martedì 31 maggio 2011

Non sempre sono stato respinto dalle donne. C'era una volta Teresa, che si infatuò di me. Avevamo ventidue anni. Poche cose, a quell'età, riescono ad essere piacevoli come l'avere una coetanea che si è invaghita di te. Uso di proposito i termini “infatuò” ed “invaghita”. Quando si sbilanciò e mi lasciò capire che le piacevo, capii in un istante che nei tre secondi successivi mi giocavo tutto. Era una mattina di sole, di primavera, la luce dalle finestre inondava ogni angolo, c'era tanta gente in giro ma noi lì sulle scale sembravamo gli unici nel raggio di cento chilometri. Due secondi: mi gioco tutto. Per non tradire la fretta, non la guardai direttamente negli occhi. Con la massima tranquillità possibile, le chiesi se ci si poteva conoscere meglio. Con un grande sforzo cacciai via dalla testa tutte le ipotesi su quanto fosse stata giusta o sbagliata quella risposta. Lei annuì, mi salutò e sgattaiolò giù per le scale, lasciandomi un sorriso che mi sciolse il cuore. Risalii le scale in fretta, perché avevo il cuore a mille e dovevo aspirare il cielo nei polmoni per vincere la tensione (e soprattutto trovare un angolo dove poter gongolare senza essere visto). Fu una delle ultime volte che vidi Teresa. Nelle settimane successive comparve solo due o tre volte, aveva fretta, sembrava sempre distratta da qualcos'altro. Ventidue anni di età. Dopo qualche mese riuscii fortunosamente ad ottenere un numero di telefono fisso dove poterla rintracciare. Col cuore che batteva all'impazzata le telefonai e le chiesi come mai non si fosse più fatta viva (senza però alludere a quella conversazione da sogno che avemmo sulle scale), mi disse che era stata molto impegnata e declinò ogni altro invito ancor prima che potessi aprire bocca. Disperato, le chiesi se le andasse di vederci una domenica pomeriggio ma lei, che aveva già deciso di chiudere tutto, rispose freddamente: “no, non è il caso”. Una pugnalata al cuore. Mentre le lacrime già mi affioravano dagli occhi, la salutai con una voce musicale e gentile e riattaccai la cornetta. Solo allora mi resi conto che lei, un minuto dopo quella conversazione al sole, doveva aver completamente cambiato idea su di me. Non so come, non so perché. Cambiato completamente idea. Scomparsa del tutto l'infatuazione. Hai un uomo che ti ha detto di sì, hai capito bene che in questi sei mesi non ha fatto che pensare a te, e lo hai piantato un minuto dopo che lo avevi conquistato. Eravate fatti l'uno per l'altra. Per qualche attimo restai lì imbambolato, sul corso, a poca distanza dalla stazione, prima dell'incrocio, sotto un lampione fulminato, con un cielo nero che minacciava di diluviare da un momento all'altro. Teresa. Mi domando quante altre volte sospirerò ricordando il tuo nome.
“Se continui così, resti zitella” recita il simpatico articolo pubblicato lì sopra. Le donne lo leggono con avidità. Eppure il titolo è assai offensivo: significa che una donna dovrebbe accontentarsi del primo “decente” che trova. Ma il proverbio “chi si contenta gode” è una delle più grandi menzogne mai esistite.

lunedì 30 maggio 2011

In un vecchio cartone animato c'era una scena fantozziana: era circolata la voce che al capo piacesse il budino, e tutti i dipendenti si precipitarono alla sua festa portando in dono budini di tutti i colori e di tutte le misure. Entrando nel salone il gruppo emise un sorrisone sincrono, dicendo tutti con voce giuliva “buon compleanno!” Il capo si gira verso di loro e dice: “anche voi? ma chi è quel cretino che ha messo in giro la voce che mi piacerebbe il budino? bah, gettateli lì, insieme agli altri”. Questo è proprio il tipo di nobilità che sa farsi odiare, è proprio il tipo di autorità che sa farsi odiare. Non è nobiltà ma aristocrazia, cioè ricchi idioti che comandano solo in quanto ricchi. Non è autorità ma autoritarismo, cioè persone che comandano non per autorevolezza ma solo perché sono state poste lì a comandare. Quella scena (così come i film di Fantozzi) non mi ispirò nessuna risata. Solo un dolore dentro, come di una trave piantata di forza nello stomaco, poiché quella scena l'ho vista mille volte nella vita reale, in tutte le sue varianti, con la costante fissa del capo seccato e dei dipendenti umiliati.

venerdì 27 maggio 2011

L'intorpidimento della popolazione è tale che tutti sono contenti di poter esternare le proprie proteste alle persone che li circondano, ma pochissimi sono disposti a tirare le conseguenze o almeno a fare un decimo di ciò che minacciano.
Il modo in cui le persone ridono descrive perfettamente alcuni dei più intimi tratti del loro cuore. I due che vivono lì al corso hanno una risata consistente nello sforzo di pompare aria dai polmoni verso la bocca. Una risata sforzata, tirata fuori per necessità più che di cuore. Il primo socchiude gli occhi e ridacchia come una iena. Il secondo spalanca la bocca e lascia quasi uscire gli occhi dalle orbite, e ride come una tromba guasta. Sanno ridere, ma non sanno veramente sorridere. Perfino quando scherzano tra di loro stanno in realtà eseguendo un rituale, stanno eseguendo l'operazione-risata, stanno pompando aria dai polmoni non per vero e sano divertimento ma solo pro-forma, solo per espletare un compito.
Scena da autogrill: l'autobus scarica una cinquantina di persone, per lo più anziane, che accorrono verso le latrine, trovandovi appena venti metri di fila al bagno delle donne. Al bagno degli uomini la fila è più breve ma la puzza è quasi da svenire (e meno male che li disinfettano ogni sera).

giovedì 26 maggio 2011

Una donna che soffre per dei mali che non si è inflitta lei stessa, ai miei occhi è una donna più attraente. “Attraente” è una parola che oggi indica solo le solite curve. Ma nel suo significato originale indica “qualcosa che ti attrae”. Il mio cuore è più vicino ad una donna sofferente, poiché la sofferenza è un'ingiustizia profonda, e sento come giusto l'esserle vicino e (per quanto mi sia possibile) tentare di alleviare la sua sofferenza. Che, se si tratta di solitudine, è anche la mia sofferenza. La solitudine è una delle peggiori ingiustizie, e almeno per buona parte è un'ingiustizia perpetrata da questa società e dai suoi astrusi canoni sull'amore, sull'amicizia, sulla lealtà, sulla fedeltà. Pare facile parlare di “lealtà” o “amicizia” e poi scoprire che dopo tanti sterili e fumosi proclami, la società schiaccia te e tutti quelli che come te hanno creduto in quei valori. Amare una “donna che soffre” non è solo un mio desiderio personale: è anche questione di giustizia. Quella donna con i capelli castani, che soffre per quella terribile malattia, non merita il presunto amore di quel dandy. Merita piuttosto il mio amore sincero. Quel dandy la tratta come un pupazzetto di peluche ed è certamente pronto a piantarla. Io non la tradirei mai, lui l'avrà già tradita. Io non la lascerei mai, lui gioca a fare il duro perché gli piace tenere le redini e far mordere il freno. Alla sofferenza fisica di quella donna, lui aggiunge la sofferenza del cuore: proprio il contrario di ciò che farei io. L'ho detto: è una questione di giustizia. Ma agli occhi di chi conosce il travaglio del mio cuore (e del cuore di lei), le cose stanno bene così. Cinicamente dicono: lei non lo manda via e perciò merita di soffrire anche sul piano sentimentale. Solo io, che le voglio bene sinceramente, soffro insieme a lei.

mercoledì 25 maggio 2011

Stupida, non ti accorgi che lui ti chiama solo quando ha voglia di utilizzarti? Ti sei autoconvinta di amarlo, in realtà lo assecondi solo per poter dire tra te e te: “visto? lo amo”. Quelle rare volte in cui non gli hai potuto dire di sì, lui aveva già pronta la pollastrella di rimpiazzo: mentre tu ti crucciavi per non averlo “amato abbastanza”, lui si trastullava con quell'altra donna, stupida come te. Amare non significa lasciarsi sfruttare sorridendo. Amare non significa assecondare lo squallore dell'egoismo altrui.
Quasi cinquant'anni fa un giovanotto vanesio e ambizioso voleva far carriera nel mondo dello spettacolo. Gli impresari gli fecero cantare una canzonetta, organizzando tutto in fretta e furia. Piccolo successo. Oggi quella canzonetta ancora compare tra i programmi radio e TV. Non ho idea se il giovanotto di allora sia ancora vivo, oggi avrebbe più di settant'anni. Certe cose della vita, anche se fatte distrattamente, a volte prendono il sopravvento e ci qualificano per il resto dei nostri giorni. Magari a lui non gliene importa niente di ciò che diceva esattamente in quella canzone, ma per tutta una vita ha dovuto cantarla, ascoltarla, ricantarla e riascoltarla, in tutte le salse, fingendo che quella canzonetta lo qualifichi e lo descriva. Nauseante.

martedì 24 maggio 2011

Il mondo è pieno di regole non scritte. Non vengono scritte perché non erano state ideate. Quella che anzitutto non viene scritta è la filosofia di progetto. L'energumeno dell'esercizio commerciale si avventa furioso sul cliente: “no, non si può fare”. Ma non c'è scritto da nessuna parte che non si può fare, e comunque io ho già pagato. “No, non è previsto, ci sarebbero problemi tecnici”. Ma io ho già pagato per questo servizio, e comunque non sto facendo niente di illegale. “No”. Il mondo è pieno di statuti non scritti, perché ci sono tante cose a cui pensare e nessuno dei gestori aveva mai immaginato che un cliente potesse fare in quel modo. La loro filosofia di progetto, non scritta ma molto chiara, è spillare quanti più soldi possibile ai clienti: ogniqualvolta ci sia il rischio di non spillare adeguatamente, un energumeno si precipita a dichiarare (con tono finto-gentile ma vero-seccato): “no, non si può fare”.
La prima cosa che lei mi ha chiesto è se avessi un lavoro fisso. Sì? Bene. Seconda domanda: hai un'automobile? No. Peccato, cocco: non ti amo più, non ti potrò mai amare. Ma come? Che c'entra l'auto? C'entra, cocco, c'entra: con cosa vorresti scarrozzarmi in giro a far shopping, coi mezzi pubblici?

lunedì 23 maggio 2011

All'improvviso ti accorgi che quel sito web è scomparso. Non risulta più raggiungibile. Due settimane, tre settimane, scomparso nel nulla. C'erano tuoi contributi, lì sopra, c'era ancora vita (poca, ma c'era). Dopo alcune settimane comparve l'indicazione che il dominio era disponibile per l'acquisto. Quel sito web è scomparso. Quasi senza lasciar tracce. È come quando viene a mancare una persona onesta ma con poche relazioni sociali: funerale sbrigativo e poco partecipato, e il resto del mondo che sembrava averla già dimenticato da tempo. Scompare un sito web con tutti i miei contributi dentro. Quando si cancellano i dati da un computer non si fa nessuna fatica. Si azzerano in un attimo vite e fatiche, gioie e dolori, senza nessuna fatica, senza praticamente consumare elettricità. I miei contributi, cioè parte della mia vita, sono consegnati al nulla: nemmeno io stesso ricordo più quanto avevo scritto lì dentro. Resti paralizzato e spaventato, un senso di vuoto e di angoscia, a pensare che se sparisse la piattaforma blogspot allora da un momento all'altro sparirebbero tutte queste pagine che ho scritto ed a cui sono ormai affezionato, perché mi hanno davvero liberato di tanto peso dall'anima.
Il capo mi chiede se quella sua irrealizzabile idea si può realizzare, e addirittura mi chiede quali vantaggi potrebbe portare. In parole povere, avrà sciorinato qualche idiozia estemporanea a quelli del marketing ed ora viene da me sorridente e deciso a comandarmene la realizzazione, pretendendo addirittura di sapere a quali “vantaggi” presenti e futuri porterà (vuol dire che neppure quei tonti del marketing l'hanno bevuta tutta). Metto in azione tutta la mia intelligenza e tutta la mia creatività, ma c'è poco da fare: un'idiozia è sempre un'idiozia, anche se ci infili in mezzo tutti i paroloni pomposi (ciò che fanno ordinariamente proprio quelli del marketing). Il capo mi guarda con un'aria di superiorità e di seccatura: “a questo sapevo arrivarci anch'io”, dice a voce alta, in modo che lo sentano tutti. Umiliarmi non servirà a migliorare la tua idea idiota. Umiliare un sottoposto è il modo migliore per disattivargli tutta la creatività e l'inventiva di cui in questo momento hai bisogno (e di cui fai finta di non aver bisogno). Ma quell'idiozia è davvero troppo idiota, è davvero impossibile cavarne qualcosa di decente. Il capo va via sbuffando e pestando i piedi sul pavimento, come a manifestare la sua seccatura. In realtà la sua seccatura è di non essere riuscito nè a trasformare l'idiozia in idea geniale, nè a scaricare la colpa su qualcun altro. Ho poco da festeggiare, comunque, perché presto tornerà all'arrembaggio, coinvolgendo altri, alzando il tiro, accampando scuse e inventando spiegazioni che meriterebbero, più che uno sbadiglio, una risata. Così vanno avanti le aziende italiane. Gli incompetenti comandano, i competenti devono assecondarli (cosa che tipicamente li costringe a non utilizzare la propria competenza, la propria intelligenza, la propria creatività).

venerdì 20 maggio 2011

Per tutta una vita desideri sposarti e vivere il resto dei tuoi giorni con una donna che ricambi il tuo amore. Per tutta una vita vedi sfuggirti le migliori occasioni di dichiarare il tuo amore ad una donna, perché il suo cuore batte per qualcun altro, oppure perché pensa di poter amare solo chi è completamente diverso da te. I giorni passano subendo umiliazioni nel lavoro, umiliazioni dalla società, umiliazioni dalle persone che ti circondano: ogni giorno che passa è un giorno in meno che vivrai con la tua donna (ammesso che un giorno la troverai). Qualcuno più debole di te si è arreso, ed hai visto quanto stupida è stata la sua decisione e quanta ulteriore sofferenza gli è costata.

giovedì 19 maggio 2011

Ero giovane ed entusiasta. Quel che avevo letto sulle riviste mi aveva convinto: anch'io potrei essere dei loro, anch'io come loro, anch'io a poco a poco potrei entrare nella loro categoria, ed essere un rispettato membro di qualche gruppo, anche piccolo gruppo. C'era uno anche più giovane di me che in qualche modo aveva avuto accesso ai primi Grandi Segreti. Era l'unico Rispettabile Membro che potevo contattare e perciò feci il primo timido passo per conquistarne la fiducia, un po' come quando l'adolescente fa il primo timido passo verso la bellissima ragazza di cui è perdutamente innamorato. Il Rispettabile Membro mi pose tre o quattro domande, alle quali risposi con fervore e con la maggior intelligenza possibile, la maggior dimestichezza possibile, i maggiori distacco e disinteresse possibili, tanto che non mi resi conto che la prima domanda mi era stata posta con aria saccente e dalla seconda in poi erano concentrati di sarcasmo e cinismo. Alla fine di questo esamino mi bocciò con uno zero profondo e fragoroso, chiudendo il contatto e sparendo nel nulla. Per qualche minuto, come stordito, tentai di capire cosa fosse successo. Ero giovane ed entusiasta, ero sinceramente interessato, avrei potuto (e voluto) imparare ciò che non conoscevo, ero disposto a far la gavetta, non poteva mandarmi via così. Sembrava che già durante la prima domanda avesse chiamato un suo collega, forse superiore a lui di grado, per dirgli: guarda questo idiota, guarda questo leccapiedi, tenta di farsi bello perché noi lo si accetti nel nostro club esclusivo, guarda: come possiamo umiliarlo? Oggi sono adulto e quelle stupidate non mi interessano più. Non mi attrae più l'appartenere a qualche gruppo più o meno “esclusivo” di “rispettabili” membri. Mi resta solo uno dei tanti amari ricordi: l'essere stato preso in giro, freddamente, sadicamente, da uno che non era più intelligente di me, ma solo più ricco di me.
Quelle donne vogliono essere attraenti e si dispongono in fotografia in maniera da essere richiamo sessuale. Poi magari si iscrivono anche ai gruppi facebook contro la violenza sulle donne, contro gli stupri, contro la pedofilia... sarebbe come se i drogati si iscrivessero ai gruppi facebook contro la droga. Cioè ipocrita, oltre che inutile. Non è misoginia affermare che le donne vestite in modo provocante... provocano. Metti le tue foto su internet e non puoi immaginare quanti le vedranno e quando le vedranno. Dopo anni che avevi dimenticato quelle foto in cui ti presentavi come puttana, la foto può giungere agli occhi di qualcuno che ha gravi problemi e magari anche gravi precedenti penali. Soddisfatta? Per farti vedere “sexy” (sperando in un improbabile Principe Azzurro, che mentre ti guarda il culo pensa in realtà al tuo cuore) sei riuscita invece a far tremare la mano di un esercito di idioti di tutte le età. Povera scema.

mercoledì 18 maggio 2011

C'è la foto di un famoso ecclesiastico sul giornale, con una lunga intervista. Non me ne importa niente della chiesa, perciò leggo ugualmente l'articolo. Leggo con la remota speranza di trovare qualcosa di cui accusarlo, qualcosa su cui dire ai colleghi: “ecco, vedete?” Invece non trovo niente. Tante chiacchiere fumose, tanti concetti espressi con una quantità enorme di inutili parole, sinonimi, ripetizioni, tante inutili chiacchiere. Diluviare parole è tipico di chi non vuole parlare oppure non ha niente da dire. L'ecclesiastico lì non ha assolutamente nulla da dire: perciò inonda di parole l'interlocutore. Che pena dev'essere stata per l'intervistatore il trascrivere quelle chiacchiere. Che pena dev'essere per i lettori che si ostinano a leggere l'intervista: “è un ecclesiastico famoso, dunque dirà qualcosa di importante”: e invece no, non dice niente di importante, anzi, non dice proprio niente, e per dire questo “niente” usa una valanga di parole. Ma allora a cosa serve? Perché gli è stato concesso un alto grado ecclesiastico se è incapace di far altro che aereare la sua ugola? Ecco: è un'altra prova del suicidio della chiesa cattolica. O non sono stati capaci di capire che è un inetto (per cui la gerarchia diventa un'accozzaglia di dilettanti allo sbaraglio) oppure è stato scelto proprio perché è uno che parla tanto senza dir nulla (e allora la gerarchia ha semplicemente tradito il suo scopo). Se fosse un luminare della matematica, pretenderemmo che ci parli di matematica, no? Vorremmo che ci facesse capire qualcosa della matematica, no? Se un luminare della matematica parlasse di concetti fumosi che con la matematica non c'entrano praticamente per niente, lo seppelliremmo sotto una montagna di sbadigli e lo dimenticheremmo del tutto. Invece il famoso ecclesiastico guadagna un'ampia intervista dopo l'altra, dove non dice niente di niente.
“Fervono” i “grandi preparativi”. Quando si pronunciano queste parole, si tenta di dare importanza a ciò che non ne ha. Si tenta di rendere emozionante ciò che non lo è. Si tenta di spacciare per grandioso ciò che è ordinaria amministrazione. Si vuole trasformare la noia in passione e la fretta in entusiasmo. L'Italia è piena di minuscoli stupidi eventi preceduti da “grandi preparativi”, perché l'Italia televisionata è piena di gente che vuole spettacolarizzare tutto, compresi i preparativi (che diventano “grandi” e che perciò “fervono”). Quando “fervono” i “grandi preparativi” c'è sempre qualcuno che dirige, organizza, comanda: lavorare no, perché lui deve dirigere, organizzare e comandare. Quando “fervono” i “grandi preparativi” c'è la bassa manovalanza (come me) che suda sette camicie agli ordini di un autonominato ammiraglio che si mostra tanto stupido quanto pignolo, tanto “fervente” quanto ossessivo nel comandare questo e quello. I “grandi preparativi” sono un surrogato psicologico per far sembrare ancor più grande l'evento e sono assolutamente necessari a chi sa che l'evento è tutto sommato insignificante.

martedì 17 maggio 2011

Quanto ci suona musicale la voce di qualcuno che ci invita a qualcosa! Specialmente quando è la voce di una donna che ci invita a fare una commissione con lei. Pur di poter stare una mezz'ora con lei, sono disposto anche ad aiutarla per quella noiosissima commissione.

lunedì 16 maggio 2011

Non c'è bisogno di sprecare nemmeno una millicaloria per detestare la chiesa cattolica. È già condannata. È praticamente in coma. Un'entità che ha bisogno di attirare i fedeli che scappano, per poi rimproverarli perché non sono abbastanza evangelizzatori di pace e di solidarietà, ha i giorni contati. La maggioranza dei preti supera i sessanta-settant'anni, c'è bisogno di preti di importazione, i quali non vogliono (o non riescono) a “italianizzarsi”. I conventi chiudono uno alla volta, uno stillicidio silenzioso. Le chiese, una volta pullulanti di messe e di fedeli a tutte le ore, diventano sempre più brutte e più vuote. Il numero dei funerali sorpassa grandemente quello dei battesimi. Le chiese si riempiono solo a Natale, a Pasqua e ai matrimoni; nei primi due casi si notano sempre più numerosi gli anziani (ai giovani interessa sempre meno), nel caso dei matrimoni si nota solo tanta scenografia e tanto baccano. La chiesa è ormai un cadavere tenuto in piedi solo perché appoggiato al muro: guardate, ha gli occhi aperti, dunque vuol dire che è vivo (ma è veramente vivo un cadavere con gli occhi aperti?) Ci vorranno vent'anni, trent'anni al massimo, per vedere dimezzati i preti e i fedeli e le chiese; i conventi diminuiranno ancora più velocemente. Inutile sprecare fatica per odiare la chiesa cattolica: visto che nessuno riusciva ad ammazzarla, ha preferito suicidarsi lentamente.
Ogni strumento di trasmissione di suoni e immagini finisce per essere abusato. Immediatamente. Già dai primissimi tempi della fotografia circolavano fotomontaggi osè. Il successo dei videoregistratori fu dovuto alla diffusione delle videocassette porno. Il boom di internet è stato facilitato dalla diffusione della pornografia on-line. Le vittime, come sempre, sono le persone ingenue (e quindi anzitutto i giovani): incapaci di cogliere il vero potenziale di quegli aggeggi, ne diventano inconsciamente schiavi. Quando dico queste cose penso sempre a chi mi darà del bigotto. Rispondo sempre che questi sono i fatti. Cosa penseresti di tua figlia che si spoglia davanti alla webcam per far divertire un laido cinquantottenne? Ti sei offeso perché hai davvero una figlia che spende giornate intere al computer con la cam? Ti sei offeso davvero? Vuol dire che sotto sotto vorresti anche tu che tua figlia diventi “medievale”? Sei tanto furioso contro la pedofilia ma ignori cosa faccia esattamente tua figlia con la webcam? Le persone ingenue sono incapaci di cogliere il terribile potenziale di certi strumenti “moderni”, e ne diventano vittime. Mi secca dirlo, ma le persone “bigotte” e “medievali” sono paradossalmente più al sicuro dai nuovi barbari predatori.
Il degrado della società è ottimamente rappresentato dal fatto che certi stupidi idioti fanno carriera e i professionisti (cioè quelli che lavorano, producono, innovano, correggono) restano fermi al loro posto, avendo come unici incentivi minacce e indifferenza.

venerdì 13 maggio 2011

Certe volte vorresti tornare al medioevo. Nel medioevo non esistevano clacson: per urlare il tuo disappunto dovevi utilizzare la tua voce. Nel medioevo non esistevano stereo: per avere un po' di musica dovevi cantare da solo, oppure andare in qualche posto dove ci fosse buona musica. Nel medioevo non esistevano le partite allo stadio: se qualcuno osannava la prestanza fisica altrui (tanto più quella utilizzata per scopi diversi dal lavoro), sarebbe stato considerato un demente o un lavativo. Nel medioevo non esistevano le automobili: per andare in giro a perdere tempo occorreva sforzare le gambe oppure rischiare alcuni preziosi strumenti di lavoro (cavalli e muli). Nel medioevo non esistevano pistole, mitragliatrici e bombe all'uranio impoverito: per far fuori il tuo nemico dovevi affidarti alla tua forza fisica e al tuo ingegno. Nel medioevo, insomma, non c'erano macchine che sostituissero completamente i muscoli e il cervello. Quando vedo questi buoni a nulla andare in giro in auto strombazzando clacson e stereo, incapaci di lavorare, disoccupati perché inoccupabili, mi viene la nausea e mi vien voglia di spedirli tutti nel medioevo. Le conquiste della tecnologia moderna (frigoriferi, ferrovie, computer, escavatrici) le meritano solo coloro che mettono a frutto la propria passione creativa. I nuovi barbari, oggi, cazzeggiano su Facebook, fanno i guappi nell'auto comprata da mammà, spendono soldi che non hanno guadagnato, e sanno appassionarsi solo di discorsi di sesso e di sport. Per questo andrebbero tutti spediti nel medioevo.

mercoledì 11 maggio 2011

Quanto detesto queste mamme moderne che diluviano i loro bambini di complimenti ed elogi. Così come l'eccesso di zuccheri provoca malattie (dalla carie all'obesità e al diabete), così l'eccesso di complimenti ed elogi provoca disastri (incapacità di fare qualsiasi cosa quando non c'è la certezza di ottenere elogi, vulnerabilità grave ad ogni più piccola fatica, gravi traumi psicologici in caso di anche piccoli fallimenti, attaccamento ossessivo a figure -anche fittizie- di mamme e papà).
Il mondo del lavoro è fatto così: il cliente ha bisogno di una persona (nel gergo si dice “risorsa”) ma non sa bene perché. Perciò chiede uno che abbia tutte le competenze possibili. Gli amministrativi richiedono altre competenze, i commerciali richiedono ulteriori competenze, le segretarie aggiungono che sarebbe bene che avesse anche quelle altre competenze... così, l'elenco delle competenze richieste diventa qualcosa di assurdo: ci manca solo che chiedano che abbia esperienza come presidente della Repubblica. Più sono incerti e più chiedono, più il suo compito è sfumato e poco circoscritto, e più vogliono questa “risorsa”, questo “Deus Ex Machina” capace (nei loro sogni) di risolvere in un batter d'occhio le sette fatiche di Ercole. La lista dei “desiderata” arriva qui al capo del personale, che si gratta in testa per cercare di capire cos'è che vogliono e cos'è che realmente necessitano. Il compenso previsto è uno stipendiuccio misero (forse un pelo più alto del mio), perché nei vari passaggi intermedi (scremature del fisco e scremature dell'azienda) i quattrini si riducono a spiccioli. Se poi non è da assumere ma da rilocare all'interno dell'azienda, allora il capo del personale va in giro come un leone affamato, scrutando noialtri poveracci pensando ogni volta: “se mando questo, come riordinare poi le pedine sulla scacchiera?” Risultato: il cliente vuole Mandrake da pagare quanto Pulcinella, l'azienda gli manda Pulcinella spacciandolo per Mandrake. La “risorsa” arriva lì totalmente ignara delle mansioni da eseguire, dovendo imparare sul campo e a spese della propria pazienza.

martedì 10 maggio 2011

Tranne poche eccezioni, la letteratura (incluso il cinema) della nostra epoca serve a raccontare sogni ed indurre a sognare. Nei racconti va tutto per il verso giusto, anche le variazioni di tema e le sorprese. Tutto è finalizzato a vendere un sogno, cioè una fuga dalla realtà. Ma quando dal sogno torni nella realtà, sei più sconfitto di prima. Sono colpito dalla letteratura e dal cinema perché non bevo quasi mai alcolici. Il vecchio ubriacone che abita non lontano da qui fugge dalla realtà grazie ai liquori. Sa bene cosa significa smaltire una sbornia, sa benissimo che quelle poche decine di minuti di piacere gli costeranno parecchie decine di ore di insopportabile fastidio fisico. Fugge dalla realtà immergendosi nell'alcool, ma quando riemerge è ancora più triste di prima. Tornare alla realtà è sempre più doloroso del non fuggire. Sia con l'alcool che con un “buon film”.

lunedì 9 maggio 2011

Se dovessi dare un unico aggettivo, direi che l'uomo è generalmente traditore e la donna è essenzialmente indecisa. Le indecisioni femminili costano sofferenza agli uomini (e anche alle donne). La triste fissazione del ragionare con proprio pisello piuttosto che col proprio cervello, porta gli uomini ad essere traditori anche quando non lo vorrebbero. Io faccio parte di quella piccola categoria di uomini che non vogliono assolutamente tradire... e che non hanno mai avuto occasione di tradire, poiché non sono mai stato fidanzato con una donna. Ho visto, tra le persone che conosco, tanti uomini tradire e tante donne complicare la propria vita (e quella altrui) con le indecisioni (e con l'errore opposto, il decisionismo, che in realtà è semplicemente un'altra forma di indecisione).

venerdì 6 maggio 2011

Alle donne che si lamentano della propria corporatura occorre ricordare due cose importanti. Primo: con grande probabilità, un uomo a cui piacciono le donne di corporatura A finirà per innamorarsi e sposare una di corporatura B, poiché l'amore è notoriamente cieco e nessun uomo ha mai detto “sono innamorato di te ma la tua corporatura è un problema, per cui dobbiamo lasciarci”. Queste cose vanno ricordate specialmente quando la categoria B è quella delle donne sovrappeso. Seconda cosa importante: la donna che non accetta sè stessa è una donna che verrà delusa un milione di volte nella vita. Anche quest'affermazione non ha bisogno di dimostrazioni: basta osservare, basta guardarsi intorno.

giovedì 5 maggio 2011

Questi stupidi film dell'orrore sono talmente stupidi che chiunque vi si appassioni deve necessariamente avere qualche rotella che non funziona. Tutto sommato, sono tutti uguali. Dopo che ne hai visti un paio, è come se li avessi visti tutti. Non c'è più niente da inventare, in questo filone cinematografico. Inoltre peccano tutti di mancanza di realismo. Il personaggio malvagio, colpito a morte, trova improvvisamente una forza sovrumana per minacciare ancora di più. Poteri speciali, situazioni più impossibili che improbabili, misteri fittissimi che non risvegliano nessun ragionamento in nessuno dei protagonisti, l'immancabile strage di innocenti, sangue e sporcizia, le ambientazioni buie, fredde, chiuse, umide, i soliti fiatoni... Tutto è già visto e stra-visto, e si riduce sempre più al buio, alla paura, al sangue. Non se ne può più dei film dell'orrore. Eppure, come per tante altre stupidate propinateci dal mercato, esiste una categoria di sedicenti appassionati, che credono di essere più intelligenti degli altri perché apprezzano quei film, credono di divertirsi più degli altri perché si ostinano a guardare quei film, credono di essere anticonformisti perché sono acculturati su quel genere di film.

mercoledì 4 maggio 2011

Grazie alla TV e a internet siamo sommersi dalle immagini. Soprattutto foto di persone. Perciò, per emergere, tutti si sono convinti che devono fare qualcosa di pazzo, mostrarsi in maniera pazza. Ma le cose pazze che si possono fare non sono moltissime, e così va a finire che in fin dei conti tutti fanno le solite cose, le stesse cose, con piccole varianti ma sempre le stesse cose. Si mettono tutti in mostra allo stesso modo, e perciò non “emerge” nessuno. Ciò che va più di moda sembra avere temporaneamente più effetto ma in realtà attrae nel modo peggiore: per esempio le donne che dalle belle curve. Esponendo le loro foto guadagneranno apprezzamenti di ogni genere (specialmente volgari), ma avranno sempre il dubbio di essere state scelte col solito metodo: “in un momento di noia, la prima che mi è capitata”. Non troveranno mai un amore sincero. Penso che oggi le donne con un fisico da fotomodella debbano in realtà sentirsi sfortunate. Un uomo ti dirà di essere innamorato di te, invece è solo colpito (e attirato, e maliziosamente stregato) dalla tua bellezza. Non amerà te, ma desidererà possedere la tua bellezza. Ti dirà “ti amo” ma in realtà intenderà “voglio solo scoparti”. Ti dirà “non posso vivere senza di te”, perché penserà che scopare donne più brutte di te possa essere deludente. Credi di averlo fatto innamorare di te mostrando le tue foto in costume da bagno: perciò il suo amore non parte dal cuore. E quando ti compariranno le prime rughe, se ancora non ti avrà tradito, ti tradirà, perché vorrà di nuovo avere quella bellezza fisica che vide in te e che ha sfruttato dicendoti “ti amo”. Avere il fisico da fotomodelle non è un vantaggio, ma è una maledizione. Specialmente nell'epoca di internet e della TV.
Una caratteristica comune a tante donne che hanno collaborato a farsi schedare su questi siti web di ricerca dell'anima gemella è il fatto di dichiararsi spesso insoddisfatte del proprio corpo. Laddove non arriva l'ipocrisia delle caselline da marcare (come per esempio “l'aspetto fisico non conta”: un modo per dire “penso di essere racchia”), arrivano le mini-descrizioni: “ma intendo dimagrire”, “cerco un uomo per il quale i miei difetti fisici non siano un problema”. Che strana epoca, questa, dove tanta gente (specialmente donne) si sente obbligata a scusarsi per il proprio aspetto fisico (come se l'avere qualche chilo in più fosse una colpa, come se fosse un errore commesso con tutta la propria volontà).

martedì 3 maggio 2011

Ogni cento volte che in cuore mi viene la parola “voglio”, tento di domandarmi: “ma cos'è che voglio esattamente?” La domanda resta sempre senza risposta. Talvolta mi accade di trovare qualcosa di “esattamente”, ma sono costretto a scartare perché mi accorgo che non mi soddisferebbe. Il mal di vivere è questo fascio di “voglio” indistinti, fragorosi e irrefrenabili come una cascata, rumorosi e decisi come una valanga.

lunedì 2 maggio 2011

Nei siti web per trovare l'anima gemella si indica anche il profilo più gradito. Vedo che tante donne cercano un uomo “cattolico ma non praticante”. Cioè vogliono un uomo gentile ed educato, che abbia qualche scrupolo di coscienza di fronte alle occasioni di tradire o mentire. Qualsiasi altra versione religiosa (dall'ateo all'islamico) può contenere rischi, “praticante” o “non praticante” che sia. Il “cattolico non praticante” è una via di mezzo tra il cattolico e il borghese, cioè tra la santità e l'ipocrisia. Cercano un uomo gentile ed educato, cioè occidentale, cioè leale, onesto, fedele... un cattolico “praticante” non va bene, perché va a messa e si confessa, e se queste cose le fa il marito, prima o poi finirà per farle anche la moglie.
Una miriade di siti web per trovare l'anima gemella. Miriadi di profili imbottiti di gusti e preferenze, caselline da cliccare, foto da inviare, descrizioni (brevi, brevissime, inesistenti) da inserire. Per un attimo ho avuto un brivido: quel genere di siti web è un altro dei tanti sistemi per schedare la gente, per di più sotto il profilo sentimentale, cioè quello che si presta maggiormente all'inganno e al ricatto. Poi metto temporaneamente da parte l'idea e comincio a guardare quella carrellata di volti di donne. Non so se ci sia mai stata un'epoca storica con tanta solitudine da dover creare strumenti per trovare “l'anima gemella”. Nei tempi in cui la vita sociale era scarsissima, solo i più cocciuti misogini restavano scapoli. Nei tempi in cui il divorzio era proibito, occorreva essere particolarmente stupidi e violenti per rovinare il proprio matrimonio. Scorro le foto di quelle poveracce e trovo tante divorziate, tante separate, tante con figli a carico ma senza la cosiddetta “anima gemella”. Nell'epoca del social networking, nell'epoca della socializzazione forzata fin dall'infanzia, si arriva a 35, 40, 45 anni soli, reduci da tristi storie, o forse senza mai aver avuto una storia d'amore. E si finisce a partecipare volontariamente a questa schedatura di cuori affranti.
La società è sotto una pioggia di truffe. Un vero diluvio. Non parlo solo di quelle penalmente perseguibili, ma anche di quelle perfettamente legali, come per esempio quelle pubblicità che suggeriscono momenti di bellezza e di pace su prodotti che non c'entrano niente né con la bellezza né con la pace. Perfino l'apparenza di spontaneità è un prodotto da vendere (cioè un inganno perpetrato ai danni di chiunque cada ingenuamente nel tranello).
Mi domando come vivessero prima dell'era dei telefonini. Come si vivesse senza poter confidare, con una telefonata fuori orario o un messaggino notturno, un segreto, un dubbio, un'ansia, o anche piccole cattiverie e grandi disillusioni. Il telefonino è una delle cose che hanno radicalmente cambiato la società, nonostante il costo che è oggettivamente elevato. Il telefonino e internet ci hanno cambiati. Nell'epoca in cui una voce amica la trovavi solo munendoti di gettoni per la cabina telefonica, la solitudine doveva essere assai più atroce. Ma in realtà scopro che la solitudine, oggi, è atroce più che mai. Nonostante i telefonini e nonostante internet, siamo un popolo di solitari che odiano la solitudine ma vivono in solitudine, fingendo una “vita sociale” solo per il timore di essere scoperti come lupi solitari.