voce minacciosa si chiede retoricamente se io non abbia fatto il “doppio gioco”. Un banale qui pro quo mi fa accollare ai suoi occhi colpe terribili, delle quali sono totalmente innocente. Il vero colpevole, da lontano, ci guarda e se la ride. Ed io non sono in condizioni di poterlo accusare: accusarlo, significherebbe dar credito all'idea che in realtà il vero colpevole sarei proprio io. Lei mi guarda e chiede, retoricamente: “non sarai mica stato tu?” Qualsiasi cosa rispondi, verrà intesa come “sì”. Anche il silenzio. Non solo questo mondo è pieno di ingiustizie. Ma è pieno anche di punizioni che ricevi nonostante tu sia completamente innocente.
E così è andata a finire che lui si è imposto a lei, ed ora lei ne soffre. Oh, pene d'amore! Che in realtà sono debolezze. Non è amore ciò che è fondato sull'imposizione di uno all'altra.

mercoledì 11 gennaio 2012

Dimmi cosa ti fa infuriare e ti dirò chi sei. Oggi abbiamo assistito alla scenataccia di un uomo che ha perso la calma perché ha sentito dire che si può arrivare casti al matrimonio. Non è che ha inveito contro la religione: stava in realtà inveendo contro le sue paure. Il suo terrore più nero è di non poter “godere” al più presto.

martedì 10 gennaio 2012

Sono fortunato con le donne in questi giorni. Fortunato nel senso che un'altra si risveglia e mi contatta. Un SMS per augurarmi una buona giornata. Ancora non so cosa risponderle. Auguro altrettanto? Come si fa a rispondere ad un SMS inutile? Mi sentirei un ipocrita. Non posso essere sincero con lei. Dovrei dirle: voglio scoparti e poi dimenticarti, a meno che non mi venga voglia di scoparti di nuovo. Ecco, questo passa per la testa agli uomini. Lei vuole la storiella d'amore tutta stelline e cuoricini, e l'uomo vuole scoparla e dimenticarla (finché non gli torna voglia, per poi ugualmente dimenticarla più di prima). Tranne poche squallide stupide, le donne tengono più ai sentimenti che al sesso. Mentre gli uomini -tutti, anche i più sentimentali- tengono più al sesso che ai sentimenti. Questa diseguaglianza matematicamente dimostrabile conduce al mondo di delusioni, di mancate corrispondenze, di amori a sensi unici. Conduce a quei fastidiosissimi SMS a cui pur arrovellandoti in ogni modo, non sai proprio cosa rispondere.

lunedì 9 gennaio 2012

Una donna in chat propone di incontrarmi e io scappo. Qualcosa mi dice che lei, proprio lei, ha strane intenzioni. Vuole riversarmi addosso i suoi fallimenti, vuole qualcuno che la ascolti piangersi addosso, cerca un uomo al quale parlare continuamente dei suoi ex. Non me lo ha scritto, ma non riesco a non pensare che sia così. Qualcosa mi dice che è proprio questo che cerca: un uomo a cui riversare addosso gli errori che ha commesso mentre era perfettamente cosciente di commetterli, magari dandogliene un po' di colpa perché non sa ascoltarla.
Un'amica scrive sulla sua pagina qualcosa che suona come: “bimbo in arrivo”. Sorride maliziosa, spera che noi pensiamo che lei sia andata al letto col suo fidanzatino un numero sufficiente di volte. Naturalmente si trattava del nipotino, ma lei inconsciamente ci teneva a far sapere di essere sessualmente attiva e orgogliosa di farsi scopare da colui che prima o poi la tradirà.
Una delle cose che più mi danno raccapriccio sono le tesi di laurea. Leggere una tesi di laurea è come entrare in un mondo chiuso, un mondo in cui l'autore tratta elegantemente ogni più piccola quisquilia del pelo del cammello, ma non ha mai visto un cammello di persona, magari neppure in fotografia. Sfogliando anche in formato PDF una tesi di laurea, avverto l'odore di aule polverose, di studenti sull'orlo di una crisi di nervi, di fogli di carta che strisciano sotto penne e matite, di sbadigli e di ipocrisie, di sigarette e di isterie, di canzonette e di imprecazioni contro il prof di turno che ha cambiato le carte in tavola all'ultimo momento. La tesi di laurea è qualcosa destinato ad essere dimenticato il minuto dopo che si è usciti dalla discussione. Qualcuno, avventatamente, ne fa una bandiera d'orgoglio: ma è un azzardo, perché chiunque abbia frequentato almeno un anno l'università sa benissimo che ciò che hai descritto e creato non nasce da una tua passione, ma dal modo più efficiente che hai trovato per assecondare i tuoi professori, per cavare il miglior voto possibile con la minor fatica possibile, per toglierti dai piedi quell'ostacolo burocratico ed avanzare di carriera. Per questo le tesi di laurea sono raccapriccianti. Descrivono, con gran pompa e gran burocrazia, ciò che in teoria doveva nascere dalla sete del sapere, ciò che in teoria doveva nascere dalla passione per la realtà, ciò che in teoria doveva qualificare il meglio di ciò che sei, ed invece non è altro che una recita, un gioco dalle parti, una finzione ipocrita funzionale ad un riconoscimento burocratico.

giovedì 5 gennaio 2012

Trovo in chat una donna disposta ad incontrarmi per un caffè. Ancora non sai niente di me e già mi inviti per un caffè? O hai qualche serio problema (in cui ti crogioli o da cui pretendi di sfuggire utilizzandomi come animale da compagnia) oppure sei una “professionista” che adesca il cliente. In entrambi i casi non fai per me.

mercoledì 4 gennaio 2012

Quanto mi fanno arrabbiare certe notizie. Una donna intelligente, sana di mente, dopo otto anni con un uomo viene mandata a quel paese. Vero è che a lei non è troppo dispiaciuto separarsi dal bellimbusto. Però, dai, otto anni! Otto anni si è fatta scopare a più non posso, si è fatta dire “tiamotiamotiamo”, si è fatta usare e abusare senza limite. Ed alla fine lui ne ha noia e la manda via, e lei è finalmente contenta di non dover subire più la routine. Ma una donna così “usata”, che cosa può mai rappresentare per il suo “prossimo” uomo? Otto anni, dico: otto anni insieme, senza che lui mai accettasse di sposarla, senza che lui mai accettasse di starle accanto “finché morte non vi separi”. Vi ha separati la noia. L'hai usata e l'hai gettata via: bravo, che eroe! Ti ci vorrebbero otto anni di carcere durissimo per capire quanto hai straziato la vita di lei. E se lei ora è contenta, la cosa non ti assolve da nessuna delle tue irresponsabilità. Che rabbia che provo nel sentirmi raccontare fatti come questo. Che rabbia il non potermi presentare da lei dicendo sinceramente: “prova piuttosto con me, io ti posso essere fedele per sempre”. Non sarei sincero. Non potrei vivere una vita intera con lo spettro di quegli otto anni del “lui” col quale verrei confrontato “finché morte non vi separi”.
Succede spesso che proprio coloro che difendono un ideale siano i primi a meravigliarsi che qualcun altro possa credervi.

martedì 3 gennaio 2012

Lo schema tipico del drogato è quello del “dai, ancora un po', dai, un po' di più, non posso arrendermi proprio ora...” Anche dell'alcolista. Anche dell'erotomane. La polizia è lì che lo guarda, la moglie è lì accanto che lo osserva, e lui ha già dimenticato il mondo, svende tutto il mondo per una dose, per un'altra dose, per un granello di “roba” in più, pur sapendo di non essere come un serbatoio che dopo un certo quantitativo si sentirà pieno e soddisfatto. La mente viaggia altrove, pretende di sognare, mentre la realtà silenziosamente urla la sua presenza.
Il consumismo è tutto lì: l'adolescente viziato che riempie il piatto di pietanze e poi ne mangia poco più della metà, pensando di essere considerato un bambino qualora mangiasse tutto. Qualcuno deve avergli “insegnato” che l'uomo adulto è quello che promette ma senza alcuna intenzione di mantenere.

lunedì 2 gennaio 2012

Recentemente ho commesso l'errore più infame, quello che auguro ai miei peggiori persecutori. Nel presentare tutti gli esattissimi motivi per cui un certo incarico non si può fare, ho espresso all'ultimo momento una mia opinione: “secondo me” (già bastavano queste due parole per condannarmi) “è inutile mobilitare sforzi e persone” (errore! errore! queste parole giudicano l'operato di un imbecille senza dimostrare, in modo comprensibile ad un imbecille, la sua imbecillità). L'errore è stato tanto più infame in quanto, a distanza di meno di un giorno, ciò di cui avevo espressamente negato l'esistenza, si è rivelato esistente e a portata di mano. Ciò che io dicevo faticoso per mesi, diventava accessibile in un giorno o due. Mi sono insomma giocato, per lungo tempo, tutta la (pur magra) reputazione che avevo faticosamente accumulato in tanti anni. Quella merda del capo, una vera volpe, anzi, una serpe, ha evitato di rispondere. Ha conservato il mio appunto, pronto a tirarlo fuori quando aprirò di nuovo bocca: vedete? lui è quello che ha da opinare sulle decisioni che noi autorevolmente prendiamo, lui è il disfattista che pensa -senza dimostrare- che noi sbagliamo, lui è quello che crede di sapere più di me e addirittura più di quell'altro lì che ha duecento dipendenti... Quella sera non riuscivo a dormire. Alle due di notte ancora mi rigiravo nel letto. Il giorno dopo un silenzio tombale su tutta la faccenda non fece altro che farmi bruciare ancora di più i nervi: la sera pure continuai a rigirarmi nel letto fino alle due. La sconfitta totale continua a farsi sentire. Assorbire una autoinflitta bastonata come quella, restando in mezzo ai lupi che sorridono perché sanno che la potranno riutilizzare contro di te almeno per diecimila volte, richiede un tempo lunghissimo, richiede di cambiar aria.