lunedì 31 gennaio 2011

La vita di un single è sempre piena di rimpianti. Ogni tanto riaffiora dai ricordi qualche scena da film sentimentale. Come quella volta a casa di lei: una visita di cortesia, un raccontarsi piacevole, uno scambio di opinioni sull'innamoramento e sulle belle cose della vita. Ad un certo punto, non so come, ci fu il silenzio. Un silenzio dolcissimo, senza parole, con i cinguettii chiaramente udibili dagli alberi del parco e quella brezza leggera che ci accarezzava. Ci scambiammo uno sguardo involontario, come per chiederci a vicenda “e ora dì qualcosa tu”. Uno sguardo di quelli che ti restano impressi per tutta la vita. Per un attimo fui tentato di dirle “ti amo”. Sono certo che me lo avrebbe voluto dire anche lei, forse perfino prima che glielo dicessi io. Ricordo ancora quei suoi occhi. Sono passati tanti anni. Lei non abita più lì. Chissà dove è oggi. Chissà in quale casa abita, con quale marito e quali figli. Poteva essere la donna della mia vita. Non so perché non aprii bocca. Non fu mancanza di coraggio, non fu dovuto a considerazioni e ragionamenti. Fu uno di quegli errori che sembra che li commettiamo solo per poterli rimpiangere per il resto dei nostri giorni.

venerdì 28 gennaio 2011

La TV ci aiuta a sognare ma ci impone i modelli da sognare. L'uomo deve essere bello e ricco, altrimenti non è uomo. La donna deve essere bella e seducente, altrimenti non è degna di considerazione. L'ipotetica vicina di casa che guardava quella stessa fiction romantica che guardavo io, non è né bella né seducente. Ma era capace di un amore spontaneo, semplice, limpido: proprio ciò che io desidero. Io non sono né bello né ricco, ma mi sento capace di un amore spontaneo, limpido e semplice. Ma la TV ci impone di sognare entro quei confini. Una donna normalmente mi rifiuterebbe per il mio aspetto fisico e per la mia poco invidiabile situazione economica. Un uomo normalmente rifiuterebbe una donna fisicamente poco attraente (ma per le donne è più facile trovare un uomo, perché l'uomo non riesce a stare da solo, non ce la fa a stare senza una donna, non resiste a stare senza almeno pensare al sesso). Varranno più i modelli proposti dalla TV o vale di più la vita concreta? Varrà di più la qualità maschile di infischiarsene dei difettucci femminili, oppure bisogna assolutamente cercare la donna perfetta, bella come una fotomodella?
Raccontano storie per far sognare il telespettatore. Non riesci a resistere: vuoi sapere come va a finire. Ma oggi mi rendo conto che in realtà mi interessa trasportare quel sogno nella mia vita. Una mia ipotetica vicina di casa avrà visto la stessa puntata in TV: mentre lei sognava di trovare un uomo, io sognavo di trovare una donna. Ci saremmo potuti incontrare, no? La TV invece non ci fa incontrare. Ci fa solo sognare. Non risolve il problema, ma illustra un “come sarebbe bello se”. Lei sognava, io sognavo, ci separava solo un muro. Lei vedeva le stesse immagini che vedevo io, io sognavo di essere il protagonista, lei sognava di essere la protagonista. Io sognavo un amore spontaneo e appassionato, lei sognava un amore spontaneo e appassionato. Il muro ci divideva, ma il sogno era pilotato nella stessa direzione dalla stessa trasmissione televisiva.
Distrazione di massa. L'industria che fabbrica i sogni non ha mai lavorato tanto e non smette mai di lavorare. Sognare, distrarsi. Quel telefilm stupidissimo mi ha incantato. Sognavo anch'io un amore spontaneo e puro come quello. Per distrarmi, per non pensare al fatto che ancora non ho una donna, sognavo con quel telefilm. Sapevo che era un telefilm. Sapevo che era una storia inventata. Sapevo che nella realtà è tutto tremendamente diverso. Eppure sognavo, e non riuscivo a smettere di sognare. Volevo distrarmi e avevo accettato l'idea che il telefilm potesse aiutarmi a sognare. Armi di distrazione di massa: chissà quanti altri avranno sognato con me, ognuno nella sua casa, uomini e donne soli.

giovedì 27 gennaio 2011

Il soffitto delle nostre case è sempre brullo e desolato. Eppure è ciò che guardiamo di più quando siamo distesi (cioè quando desideriamo riposo, fisico e mentale). Come sempre, le cose più essenziali per la nostra vita sono oggettivamente trascurate, le cose più delicate e più potentemente produttive sono lasciate al caso. Abbelliscono l'inutile e lasciano desolato l'essenziale.
Ti accorgi che stai diventando vecchio quando ti ritrovi a fantasticare di capitare in un anonimo negozietto di fumetti usati e di trovarvi tutti gli albi che ti avevano entusiasmato da bambino, comprarli in blocco, faticare nel caricarli nel furgone, sudare nel trascinarli tutti in casa e rinchiuderti in camera circondato da loro, dopo aver spento cellulari telefoni radio e sveglie e sprangato porte e finestre e lì, in pigiama, accovacciato sul tappeto, iniziare a rileggerli uno per uno, dal più datato in poi, con calma, leggero, in pace... e poter piangere liberamente, senza freni, senza vergogna, senza testimoni, nel ricordare che questo albo ti fu sequestrato per punizione, quest'altro fu distrutto dalla cuginetta, quest'altro fu perso durante quella gita in campagna, e tutti questi altri furono gettati via perché eri adulto, e provvedesti tu stesso a sbarazzartene, addirittura convinto di fare una cosa da vero adulto. Ma di tanto in tanto qualche sbiadito ricordo riaffiorava nella mente e provavi nostalgia, e la massima nostalgia era nel ricordare il piacere di sfogliare quelle pagine, il momento in cui potevi comprare un nuovo albo, il religioso silenzio con cui leggevi ogni pagina incluse le pubblicità, e di quando ricominciavi a leggere lo stesso albo un attimo dopo averlo finito... Ricordi che riaffiorano alla mente, pagine e pagine di fumetti che impreziosivano ogni minuto del tempo che non era occupato dai fardelli del Dovere (scuola, lavarsi, mangiare, eccetera). Oggi di tutti quei fumetti ci sono solo ricordi e lacrime. Ci sono solo reminiscenze e singhiozzi. Furono lezioni di vita anche nelle più banali storiette. Furono una valanga di sorrisi e un fiume di emozioni. Furono tra le migliori gioie della tua gioventù. Oggi sono solo sbiaditi ricordi, che appaiono casualmente nella tua testa nei momenti più disparati. Hai passato una quantità di ore a sfogliare quelle pagine, che se davvero trovassi quel negozietto anonimo con tutti i fumetti della tua gioventù, avresti bisogno di passare anni interi chiuso in camera a rileggerli con calma e gusto, per evitare che un'ubriacatura di bei ricordi possa stancarti già dopo le prime migliaia di pagine. Smetti finalmente di fantasticare del negozietto e della cameretta perché ti viene uno strano dolore: tutto ciò che ha allietato la mia giovinezza è davvero perduto? Tutto il dolore concentrato in ogni lacrima, tutta la mia storia, tutti i miei anni passati tra sofferenze e momenti di gioia, sono destinati a confondersi nell'insignificanza? Ognuna di quelle vignette, ognuno di quei fumetti, ognuno di quei brevissimi ma intensi momenti felici, è destinato a rimanere un ricordo sempre più sbiadito e sempre meno significativo? Ogni mia lacrima è destinata a confondersi tra le insignificanti e tutte uguali gocce della pioggia?
Un amico mi farebbe conoscere una donna. Mi procurerebbe un incontro informale e la possibilità di rivederla. Questo sì che è un amico, penso. Mi dice che non devo essere schizzinoso. Alquanto carina, la donna: su cosa dovrei essere schizzinoso? Poi scopro il resto e allora divento non schizzinoso ma schifato e infuriato.

mercoledì 26 gennaio 2011

Mi telefona un amico dopo tanto tempo. Mi chiede come sto. E come vuoi che stia? Una paga misera, un lavoro monotono, il mobbing, la solitudine, la mancanza di una donna. Mi dice che dovrei essere contento. La mia paga è misera ma è certamente più alta dei cinquanta euro settimanali (in nero e straordinari inclusi) di quella commessa del negozio. Un lavoro monotono, sì, da robot, certamente, ma almeno posso svagarmi mantenendo perfino un blog. Il mobbing, hai ragione, è vero, ma non è più la persecuzione della scorsa primavera. La solitudine, e chi non è solo? L'unica cosa per cui avrei diritto di lamentarmi è che mi manca una donna. L'unico argomento che mi riconosce come valido.
Ricordo della scorsa estate: una donna con le gambe depilate male. Lei si sarà vergognata tantissimo (ma era troppo tardi per tornare a casa e rimediare). Avrà pensato che gli uomini, tutti gli uomini, specialmente i più belli e più interessanti, avranno pensato: ma che orrore, che vergogna, che bruttezza... No, cara signorina, gli uomini sono assai tolleranti sui piccoli difettucci fisici femminili. Più di quanto non crediate. Le vostre paure sono infondate. Nelle chiacchierate goliardiche tutti gli uomini pretendono la donna perfetta e statuaria. Ma nella vita reale sono capaci di innamorarsi a prima vista anche di una donna depilata male. Anche di una donna con abiti fuori moda. Anche di una donna con scarpe tutt'altro che modaiole. Anche di una donna con peluria di troppo sul viso. Anche di una donna spettinata e con l'ultimo shampoo risalente alla settimana scorsa. Gli uomini si sforzano di complimentarsi con te per quelle che considerano emerite inutilità, come quello smalto idiota sulle unghie o come quegli insulsi pendagli al collo e alle orecchie.
Non sono quegli orecchini a farti bella, e neppure quell'anellino. La borsetta, poi, non sapevo neppure che l'avevi con te. Hai speso tanto tempo e tanti soldi per farti bella, ma ai miei occhi eri già tanto attraente (e con la borsetta e gli orecchini e l'anello e lo smalto sulle unghie, ti garantisco che la mia opinione di te non è affatto cambiata).

martedì 25 gennaio 2011

Prima si fa tanto sacrosanto baccano contro la pedofilia. E poi? E poi vedo bambini maliziosi nel linguaggio e nei gesti, come se avessero visto già tanti film “vietati ai minori”. Infanzia maliziosa e incuriosita troppo presto dal sesso rispetto alla maturazione fisica, psicologica e affettiva. Infanzia maliziosa, proprio ciò che delizierà i pedofili. La colpa è del sistema educativo attuale, centrato sulla televisione. Tempo fa ho visto una delle fonti di quella malizia precoce: un telefilm per adolescenti (così si presentava) con varie scene di fidanzatini (o aspiranti tali) che si trastullavano in preliminari da film “solo per adulti”. Mancava solo l'immagine esplicita, ma il resto c'era tutto, si capiva fin troppo bene. Il telefilm era catalogato per ragazzi, veniva trasmesso alle dieci del mattino in giorni in cui non c'è scuola, pertanto lo poteva vedere chiunque, specialmente i più piccoli. La diseducazione al sesso, l'irresponsabilità, il presentare quelle cose come indispensabili per chi vuole sentirsi adulto, è peggio della pornografia. E soprattutto crea l'humus ideale per quei maledetti pedofili.
Sono contrario alla pena di morte, ma per i pedofili si può e si deve fare eccezione. Se la meritano.
La madre, sgomenta, finalmente aveva scoperto l'Osceno Segreto della figlia. Cosa fare? Come evitare i tribunali e gli assistenti sociali? Cosa fare per non farsi disprezzare dal vicinato e dai parenti? Come continuare a vivere senza etichette? Tutta la libertà che aveva dato alla figlia aveva condotto a questo terribile risultato. “Dove ho sbagliato? Perché proprio a me?” Il giorno dopo i giornali ne avrebbero parlato con falso scandalismo e con vera prurigine. Avrebbero raccontato i dettagli, soprattutto quelli inventati, con falso sdegno e con vera malizia. L'esperto avrebbe pontificato dalla sua colonna per dire che no, non si deve, non si può, non si deve, mentre i lettori avidi dei particolari più raccapriccianti avrebbero scorso rapidamente le righe in attesa di qualche altra rivelazione. I giornali avrebbero amplificato lo scandalo fino a stuzzicare le fantasie più perverse delle persone più deboli. Chissà cosa ne avrebbe pensato l'impiegato comunale che abita nel vicolo: già due volte ha ricevuto visite delle forze dell'ordine, e nei gossip da supermarket si sentiva dire che era stato per qualche scandalo su internet... magari lui stesso metterà su internet le notizie e le “foto in tema” per allargare lo scandalo, per vendicarsi di quel che era stato detto contro di lui. Come fare, come andare avanti? Fino a ieri era una madre tranquilla ed emancipata, da oggi è appena caduta nel baratro, e il tritacarne mediatico ha appena cominciato a sminuzzarla.

lunedì 24 gennaio 2011

Il vecchio saggio mi racconta cose che mi lasciano a bocca aperta. Da piccolo non aveva privacy, se non quella che gli era concessa dalla distrazione (o dalla magnanimità) degli adulti. Oggi invece c'è tanta di quella privacy che per capire che tuo figlio si droga devi assumere un investigatore privato.
Quando l'uomo fa lo schizzinoso vuol dire che ha paura di essere rifiutato dalla donna che intende avvicinare. Certe volte capita anche a me...

venerdì 21 gennaio 2011

Basta poco per capire che è un blog scritto da una donna. Descrive una sua amica in questi termini: non si lava, porta scarpe coi tacchi senza riuscire però ad essere sexy, i suoi vestiti sono ciarpame da mercatino rionale, i capelli sono orrendi, muove in modo strano i piedi. Questa è proprio la tipica lista di cose a cui un uomo fa poco caso. Per un uomo i tacchi sono “sexy” solo se li indossa una fotomodella, per il resto neanche se ne accorge. Per un uomo la donna che non si lava è quella che puzza assai più di lui, senza contare che molte di quelle che la donna identificherebbe come “puzze” per un uomo potrebbero essere odori non del tutto sgradevoli. Per un uomo i capelli di una donna sono passabili anche se sono a spazzola di schiena di topo; non ricordo di aver mai provato schifo per i capelli di una donna al di sotto dei sessant'anni. Per un uomo il movimento dei piedi è orrendo solo quando sta per ricevere un calcio nelle parti basse: i tic di una donna, a meno che non si tratti della vecchia isterica rompiscatole del condominio, sono generalmente un particolare che stuzzica curiosità, nel peggiore dei casi un dettaglio puramente statistico. Le donne diventano matte di rabbia su dei particolari secondari.

giovedì 20 gennaio 2011

No, non posso amare una donna che in attesa del mio “sì” mi tradisce. Non posso amare una donna che considera lecito tradire l'uomo che ancora non si è deciso a dirle “ti amo”.
Per la quarta volta ha rifiutato un posto di lavoro perché sito troppo lontano dalla fidanzata. Stupido idiota: alla fine dei conti è proprio la lontananza fisica da lei a metterti in condizione di poter essere accanto a lei. Non puoi restare eternamente oscillante tra precario e disoccupato: prima o poi avrai da fare i conti con tutto ciò che adesso stai evitando. In nome della seratina con la fidanzatina sei riuscito a cancellare quasi tutto ciò che ti avrebbe permesso di averla come moglie.

mercoledì 19 gennaio 2011

No, non è successo niente di grave. Solo problemi tecnici di internet, di computer e di ossessiva sorveglianza sui dipendenti.

giovedì 13 gennaio 2011

La signorina del bar sulla sinistra della strada che scendeva verso il centro aveva una scollatura da sogno. Nel senso che i maschietti imbecilli quelle scollature le sognano, come se non avessero mai visto una donna. I maschietti meno imbecilli forse non le sognano, ma le guardano. Guardai anch'io quella scollatura mentre la barista mi passava il caffè. Aveva un'espressione distratta, come se fosse abituata a farsi guardare, come se il far vedere la sua scollatura fosse parte dei “servizi” offerti dal bar. Ripensando a lei mi viene una gran tristezza, come se risentissi i pensieri di tutti gli avventori del bar. Una donna così si “ammira” solo in funzione dello spettacolo (e magari della prestazione) che vogliamo che ci offra. Non è più una donna da ammirare, non è un cuore da amare, non potrà mai essere la donna che ti sta accanto nei momenti di dolore e di sofferenza: era solo una donna da utilizzare, era solo un oggetto. Quando c'era il pudore, ci sarà stata anche la bigotteria, ma si poteva ancora guardare una donna ammirando tutte le caratteristiche, non solo la merce sessuale messa in esposizione.

mercoledì 12 gennaio 2011

Lei gli pose una specie di ricatto. O portiamo alla luce del sole questo nostro fidanzamento oppure ti lascio. Ma qualche anno dopo aver dichiarato a tutto il mondo alla luce del sole quel fidanzamento, lei trovò una scusa per lasciarlo ugualmente. Se un amore ha bisogno di ricatti, vuol dire che non è amore. Se un amore ha bisogno di menzogne, piccole o grandi che siano, vuol dire che non è amore, ma è solo un comodo stare insieme. Lei aveva tutte le ragioni di questo mondo a voler essere “ufficialmente fidanzata”. Ma il fatto stesso che ebbe la forza di pretendere così perentoriamente quel passo significava che non era un “amore” ma uno “stare insieme”.
Certe cose vengono “bestemmiate” senza capirle. Credono di darsi un tono inveendo contro ciò che non conoscono. L'unica tradizione che abbiamo conservato dai nostri nonni sono solo quelle parole che non comprendiamo più. Proprio come i bambini che per sentirsi al centro dell'attenzione dicono parole di cui non afferrano nemmeno lontanamente il significato. Come se fossero parole magiche. Sanno solo che quelle parole generano strane sensazioni agli adulti.

martedì 11 gennaio 2011

Pensava a lei quasi ogni giorno. Senza muovere le corde vocali, ma con la bocca spalancata come se stesse urlando, immaginava di chiamarla a gran voce e di sentire l'eco solitario in mezzo a quelle ruvide pareti in cemento grigio. Lei naturalmente non rispondeva. L'ultima volta che aveva sentito la sua voce era stato due anni fa. Di frequente architettava qualche complessa giustificazione per chiamarla, ma poi lasciava perdere perché sapeva che lei avrebbe capito che era tutta una scusa. Lei non ne voleva più sapere di lui. Amici sì (ma con un grosso distacco), e nient'altro. Più passava il tempo e più la distanza aumentava e più si facevano complesse le costruzioni di fantasia su come incontrarla, come parlarle ancora, come dirle che la amava e che era pronto a tutto per lei. Ma lei non ne voleva sapere. Aveva riempito un intero quaderno con le poesie scritte per lei e con i disegni in cui si figurava i posti degli incontri romantici con lei. Si era ripromesso di darlo alle fiamme quando avesse saputo che lei aveva un uomo. Ma un giorno, dopo aver fantasticato ancora di incontrarla capì che aveva ideato un altro piano impossibile, si disse “nemmeno questo funzionerebbe” e strappò malamente il quaderno. Prese i fiammiferi e diede fuoco lì nella ceneriera. Rise un po', pensando che le lacrime che aveva cominciato a versare poteva giustificarle col fumo.
Stamani mi domandavo quanto tempo avesse passato la gentile signorina davanti allo specchio e alla cassettiera del trucco. Un restauro in piena regola, senza economia di mezzi. Non doveva essere un'occasione importante perché era abbigliata in maniera normale (cioè idiota: la tipica “eleganza femminile” oggi consiste nell'abbigliarsi da cretine). Siamo nella società dei trucchetti. Sul catalogo trovi il prezzo “iva esclusa” e nella metro trovi la signorina tutta truccata.

lunedì 10 gennaio 2011

Scena finale del film: il super buono vendica la propria moglie e i propri figli ammazzando con somma ferocia il super cattivo. Titoli di coda. Uscita dal cinema. I parenti del super cattivo fanno ammazzare i parenti del super buono. Nella vita reale la faida finisce solo quando non c'è più nessuno da colpire e ammazzare. Nei film finisce dopo una novantina di minuti, con l'inevitabile scena della vendetta finale.
Dai, non dire così. Da ragazzi abbiamo tutti sognato di essere degli eccellenti chitarristi e di eseguire una performance tale da far innamorare di noi la bellina della classe. Ma queste cose succedono solo nei cartoni animati e in qualche film di Disney.

venerdì 7 gennaio 2011

Poche cose sono noiose come una festa di compleanno. Come sempre, uno degli invitati è al centro dell'attenzione con le sue battute, i suoi racconti, le sue barzellette. Si consumano delizie preconfezionate: Coca Cola al sapore di bottiglia di plastica, pizza al sapore di preconfezionato, birra al sapore di lungo-periodo-in-frigo, dolci al sapore di supermercato. Nella banalità generale buona parte dei maschi cerca di osservare la scollatura di qualche femmina (con questo freddo trovano modo di esporre pezzi del proprio corpo), come se non avessero mai visto una donna in vita loro. Qualcuno più scoppiato tenta miseramente di farsi bello agli occhi di qualcuna più timida, nella disperata (e molto remota) speranza di fidanzarsi entro fine serata. Le coppie già fidanzate si scambiano effusioni che sanno di plastica più dei bicchieri, solo per mostrare a tutti di essere una coppia (dunque solo per vanità e per noia). Finalmente viene il momento finale della torta, dello spegnimento delle candeline e della fastidiosissima canzonetta di auguri. Dopo l'ennesima recita (quella dei convenevoli finali), finalmente si può tornare a casa. Tornavo con la pancia terribilmente gonfia. Ho ottemperato ad un obbligo sociale, un inutile obbligo sociale. Ho partecipato alla fastidiosa colletta per il fastidioso regalo (costoso e inutile). Che terribile noia, che orrenda messinscena, che squallida recita di frasi fatte. Tornando a casa col ventre che scoppiava (forse ho mangiato tanto solo per non essere costretto a dir qualcosa) ripensavo a quante altre feste di compleanno avrei dovuto ancora subire in futuro prima di potermi emancipare da quel nauseante obbligo sociale. Non ci sono ancora riuscito, ma per fortuna la quantità di feste obbligatorie è diminuita molto.
Sogno sempre qualcosa. Desidero sempre qualcosa. Ho sempre voglia di qualcosa. Mi manca sempre qualcosa. Ho sempre nostalgia di qualcosa. Specialmente quando raggiungo un risultato, soprattutto quando mi accorgo che ho ottenuto una delle cose che volevo fino a un attimo prima. Ma se davvero ottenessi tutto, questa mia sete si placherebbe? O almeno: si ridurrebbe? No. Mi volterei dall'altra parte, uggioso e annoiato più di prima, dicendomi: “bene, ed ora?”
Quante decine di volte ho riascoltato quella stupida canzone. Non decine, centinaia. Quante volte ho ascoltato quelle stupide parole che raccontano di una stupida infatuazione. Quante volte ho involontariamente recitato quelle stesse parole, in preda all'ottundimento e alla noia. Sono diventato un ripetitore di quello stupidario con cantilena. Uno stupidario costruito su una musichetta da cantilena, attorno alla quale c'è un enorme vortice di denaro. Se sono troppo sentimentale, se su questo blog scrivo troppo di affari di cuore, è perché ho ascoltato milioni di canzonette d'amore come quella.

giovedì 6 gennaio 2011

Robin Hood era un ladro. Volevano spacciarmelo per eroe ma sapevo che era un ladro. Ruba ai ricchi per dare ai poveri ma i poveri furono poi subito rintracciati dalla magistratura mentre i ricchi intentavano cause miliardarie e Robin Hood scappava. Un giorno Robin Hood ebbe un incidente sul “lavoro”: fu la sua fortuna, perché il ricco che stava per essere derubato non poté suonargliele di santa ragione.
Mi torna in mente di quando eravamo così vicini e di quando ci ripromettemmo di andare un giorno al mare, insieme, per goderci la spiaggia e le conchiglie, per abbrustolirci al sole e spugnarci di acqua salata. Non ci andammo, ma in quei cinque minuti che ne parlammo entrambi così entusiasti, ci siamo riempiti di ricordi. Ancora oggi è come se rivedessi le foto di noi due al mare. Chissà dove sei oggi. Chissà se sei mai stata al mare. Chissà se hai qualche conchiglia nel tuo portaoggetti sul comodino. Chissà quale è l'uomo che ti dice “ti amo” tutti i giorni. Chissà.

mercoledì 5 gennaio 2011

Leggo sul muro della stazione che un “ragazzo bellissimo” cerca “ragazze bellissime”. Quella scritta è l'espressione di una solitudine idiota. Vuole entrare nel club di quelli che dicono “no, oggi non posso, sapete, la mia fidanzata mi chiedeva di”. Quel “bellissime” non è un requisito fondamentale, ma è solo un modo di elogiare le ragazze che lo contatteranno (qualora ne esista almeno una). In questa strana epoca di strano libertinismo, di ossessiva socializzazione, di internet e telefonini, la solitudine regna incontrastata. Viene nostalgia delle epoche in cui il pudore regnava sovrano, le epoche in cui (così dicono) la bigotteria imperava, perché la solitudine non esisteva, l'anima gemella la si trovava sempre. Erano epoche in cui a vent'anni si era già sposati e con figli, anche se non si era bellissimi. Si era sposati con una donna magari non bellissima ma certamente fedele. E se pure non riuscivi a trovare una donna, te l'avrebbero trovata amici e parenti. E siccome il matrimonio era considerato sacro e indissolubile, l'amore sarebbe sbocciato anche con una sconosciuta, perché lui e lei erano protetti dalla società e dai familiari, e sapevano tutti cosa significava quel “finché morte non vi separi”. Si diventava nonni a quarant'anni, con ancora tutta la vita davanti e senza rimpianti sulla propria gioventù. Oggi invece tutti possono “scegliere”. Oggi tutti possono scopare prima del matrimonio. Oggi tutti possono tutto, ma sono invasi dalla solitudine. Forse era meglio nell'epoca dei bigotti e del pudore: lì, almeno, volente o nolente, a vent'anni avevi moglie e figli, mentre oggi a trenta sei ancora single e a quaranta sei un triste divorziato.
Quanto odio i Favolosi Anni Sessanta. Dopo mezzo secolo ripropongono ancora quelle canzonette stupide. Negli anni Settanta le riproponevano, negli anni Ottanta le riproponevano, negli anni Novanta le riproponevano... La stupidità è rimasta. Le canzonette successive ai Favolosi Anni Sessanta sono ugualmente stupide, ma almeno c'è più ritegno a chiamarle Favolose.

martedì 4 gennaio 2011

Per quel dolore alle gambe, le basterebbero esattamente quei quindici giorni di cura. Perché non ci va? Non può dire “costa troppo”. Non ci va per pigrizia. Non ci va perché ha paura delle cure. Non ci va perché ha paura di spendere quei soldi. Viviamo immersi in paure irrazionali giorno per giorno. Un pomeriggio intero a rimpiangere la monetina da un euro perduta alla stazione (ci fa ribrezzo il volto della donnaccia che si sarà avventata sulla monetina)... e poi bruciare una banconota da dieci euro per una stupidata qualsiasi di cui non ricordiamo più nulla. Paura e sdegno per una monetina da un euro e nessun rimpianto per la banconota da dieci, cento, cinquecento che vola via per un'inezia. Sono le paure ad ingrandirci e ridurci il valore dei pochi soldi che ancora abbiamo in tasca. Le costa quindici giorni di cure, e passi; ma il costo in euro la spaventa e la terrorizza, perché “con gli stessi soldi potrei”. La paura ha anche un nome: “con gli stessi soldi potrei”. Poco importa il dolore alle gambe: “con gli stessi soldi potrei”. Una vita piena di paure (anche se già smentite, restano paure) e piena di “potrei” (anche se mai realizzati, restano sempre dei “potrei” che minacciano di entrare in azione).
La signora ha i suoi acciacchi, non ce la fa più a tener testa al figlio bamboccione. Deve già dirsi fortunata, perché il bamboccione si contenta di internet piuttosto che di serate con gli amici: un mese di abbonamento internet costa meno di una serata al pub. L'acciaccata donna ha fatto di tutto per far emergere il bamboccione, ma il mercato, l'economia, la finanza, hanno annullato e ridicolizzato gli sforzi di un'intera vita, più della stessa bambocceria del figlio. La signora sa che il suo funerale si avvicina di pari passo alla rovina definitiva del figlio, ma non è consolata dal vedere le varie strade prese dai figli delle sue coetanee.

lunedì 3 gennaio 2011

“Hai paura di farti vedere in giro con me?” Sì. Ho paura perché so che per te l'andare al cinema non significa vedere un bel film ma significa dare spettacolo, mettersi in mostra, vendicarsi di qualcosa o di qualcuno, far sapere a tutto il vicinato con chi stai andando e insinuare chissà cosa ad uso di chissà chi. A trent'anni hai deciso di essere una donna imprevedibile, cioè hai deciso di ritornare ad essere la bambina capricciosa che sei sempre stata, ma stavolta con una marcia in più. Ma forse ti comporti così solo perché hai paura di scoprirti innamorata di qualcuno. Hai paura di contraddire l'idea di eterna zitella che da anni ti sei autoimposta. Sul timore di apparire incoerenti si potrebbe riscrivere l'intera storia dell'umanità.
Gli hanno rubato il ciclomotore. La notizia non è il furto. La notizia è che lo aveva pagato (forse ancora non ha finito di pagarlo) con la misera paga da garzone. Vorrei che ogni ladro, prima di rubare qualcosa, venisse messo a confronto con le conseguenze di ciò che farà. Ma è un desiderio stupido, perché il criterio del ladro è “rubare quel che capita, facendo attenzione solo a non essere beccato”. Ecco perché vengono derubati solo quelli incapaci di una reazione sproporzionata. Neppure il drogato completamente rimbambito oserebbe toccare il Mercedes dell'avvocato penalista. Ma il Mercedes del cardiologo sì, studiano per mesi il modo di penetrare nel box senza far scattare l'allarme. Sono due Mercedes uguali. Al primo serve per darsi un tono, al secondo serve per correre in sala operatoria con qualsiasi condizione meteo e in qualsiasi momento lo chiamino. Al ladro non interessano queste sottigliezze. Andrà a derubare il secondo perché sa che il secondo non avrà mai tempo da buttare per vendicarsi. Al ladro basta l'occasione per rubare e l'idea di rischiare poco. Come per quel vecchio ciclomotore.
Un cartellino con su scritto: “Love Your Work, Work Your Love”. Cioè: ama il tuo lavoro, ma lavora su ciò che ami. Appassionarsi al proprio lavoro è un'arte difficile e sempre più rara. Oggi ci si appassiona solo nel momento in cui si pianificano le vacanze.