venerdì 29 ottobre 2010

L'allegra famigliola. Madre, padre, nonno, figlia unica e viziata. La figlia si sta esercitando nello sciorinare “discorsi da grande”. Risatine maliziose dei tre adulti: la figlia ha utilizzato una parola a doppio senso. In Italia, oggi, il secondo senso di un “doppio senso” è necessariamente sessuale. La figlia interpreta le risatine degli adulti come un gesto di approvazione. Si sente più adulta. Le risatine di quei tre le hanno appena insegnato che donna adulta significa baldracca (se non nelle azioni, baldracca almeno nelle parole, nelle intenzioni, nelle insinuazioni). Piccole baldracche crescono. E intanto una donna normale, che non abbia urgente bisogno di sbaldraccare quando parla, una donna semplice, che non abbia bisogno di complicare ogni discorso con allusioni, sottintesi e insinuazioni, una donna civile, non si trova più. Piccole baldracche crescono: dobbiamo ringraziare non solo la TV e la scuola, ma anche i genitori e i nonni.

giovedì 28 ottobre 2010

Vengono quei momenti in cui ti senti stremato e stanco al punto di far fatica perfino a star disteso su un letto, fatica perfino a respirare. Poi ti vien voglia di gridare “non è giusto! non è giusto”, e senti che per queste urla hai pronta la forza di un gigante. Ma poi ti rendi conto che non puoi urlare. Il mondo penserà che sei diventato pazzo? Ti deriderebbero tutti, e allora avresti perso l'ultima possibilità di vivere una vita normale. Queste frustrazioni servono a qualcosa: la fatica vera sta nel capire a cosa servono e perché ci sono. Gridare “non è giusto” non risolverebbe niente.
Questo racconto parla di uno scrittore che si accorge che i personaggi dei suoi primi romanzi hanno anticipato le crisi che stanno venendo a lui. Si sente come se avesse scritto la sua autobiografia anticipata: prima di incontrare la crisi, aveva già descritto come si sarebbe comportato, senza che ci fosse stata la volontà di mettere qualcosa della propria vita proprio in quei personaggi.

mercoledì 27 ottobre 2010

Stronzo bastardo, sei stato tu a fargli venire l'esaurimento nervoso prima di assumerlo, sei stato tu la causa principale del suo licenziamento, ed ora reciti anche la parte piagnucolosa di chi ha compassione, pur sapendo che tutti sappiamo che non hai alcuna intenzione di aiutarlo?

martedì 26 ottobre 2010

Sono innamorato di una scrittrice. Ho visto il suo volto sulla copertina di un libro e me ne sono innamorato a prima vista. Ho comprato il libro e, dicendomi che ero innamorato di lei, ho fatto perfino un grande sforzo per leggerlo. Il libro non era niente di eccezionale. Ci sono persone che hanno una piccola ispirazione che tentano di monetizzare per una vita intera. Ma spesso l'ispirazione dura poco: due o tre libri, due o tre canzoni, tutto il resto è noiosa ripetizione e remix del precedente. La mia scrittrice dev'essere una di queste persone e il libro doveva essere il “terzo” della serie, quello che ormai già non val più la pena di leggere. Però l'ho letto. L'ho letto anche per poterle parlare del suo libro: lei è su Facebook, ha perfino un indirizzo di posta elettronica. Vorrei corteggiarla, ma non ci vuol molto per capire che molti altri prima di me ci hanno già provato o ci stanno ancora provando. Non mi sarà impossibile riuscire ad incontrarla e parlarle: da Facebook vengo a sapere delle sue abitudini, dei posti che frequenta, di dove vive. Mi innamoro sempre della donna sbagliata. Sempre di quella che vive troppo lontano da qui. Sempre di quella che è fin troppo distratta da corteggiatori molto più ricchi e accaniti di me. E forse anche sempre di quella che pensa di essere una star e perciò anche se mi accettasse, finirei per essere alla pari (se non meno importante) del suo cane.

lunedì 25 ottobre 2010

Dopo tre stazioni sale sull'Intercity questo giovane con aria un po' intontita. Siede al suo posto davanti a me e tira fuori un pacchetto da cui sbucano fili da ogni parte. Lo pone accanto al finestrino e continua impacciato nel tentare di farlo funzionare. Assistevo alla scena di questo stravagante appassionato di elettronica cercando di indovinare quale piccola magia dovesse scaturire da quel groviglio di circuiti, quando l'anziana donna seduta accanto a me comincia a dire a voce insolitamente alta che in treno, per fortuna, c'è la polizia. Sembrava una che avesse avvertito minaccia di stupro immediato. La sua vicina, in un primo momento preoccupata del non fare la figura della provinciale, viene infettata presto dalla stessa ansia. Anche lei, a voce inspiegabilmente alta, comincia a parlare di “polfer” e “digos” come se una minaccia imminente stesse per abbattersi sull'intero sistema ferroviario italiano. Un istante dopo fa loro eco il tizio di mezza età seduto lato corridoio, aggiungendo il gesto intimorito del tirare più a sé la grossa borsa che portava. Quando nomina anche lui la “polizia” decido che non se ne può più e alzo la voce anch'io: signori, ora questo giovanotto ci spiegherà che è un hobbysta a cui piacciono i gippiesse... sapete cosa sono i GPS, vero? Devo essere stato talmente freddo e tagliente da ridurre per un attimo al silenzio gli astanti. Ma solo un attimo. Il giovanotto finalmente si accorge che esiste il resto del mondo e, alzando lo sguardo, tenta di spiegare che non si tratta di un GPS ma di un ricevitore di segnali di non ricordo più cosa. Ma i tre astanti, liberati almeno parzialmente dalle loro paure (e risvegliati dalla mia voce tagliente) mandano giù un fiume di parole con tutti i più triti luoghi comuni che si possano immaginare: “terrorismo islamico”, “attentati”, “fili pericolosi”. Dopo aver inutilmente ripetuto almeno tre volte che chi segue troppa TV diventa troppo facilmente impressionabile, dopo aver ripetuto ancor più volte che un “terrorista” se vuole ottenere il suo scopo fa di tutto per non farsi scoprire (mentre il giovanotto sembrava quasi far di tutto per farsi notare ed elogiare: tipica vanità da adolescenti alla scoperta del mondo), approfitto di una imminente fermata del treno per raccogliere le mie cose e fingere di dover scendere. Piantarli in asso e basta: gli ultimi quaranta minuti di viaggio posso farli in piedi, nella vettura più lontana possibile da questi mammalucchi che vedono un “terrorista islamico” in ogni anfratto, vedono un “pedofilo” in ogni anfratto, vedono “antisemitismi” e “omofobie” in ogni anfratto. Hanno la ferrea abitudine di vedere ciò che non esiste ma che la televisione ha comandato di vedere, terrorizzati dall'esser presi per chi non combatte i “mali” che la TV dichiara essere tali. Benvenuti nel “1984” di Orwell!
Non uso mai il termine “sbarbatello” perché quando io ero sbarbatello ho avuto da ridire su adulti che erano tali solo per l'ufficio anagrafe del comune di residenza, e per il resto erano molto più imbecilli di me.

venerdì 22 ottobre 2010

Nel centro del cuore di ogni donna c'è un'attitudine a prostituirsi. Me ne resi conto in giovane età, quando andai a far visita ad un'amica. Avevo candide intenzioni ma le mie mani erano vuote. Appena mi vide mi disse qualcosa di complicato che oggi potrei interpretare con queste parole: “ma come? non mi hai portato nessun regalo? e allora oggi ti tratterò freddamente”. Sul momento non ci feci caso ma col passare degli anni quell'episodio ha cementato la mia convinzione che la totalità delle moine femminili sottintende (anche se solo inconsciamente) una compravendita. Qualche anno più tardi ne ebbi la conferma. Stavolta avevo portato un piccolo regalo. Piccolo di valore economico, ma significativo in quanto mi era stato espressamente richiesto. Lo scrutò, mi ringraziò telegraficamente, lo mise da parte nel posto dove si depositano gli oggetti da dimenticare e mi disse qualcosa che oggi potrei interpretare con queste parole: “ma come? ti presenti qui con questa miseria? coccole e moine, puoi scordartele!” In ogni donna alberga un'attitudine a prostituirsi. Ogni donna. Qualcuna più sfacciata, qualche altra più timida, qualcuna più esigente, qualche altra (rara) più facilmente accontentabile. Ma è sempre un “do ut des”, con il “des” che viene rigorosamente calcolato, squadrato, misurato, valutato, quantificato, pesato, deprezzato prima del “do”. Un commercio. La donna sa che cerchi coccole (e sesso) e sa che può vendertene a caro prezzo, dove “caro” significa che il prezzo può lievitare ad libitum fino all'ultimo momento. Si distinguono dalle baldracche solo per le formalità e per il listino prezzi. Per il resto hanno tutte (dico tutte) il meccanismo prostituente ben cementato nel cuore. Cerco una donna che sappia tenere a bada questo perverso meccanismo e sappia amare senza commerciare e sappia amarmi senza odiarsi. Chissà se la troverò mai.
Quella smorfiosa ha cancellato i miei interventi. Semplicemente assurdo. Ecco come è andata: lei scrive una cosa sulla sua bacheca, interviene un deficiente con un doppio senso a sfondo rozzamente sessuale, intervengo io per prenderlo sottilmente in giro e far notare il suo squallore. Pochi minuti dopo il mio intervento era scomparso, il maiale aveva inserito un nuovo intervento non meno squallido del precedente, e lei aveva inserito subito dopo un commento in cui sembrava non essere dispiaciuta dello squallore del tizio. In parole povere, quella donna mi ha dimostrato la sua profonda ipocrisia. Parli perché vuoi essere insultata, censuri chi ti vuol difendere. Sei una squallida baldracca di periferia.

giovedì 21 ottobre 2010

Sembra che oggi il mestiere di essere donna consista nel fabbricare un figlio (due per chi vuole andar di lusso) e poi scordarsi della fertilità. In questa società dove i figli sono un lusso da tassare (e una spesa enorme nell'educare), le donne sposate si limitano a tirare fuori un figlio (costi quel che costi!) per dimostrare di essere state abili a procreare, e quindi ritornare sterili. Le gravidanze desiderate (cioè quel che dovrebbe essere la normalità) compaiono solo in un brevissimo lasso di tempo dopo il matrimonio. Al di fuori di questo lasso di tempo c'è solo la sterilità desiderata e perseguita con ogni mezzo (a costo di uccidere il bambino con l'aborto o con le pillole). Il 99% del periodo fecondo di una donna viene sterilizzato a forza. Il restante 1% viene fecondato a forza. Questa è la donna oggi: un ammasso di carne da scopare. Questo è l'essere mamme oggi: una fabbrica del “figlio perfetto” che entra in azione solo in quell'un-per-cento della vita della madre, cioè solo in quel momento in cui per l'ipocrisia sociale “serve” volere un figlio (e fabbricarlo).
Devo aggiungere alla lista delle piccole frustrazioni quotidiane il desiderio (spesso non realizzabile) di cliccare un “Mi Piace” su una foto Facebook di una donna che mi sta a cuore. Anche stavolta vedo un profilo in cui non c'è nessuna foto che merita un “Mi Piace”. O sono volgari, o sono le solite stupide immaginette di cuccioli, cuori, tramonti al mare, uomini effeminati seminudi depilati. Come se sentissi la voce di lei che dice: “non sono donna se non pubblico questa spazzatura sulla mia bacheca”.

mercoledì 20 ottobre 2010

Oggi è mercoledì. Ricordo un famoso mercoledì della mia vita. Ero adolescente, e un mercoledì seppi per caso che una delle mie compagne di classe sarebbe rimasta sola a casa il martedì successivo. Lo avevo sentito involontariamente da suo fratello, nessuno sapeva che anch'io sapevo. Perciò cominciai a dirmi che dovevo escogitare qualcosa entro quei sei giorni per poter andare da lei. Con la scusa di studiare insieme, avremmo avuto modo di parlare anche di altre cose, e chissà, anche di fare qualcos'altro. Oggi guardo con un po' di vergogna a quei vecchi ricordi che di tanto in tanto affiorano nella mia mente quando mi sento affaticato. Passai quei sei giorni a pensare ad ogni possibile trucco. Venne il fatidico martedì, con buona parte della notte passata senza riuscire a dormire. Al mattino, durante la colazione, i miei mi dissero di quella visita medica che avevo completamente dimenticato. Sì, proprio quel pomeriggio. “Ma io devo andare a studiare da un amico”, farfugliai come se lei avesse già accettato il mio autoinvito. I miei interpretarono quelle parole come la solita pigrizia e bonariamente mi confermarono che l'ineluttabile visita dal medico era semplicemente improcrastinabile. Mi vergogno a pensare di essere stato così meschino: mi sarei autoinvitato a casa di una compagna di scuola sperando che lei dicesse di sì e una volta da lei, sbrigati frettolosamente i compiti, avrei dato il meglio di me stesso per ottenere chissà cosa. Mi vergogno di questo, eppure sento talvolta che invidio coloro che pianificano queste cose anche dopo aver superato da parecchi decenni la fine dell'adolescenza. L'uomo schiacciato dalla propria solitudine sogna sempre di avere un'occasione a tu per tu con una donna che già conosce, da cui sogna di ricavarne ogni inimmaginabile dolcezza (nonché un'ampia dose di sesso). Succede perfino a uomini che hanno già una donna. Le inimmaginabili dolcezze non bastano mai. Siamo sempre lì a sognare. Sesso e dolcezze, dolcezze e sesso.

martedì 19 ottobre 2010

Buongiorno. Sono Miss Stellina, a cui tu hai mandato molte appassionate lettere d'amore. Ti rispondo per la prima volta in privato perché sono preoccupato dalla frase che mi hai scritto: “non vedo l'ora di conoscerti di persona”. Mi chiamo Mario, nickname Miss Stellina sulla chat. Non ho 19 anni ma 44. Non abito a Roma ma in provincia di Rieti. Non lavoro come commessa dei grandi magazzini ma come consulente informatico precario. Non sono mai stato in discoteca. Non sono single ma divorziato. Tutte le cose che ho scritto in chat sono pura invenzione. Avevo creato l'account Miss Stellina per ingannare ed insultare un amico di cui ero invidioso. Non sono riuscito nel mio intento ma nel frattempo ho trovato una schiera di corteggiatori virtuali e così ho continuato a prenderli in giro, divertendomi nel vedere i loro miseri (ancorché elaborati e accaniti) tentativi di ottenere coccole virtuali e sesso virtuale. Nella tua ultima missiva affermi di esserti innamorato di me; date le altre circostanze è la prima volta che mi trovo a ritenere credibile una tale affermazione. Perciò sono costretto a dirti tutta la verità: sei innamorato di una donna che non esiste. Sei innamorato del prodotto della mia fantasia, della fantasia degli altri “amici” virtuali e soprattutto della tua fantasia: non c'è niente di più facile del credere a ciò che ci fa piacere. Se da un lato mi dispiace averti dato una simile delusione, dall'altro sto ridendo come un matto.
Sono sempre quelle due arzille vecchiette che chiacchierano in treno. I loro discorsi sono sempre gli stessi: ai miei tempi, ai nostri tempi, c'era dignità, c'era giustizia, oggi c'è solo egoismo, oggi c'è solo cattiveria. Stamattina mi hanno sorpreso perché parlavano di ippopotami. Per un attimo ho pensato agli animali. In realtà parlavano delle donne di ogni età che espongono senza pudore la loro cellulite. Nell'epoca in cui “bello” è obbligatoriamente sinonomo di “sexy” (cioè di “sessuale”), la bellezza è stata soppiantata da un esasperato sessualismo col risultato grottesco di vedere questi ippopotami umani prendere il sopravvento.

lunedì 18 ottobre 2010

Rieccola. Un'altra sua email. Poche righe, ma non c'è parola che non sia ben calcolata. Una sua email in cui si lamenta, in cui è sul punto di chiedere un consiglio, parole che sembrano solo voler stimolare le mie manifestazioni di solidarietà e di comprensione. Parole che riescono nel loro intento: ho risposto come un fulmine. Ma un attimo prima di inviare l'email di risposta mi sono domandato: ma da me cosa cerca? Una virtuale pacca sulla spalla, parole di solidarietà, tanti “ti capisco” e “hai ragione”. Tutto qui? Lo hai sposato, dici di amarlo, e ti confidi con me? Se lui è l'uomo della tua vita, l'uomo che realizza il tuo matrimonio, l'uomo a cui in esclusiva dici “ti amo”, perché senti il bisogno di confidarti con me, chiedendo la mia complicità, insinuando paroline maliziose? Lo so già che se cedo alla tentazione (anche solo a parole) mi manderai via accusandomi di essere un maiale approfittatore. Allora perché provochi?
Intrattengo una piacevole corrispondenza con tante donne. Facebook, commenti sui blog, messaggi nei forum, email, SMS. Sono tutti strumenti “passivi”. Leggi quando ti va, rispondi quando ti va e come ti va. Hanno tutto il tempo di reagire, capire, spiegarsi. Normalmente la comunicazione scritta dà spazio a equivoci perché non tutti sanno utilizzare la lingua italiana e allora ti sparano un'espressione apparentemente dura e cruda solo perché non sapevano ingentilire, solo perché sfuggiva loro qualche sinonimo appropriato. Intrattengo una piacevole corrispondenza perché spero che qualcuna di loro prima o poi si invaghisca di me. Ma tutte queste donne, anche quando fossero segretamente a caccia di un marito, finora hanno sempre fatto in modo che il rapporto con me non vada al di là dell'amicizia. Di certe donne mi domando come mai riescano a confidare a me cose di cui non hanno il coraggio di parlare con i rispettivi mariti. Hai un marito (cioè uno con cui hai deciso di condividere tutto, “gioie e dolori”), ci vai perfino a letto dicendogli che lo ami, e poi non riesci a confidarti con lui ma ti confidi con uno come me (sapendo bene che io desidero stare insieme ad una donna). Perché lo fai? Perché?

venerdì 15 ottobre 2010

Dopo tante che abbiamo maledetto le regole morali, prima o poi ci succede qualcosa che ce le fa rimpiangere. Come sta avvenendo a questo tizio che voleva essere libertino, voleva che le donne fossero “libere” di farsi portare a letto comunque e dovunque e da chiunque... e alla fine della fiera si è ritrovato con una donna dalle innumerevoli storie, passata per numerosi letti, addirittura capace di parlare di tradimenti con la stessa naturalezza con cui parla delle scarpe. Questo furbone è stato adolescente come me. Certamente avrà provato la sensazione strana del trasgressore, quella del sentirsi una voce dentro che gli dice “prima o poi ne pagherai le conseguenze”, mentre dentro di se gridava “no! no! basta con queste regole bigotte! io sono libero e faccio quel che voglio”. La vita ti ha fatto “volere” quella donna ed ora sei costretto a fingere di essere addirittura contento.

giovedì 14 ottobre 2010

“Tu non capisci niente della mia vita”. Questa sequenza di parole, tutta femminile, è il modo gentile per dare un pugno nello stomaco all'interlocutore maschile. In realtà quelle parole significano “il mondo non è come vorrei io in questo momento”. Cioè esprimono un disagio. Specialmente quando lui ha appena ricordato a lei che non è tutto oro quello che luccica. E che anche lei è capace di commettere errori.
Vedo che Facebook mi presenta la richiesta di amicizia di una donna. Avremmo una mezza dozzina di amici in comune, dice Facebook. Dato che è una donna accetto immediatamente l'amicizia, poi clicco sul suo nome per vedere chi è. Prima delusione: la foto. Non ho nulla contro le donne obese ma lei è una cicciona. “Cicciona” non indica le dimensioni fisiche ma indica il modo di rapportarsi al proprio corpo. Anche una donna massimamente obesa, con il giusto sorriso e con un gradevole abbigliamento può riuscirti simpatica, simpaticissima, desiderabile. Non potendo smerciare il proprio aspetto fisico, le donne “assai sovrappeso” curano di più la femminilità, modellano di più il carattere, valorizzano di più gli aspetti apparentemente secondari. Conoscono la differenza tra uno sguardo volgare e un'espressione che scioglie il cuore. Sanno la differenza abissale tra il dolce ammaliare e il solito volgare sedurre (al punto che quando scopri che è già “ufficialmente fidanzata” ti viene un po' di fitta al cuore, pensando che qualcuno prima di te ha saputo apprezzare la di lei dolcezza). Lei no, lei era una cicciona, cioè una che non sapeva queste cose e si limitava a odiare il proprio corpo. Le sue foto sembravano gridare: “sono una brutta cicciona e me ne vanto”. Odia il suo corpo e perciò ce lo impone. Ma nel profilo scopro qualcosa di peggiore: è assidua frequentatrice di una setta protestante (“evangelici”, si autodefiniscono pur non essendo per nulla tali). Le donne che odiano se stesse finiscono sempre nei circolini idioti di sfaccendati che hanno lo stesso vizio (gruppi protestanti, gruppi teatrali, perfino certi gruppi che tentano di farsi omologare come volontariato). Nella sua bacheca Facebook furoreggiano i proclami religiosi della sua setta nascosti dall'ipocrisia delle parole. Sarebbe come se un dipendente di una ditta di dolcificanti augurasse ogni giorno “buon caffè all'aspartame” a chi non beve mai caffè (tanto meno conciato con l'aspartame). Quando avevo già deciso di cancellare la sua amicizia ho avuto un moto di pietà per la brutta-cicciona-che-odia-il-suo-corpo. Cerca compagnia, poveraccia. Si sente sola, odia se stessa perché si sente sola, ma sprofonda nella solitudine proprio perché odia se stessa. Non sa sorridere in modo puro, non sa scoprirsi serena per un minuto, non ha altro argomento di conversazione che quelle noiose frasi prese dalla Bibbia. Via, brutta cicciona, via dalle mie amicizie. Ci rivedremo quando avrai smesso di odiare te stessa, ci rivedremo quando ti sarai riappacificata col tuo aspetto fisico, ci rivedremo quando potremo parlare di qualcosa di più dolce che non la salamoia dei Salmi, le previsioni del tempo e il conteggio cuoricini in bacheca.
Mi organizzo per un viaggio grandioso... per andare a vedere i caribu e il mare di Beaufort. Sogno, sogno e ancora sogno. C'è il collega che sogna di andare in Giappone. C'è la collega che sogna di andare sulle Ande. C'è il collega che vuole vedere i costumi tradizionali cinesi. Ci sono io che voglio vedere i caribu ma non me lo posso permettere. La vita è difficile e noi ci rifugiamo nei sogni. Ma la vita prima o poi torna come una doccia fredda. Altro che vedere il caribu.
Sognare un viaggio low cost è ancor più low cost dei voli low cost. Sognare è sempre gratis. Internet aiuta moltissimo: puoi vedere foto e video dei posti in cui sogni di andare, così il sogno ti riesce meglio. Puoi sapere tutto del caribu ancor prima di averne mai visto uno, al punto che alla fine non ti interessa più il caribu. Finisci addirittura per sognare i modi per passare il tempo in aeroporto, con ore e ore di attesa per il tuo prossimo volo. Pare più importante quel passatempo che il caribu.
Tutto cominciò quando un collega parlò di un posto in Alaska, di cui aveva sentito parlare in un telefilm. Disse che si poteva raggiungere con non so quanti euro (che a lui non sembravano tantissimi). Subito dopo un altro collega cercò una destinazione ancora più esotica. Io cercai qualche posto freddo in Canada. Fu una pandemia. Per giorni non si parlava d'altro: quasi sembrava che ogni minuto libero fosse dedicato alla pianificazione dei voli per le destinazioni più incredibili, talvolta esagerando sull'aspetto dell'economia, talvolta su quello della distanza. La mia destinazione preferita, un villaggetto sull'Artico, arrivava a costare oltre ottomila euro di viaggio. Avrei visto i caribu con questi miei stessi occhi. E poi? Già, come in quella poesia di Montale: tanta fatica per preparare il viaggio, tanta ansia nel preparare il viaggio, ma una volta a destinazione l'inquietudine che ci portiamo dentro resta la stessa. La soddisfazione del viaggio sembra essere più il veder passare i “chilometri” sotto di noi piuttosto che il raggiungere un'esotica meta in cui vedere esotiche cose da raccontare ai colleghi di lavoro, una volta tornati, nei momenti di stanca di quelle giornate sempre uguali. “Ho visto i caribu”. Ma bravo. E poi?

mercoledì 13 ottobre 2010

Cercare un volo per le destinazioni più strane: il nuovo passatempo dilagante. Alla fine anch'io mi metto a sognare davanti ad una tabella di orari e di scali. Ma non so se avrò mai davvero voglia di lanciarmi. Viaggiare da soli significa non aver altra compagnia che i propri sogni, la propria fantasia, la propria curiosità e... la propria malinconia, la propria tristezza, la propria inquietudine. Non possiamo lasciare a casa queste ultime. Vedrei posti belli e strani, posti esotici e affascinanti, scatterei tantissime foto, ma l'inquietudine dentro di me mi sarebbe sempre compagna. Sarebbe come progettare un viaggio di nozze senza la sposa. Questo passatempo dilaga tra i single e tra coloro che sono sentimentalmente ancora poco sazi dell'amore della loro donna. Cliccando cliccando tra wikipedia (per le curiosità geografiche) e le agenzie low cost (per scoprire che una gita pazzerella di pochi giorni ti dissanguerà il portafoglio), passiamo ore intere sognando, sognando e ancora sognando.
Nella mia vita ho dedicato tanto tempo a delle stupidaggini: me lo ripeto sempre, come per accusarmi, come se il ripetermelo mi facesse star meglio. Alcune di quelle stupidaggini (compreso il tenere questo blog, sfogo per me e noia per chi ha la sventura di leggerlo) potrebbero fruttare. Non si diventa ricchi con un blog. Ma forse si diventa scrittori. Anche scrittorucoli, anche scribacchini, purché qualcosa “frutti”. Ma forse il blog è uno strumento sfruttato male. Anziché raccontare di me, anziché sversare le mie preoccupazioni su queste pagine, dovrei scrivere qualcosa che “interessi”. Vedo che i blog “di successo” sono dedicati alle stupidaggini. Vedo che la fama - non solo su internet - si acquisisce parlando di stupidaggini, facendo stupidaggini, insegnando stupidaggini. Non è un caso. Quanto guadagna un calciatore? La società di oggi è basata su stupidaggini molto peggiori di quelle che accuso della mia vita. Tirar calci ad un pallone rende molto più che essere pianisti, molto più che essere ingegneri, molto più che essere artigiani: eppure suonar bene il pianoforte, studiare ingegneria, assorbire i “segreti del mestiere”, sono molto più impegnativi dello scalciare un pallone, per il quale basta solo lo stupido esercizio fisico. Da che mondo è mondo, il sudore della fronte, il lavoro onesto e produttivo, il lavoro degno e onesto, sono il metodo sicuro per non arricchirsi, per non emergere.

martedì 12 ottobre 2010

Ieri riflettevo sulla ricchezza materiale. Avere determinati strumenti significa avere la possibilità di dare sfogo alla propria intelligenza. Normalmente non ci si riesce: conosco dei “ricchi” che temono soltanto la noia e la diminuzione, anche trascurabile, dei loro averi. Ma avere un pianoforte in casa ed avere la possibilità di suonarlo significa che in un caso su tre si diventa pianisti. Seppi di un corso gratuito per un certo strumento a fiato, tenuto non lontano da qui. Dopo aver vinto la timidezza e chiesto informazioni, viaggiai parecchi chilometri per andare in un negozio di strumenti musicali per un sopralluogo. Con l'aria più distaccata e indifferente possibile, chiesi al più timido dei commessi (lo avevo scelto proprio per questo) le fasce di prezzo per quegli strumenti. Novecento e rotti euro, però per imparare va bene. Se poi è per un regalo, tremila e rotti, molto bello, bel suono. Vedendo la mia espressione capì che già quello “per studiare” era ampiamente fuori dalla mia portata. Capì che ero lì per curiosità. Concluse: se poi c'è bisogno di uno professionale, per concerti, andiamo sui diecimila, va prenotato con mesi di anticipo, però è un suono semplicemente perfetto... Ringraziai ed uscii, pensando all'occasione del corso gratuito che sfumava per sempre: novecento euro soltanto per cominciare a imparare? Solo molto tempo dopo realizzai che quel commesso doveva essere povero come me. Come il commesso di una gioielleria che vede ogni giorno ori e diamanti, ma può a stento comprare dei miseri monili “dorati” spessi come un capello, lui era così in mezzo a strumenti musicali (tra i quali, non ne dubito, doveva esserci anche quello dei suoi sogni, dal prezzo irraggiungibile). Doveva aver intuito che ero povero come lui e perciò, per solidarietà, si trattenne quel minuto con me per darmi con indifferenza le informazioni che mi sarebbero costate l'espressione infastidita di chi ha davanti uno squattrinato che gli sta facendo perdere tempo. Tra poveracci, talvolta, ci si capisce bene. Forse nei suoi panni io avrei fatto lo stesso: “ti dico quanto costa il modello più elevato, solo per compiacere la tua curiosità, solo per farti sapere quanto è distante l'impossibile traguardo, solo per farti osservare come esista un mondo per soli ricchi e come noialtri siamo poveri capaci a stento di sognarci le cose più elementari (come l'imparare a suonare uno strumento)”. Possiamo solo sognarcele, certe cose. Non puoi diventare pianista senza un pianoforte. Non puoi acquistare un pianoforte se non abiti in un luogo isolato. Non puoi avere un pianoforte a coda se non hai un'ampio salone. Non puoi appassionarti di qualcosa che non potrai mai possedere: ti resterà il magone per sempre.

lunedì 11 ottobre 2010

Dopo aver letto la sua biografia sono rimasto a bocca aperta. La caratteristica di alcuni grandi uomini è di aver avuto a disposizione gli strumenti giusti al momento giusto. Definisco momento giusto come il momento in cui hai un'ispirazione, anche banale, anche confusa: il momento in cui il cervello vuole mettersi all'opera per qualcosa, senza sapere cosa. E' diverso dall'intuizione. L'intuizione è quando dentro di te vedi già chiaro. L'ispirazione è invece solo una sovrapproduzione di energie mentali. Passa a volte dopo un solo attimo. I miei migliori sforzi, spesso, sono dedicati a conservare un'ispirazione (un'idea, anche una sola parola) quel tanto che basta da arrivare alla tastiera e alla finestra del blog. I grandi uomini sono tali però non solo per aver dato spazio alle ispirazioni. Sono tali perché al momento giusto hanno avuto gli strumenti giusti. Internet, per esempio. La mia storia con internet è cominciata tardi perché non potevo mai permettermi un abbonamento (non solo per motivi economici). Un paio di studenti universitari mettono in piedi un progetto con poche migliaia di euro. Per me sarebbe stato difficile mettere in piedi un progetto di poche decine di euro: loro avevano lo strumento giusto (la possibilità di spendere migliaia di euro senza scalfire il loro tenore di vita) e perciò hanno potuto trasformare l'ispirazione di un momento in qualcosa di grandioso. La grande pianista è tale perché sua madre le compra un pianoforte a coda, per metterlo nel salone della villa dove abitavano. Io ho sempre vissuto in un tugurio con dei vicini ossessionati dal rumore: non avrei mai potuto diventare pianista. Anche perché non c'erano i soldi per un pianoforte, sarebbe mancato persino lo spazio per un giocattolo a forma di pianoforte. La ricchezza materiale può diventare ricchezza umana (la pianista, i progettisti, il campione di internet). Emergere dalla povertà materiale è possibile ma è faticosissimo, come lo svuotare una piscina olimpica usando una tazza di caffè bucata. Non aspiro a diventare un campione di golf o un pilota di aerei da caccia. Ma non mi sarebbe dispiaciuto diventare pianista, o progettista, o mago di internet.

venerdì 8 ottobre 2010

Alcuni anni fa ero disperatamente alla ricerca di un lavoro. Fui messo in contatto con uno che ancor prima di conoscermi già pareva aver detto che si sarebbe prodigato per farmi trovare un lavoro. Non avevo gran voglia di incontrarlo ma cedetti alle insistenze di coloro che me lo presentavano. Parlò per più di un'ora solo per dirmi che presto si sarebbe fatto vivo per comunicarmi dove fosse stato ottenuto un colloquio di lavoro per me. I pochi istanti che mi concesse di parlare passarono tutti per descrivere sommariamente la mia esperienza. Poi, il buio. Passarono giorni. Passarono altri giorni. Con una notevole ritrosia tentai di contattarlo. Fu l'ultima volta che ci riuscii. “Sì, sta' tranquillo, sto prendendo contatti, ho a cuore il tuo caso, non preoccuparti, tra un po' di giorni o qualche settimana al massimo ti chiamo”. Lo immaginai in quella sua orrenda cravatta mentre inondava di chiacchiere qualche altro disoccupato. Passarono i giorni. Passarono due settimane. Alla terza settimana tentai di chiamarlo ma non rispose. Avrei voluto dirgli che visto che la faccenda andava per le lunghe ero intenzionato a cercare altrove perché non potevo rimanere fermo così come un cane tonto. Non riuscii a dirglielo ma fu come se lui mi avesse sentito: mi mandò il giorno dopo un SMS in cui mi diceva di pazientare alcuni giorni, “pochissime settimane”, perché “qualcosa di grosso bolle in pentola”. Fu l'ultima volta che mi scrisse qualcosa. Cominciai a cercare lavoro e ad evitare le persone che mi avevano presentato il grassone gradasso con l'orrenda cravatta, ma non avevo ancora perso le speranze. Ogni giorno guardavo il calendario e mi accorgevo che l'estate si avvicinava a grandi passi. Nei primi giorni di giugno uno degli amici che mi aveva presentato quella specie di “mago del trovar lavoro” mi fece sapere che l'orrenda cravatta stava muovendo mari e monti per risolvere il mio caso e che probabilmente “anzi, certamente” aveva trovato una grande azienda che cercava un “profilo” come il mio. Ancora pieno di speranza, chiesi il nome di quest'azienda. “No, per ora non si può dire”. Come? Non stiamo mica assumendo un ingegnere multinucleare in una multicentrale multiatomica multisegreta. “No, è che per ora ci sono ancora contatti in corso”. Ma posso almeno mandare io un curriculum? Non costa niente. “No, se lo mandi lo ignoreranno; è meglio che facciamo le cose come dice lui”. Tentai di dire che Orrenda Cravatta finora aveva concluso assai poco e che mi aveva tenuto bloccato per tutto questo tempo ma fu un errore poiché mi fu risposto con gravità: “non ti fidi?” Passarono i giorni, e poi altri giorni e poi le settimane. Trovai un annuncio su un giornale: un'azienda cercava uno col mio “profilo”. Telefonai, mi fissarono un appuntamento per i primi giorni di luglio. Il colloquio andò benissimo: “cominci a lavorare a settembre”. Aspettai giorno per giorno che Orrenda Cravatta si facesse vivo solo per la soddisfazione di dirgli: “no, ho già risolto da solo”. Ma il filantropo Orrenda Cravatta, specialista nel trovare rapidamente un lavoro a chi ha urgente bisogno di lavorare, non si fece vivo né in estate né in autunno. Uno dei suoi fan, nel periodo natalizio, incontrandomi per caso tentò miseramente di articolare qualche suono, ma lo interruppi gustandomi la sua umiliazione.

giovedì 7 ottobre 2010

Siamo strane bestie noi esseri umani. Desideriamo senza voler desiderare, odiamo la solitudine ma ce la cerchiamo, amiamo la compagnia ma siamo pronti a rifiutarla, detestiamo le complicazioni e l'ipocrisia ma le applichiamo in maniera sistematica. Siamo come bestie in calore che si rincorrono di volta in volta nel modo più assurdo e faticoso possibile e nel momento in cui stiamo per raggiungere la meta vogliamo già scappare altrove. Anche se solo col pensiero.
Una vecchia amica mi telefona per chiedermi un'informazione. Doveva essere un'informazione assai preziosa per lei: mi ringrazia tantissimo. Pochi giorni dopo (cioè oggi) mi scrive un SMS per invitarmi ad uno spettacolo teatrale. Detesto il teatro. In altri tempi avrei accettato, solo per uscire con lei. Ma detesto il teatro, specialmente quello moderno. L'istinto mi dice che dovrei approfittare della riconoscenza di quest'amica, convinta che io le abbia fatto chissà che gran piacere nel fornirle quell'informazione che cercava. La parte più timida di me tenta di suggerirmi che lei aveva chiesto quell'informazione solo per potermi invitare ad uscire senza che ciò apparisse come una sua iniziativa, ma solo come gesto di riconoscenza. Troppo poco. La parte più maialesca di me mi suggerisce l'immagine di noi due abbracciati, ma l'intelligenza prende il sopravvento e mi ricorda che se proprio ciò dovesse avvenire vuol dire che un attimo dopo verrei denunciato alla polizia. Nel nostro mondo di single, piccoli eventi come un invito a teatro vengono fabbricati come risultato di una riconoscenza (piuttosto che di iniziativa sentimentale) e diventano pieni di tanti significati tranne quello più ovvio (l'assistere ad una stupida performance teatrale). Corteggiamenti tra single che non vogliono sbilanciarsi: questa è la vera performance teatrale, non l'esecuzione di un copione ma il costruire in tempo reale occasioni, parole, sensazioni, silenzi, messaggi, allusioni, segnali. Segnali, segnali, segnali... Lei costruisce l'occasione per uscire con me ed io ho delle remore perché non mi piace il teatro (ma forse è proprio questo il motivo per cui ha scelto il teatro). I nostri rispettivi meccanismi di difesa organizzano, costruiscono, mandano segnali, segnali, segnali. Io avrei piacere a passeggiare con lei in riva al mare tenendola per mano. Lei probabilmente avrebbe uguale piacere. Ma non sappiamo dircelo, non possiamo dircelo. I segnali che ci lanciamo sono complessi, sono costruiti come una strategia da campione di scacchi. Muove il pedone lì: mossa apparentemente inutile, perditempo, rischiosa. Ma gli outcome di quella mossa diverranno chiari venti mosse dopo. Quella mossa era un segnale, un invito, e non richiede una tua precisa reazione ma prepara le reazioni alle tue possibili reazioni. Uno studiarsi a vicenda, un lanciarsi segnali e segnalini confusi quel tanto che basta da non ammettere l'evidenza. E cioè che sarei contento di averti accanto a me, in riva al mare, passeggiando tenendoci per mano e commentando la forma bizzarra di qualche nuvola... e fermandoci non appena ci torna in mente che la vita è un'altra cosa, ed io ho da fare, e pertanto ti lascio lì. E forse anche tu pensi la stessa cosa, forse anche tu faresti allo stesso modo. Un fascio di innamoramenti tenuti in cuore, un desiderio di avere accanto una donna che non sia semplicemente il solito giocattolo sessuale... eppure, da un momento all'altro, vien voglia di piantarla, di lasciar tutto, di scappare via. Paradossale e grottesco è il fatto che il cercarsi e mettersi insieme è un'opera cervellotica e complessa, fatta di segnali, di inviti “non spontanei” ma di riconoscenza, fatta di ordalie come l'assistere ad uno spettacolo teatrale che non interessa a nessuno dei due, il permanere distaccati quando l'istinto e il sentimento suggeriscono diversamente... il recitare un copione, il copione dell'amicizia mentre sotto sotto cova il corteggiamento. Ma quand'anche finisse tutto come nel più romantico dei sogni, il mal di vivere, la noia, la nostalgia di qualcos'altro (senza neppure sapere cosa sia questo “qualcos'altro”) tornerebbero, e tornerebbero anche la solitudine e l'inquietudine che c'erano prima.

mercoledì 6 ottobre 2010

Alcuni miei amici volenterosi e altruisti vogliono presentarmi una donna. Come se questo bastasse per fidanzarmi. Ottima candidata, mi dicono, è single ed è a caccia. Vogliono perfino farmi vestire in modo da colpire la sua immaginazione (non ho idea di cosa vorrebbero farmi indossare per la cena di gala in cui avverrebbero le presentazioni). Per puro caso sento pronunciare il suo cognome. Controllo su Facebook, che vale più dei servizi segreti. Tante col suo stesso nome, ma solo una ha “amicizie” comuni a me e agli amici che vogliono presentarmela. Ahi, ahi. Otto anni più di me. Un numero di amicizie spropositato. Centinaia di fotografie. Ampia dimestichezza con battutine volgari e immagini che insinuano qualsiasi cosa riguardi il sesso. Ma guarda, ha anche un suo sito web personale, imbottito di filosofeggiamenti da donna che vuol nascondere la propria solitudine. Ma è nelle sue foto di Facebook l'impressione peggiore: i commenti degli “amici” uomini sulle sue fattezze fisiche. Per una sola di quelle battutacce oscene io avrei cancellato l'amicizia non solo su Facebook ma anche nella vita reale. Invece lei risponde compiaciuta. Dev'essere una che disprezza se stessa. Dev'essere una che ha superato la fase del mendicare attenzioni ed ha cominciato quel percorso di lenta autodistruzione mediante banalizzazione e sprezzo della propria vita. Attiva in tanti campi compreso il volontariato (chi ha sempre tempo da perdere finisce sempre nel volontariato: non un gesto di cuore ma un passatempo di cui vantarsi su Facebook). Mi correggo: non è attiva ma è iperattiva. Fa tante cose perché vuole elogi, vuole qualche complimento, vuole una parola dolce. Ma anche quando ne ottiene non le basta mai, perché non crede più alla sincerità degli uomini, tutti interessati al suo corpo. Ma anziché custodirlo, ne fa oggetto di conversazione senza censurare alcuna allusione. E' circondata da maiali, di quel genere di maiali che non si allontanerebbero neanche quando si rendessero conto dell'impossibilità di portarsela a letto. Da quel branco di maiali lei cava una falsa compagnia, dei falsi sorrisi, delle false dolci parole e soprattutto delle vere allusioni, vere illazioni, vere (sottilmente intese) proposte indecenti. E' ormai il suo piccolo mondo: dedicherà non più di qualche ora al giorno a Facebook, ma le restanti venti-ventidue ore del giorno le sembreranno meno vive di quando vede scorrere su quello schermo le più o meno gentili volgarità degli “amici” uomini e delle amiche volgari come loro. Non è la donna per me. I miei amici pensano di farmi una gradita sorpresa con questa donna dal bel fisico “a caccia” di un uomo normale. Ma lei sembra già convinta che l'uomo “normale”, se non lo ha trovato fino ad oggi, non lo troverà mai. Sotto le spoglie di un uomo normale, lei ne è convinta, non può non celarsi un maiale. Quante ne inventano i maiali pur di raggiungere il loro scopo! Come faccio a fidarmi? Lei odia se stessa, perciò nonostante le parole brillanti e la facilità con cui entra in relazione con nuove persone, nonostante la cultura e nonostante l'eccellente aspetto fisico, è sola perché ha deciso di rimanere sola. A parole e col cuore non desidera rimanere sola, ma nel profondo del cuore ha già stabilito che la sua vita sentimentale, bruciata fino ad oggi, non ha né presente né futuro. Si è già adeguata da tempo a quei “guardoni da Facebook”. Ciba la sua mandria di maiali mettendo continuamente foto del suo corpo e del suo volto. Non è la donna per me. Non perché sia circondata dai maiali, ma perché in fondo in fondo lei quei maiali ha deciso di tenerseli intorno. Non è la donna per me perché mi vedrebbe come uno dei tanti pretendenti alle sue carni che, temo, avrà già concesso a più d'uno, restando single perché non è concedendo le proprie carni che si conquista per sempre il cuore di un uomo. Per la sera del grande incontro organizzato, mi darò per malato. Se potessimo parlare a cuore aperto e con sincerità, io le direi: “sono disposto ad amarti per sempre” e lei risponderebbe “sì ma la mia mandria di maiali non si tocca, e chi sei tu per pretendere che io smetta di odiare me stessa? cosa vuoi, vuoi forse che io cerchi compagnia in te piuttosto che su Facebook? pretendi forse che dopo tanti anni io ricominci ad amare sinceramente me stessa come condizione preliminare per amare sinceramente te?”

martedì 5 ottobre 2010

Una vecchia amica si sfoga in chat del suo “ex”. Gli sfoghi femminili sono tutti uguali. Lui è un bastardo, mi ha sfruttata, resterò zitella per sempre... Sempre le stesse parole. Ho perso il conto di quante volte ho pazientemente ascoltato quegli sfoghi. Prima lo hai inondato di “ti amo”, “tesoro”, “amore”, e poi quando non state più insieme lo qualifichi “bastardo”, “coglione” e tutto il resto. Prima ti sei fatta sfruttare e poi lamenti di essere stata sfruttata. Prima te lo sei portato a letto con più fretta di una cagna in calore e poi ti lamenti che ti ha sfruttata sessualmente. Prima te ne sei vantata con tutte le amiche e ora te ne lagni con tutti gli amici. Prima lo hai mandato via e poi ti lamenti che ti ha abbandonato. Hai fracassato un po' di cose a casa perché rimanesse traccia della tua rabbia per i futuri visitatori. Hai cestinato o strappato o cancellato le foto di voi due che ancora poche settimane fa erano il tuo principale motivo di orgoglio. Dichiari crisi in ogni campo (politico, religioso, gastronomico...) aspettandoti consolazione, consolazione che poi rifiuti sdegnata perché sei afflitta e inconsolabile e nessuno ti capisce. “Tu non hai capito niente”, mi dici. Me l'aspettavo questa sentenza, ma te la lascio ripetere perché è il rituale femminile della donna che si accorge di essere ritornata single a causa dei suoi errori, errori che non vuole ammettere. L'orgoglio è il disastro principale della vita umana. Specialmente femminile.

lunedì 4 ottobre 2010

Un mio sogno ricorrente rappresenta l'ansia che mi provoca il lavoro. Mi trovo all'università, ho uno o più esami a brevissima scadenza e all'ultimo momento vengo a sapere di qualcosa di indispensabile che avevo dimenticato di preparare (come ad esempio un elaborato scritto o un intero libro di materia da studiare). In qualche altra versione dello stesso sogno, mi trovo ad aver superato tutti gli esami più facili e di avere a brevissima scadenza quelli più difficili e senza aver ancora studiato nemmeno due pagine, più l'urgenza di superarne almeno uno per poter continuare l'università. In tutti i casi buona parte del sogno la passo tentando miseramente di trovare una soluzione mentre altre difficoltà (libri illeggibili, anticipazione delle date di consegna...) insorgono e fanno ulteriormente aggravare la situazione.

venerdì 1 ottobre 2010

Una delle cose che non riuscirò mai a capire è perché mai un “appassionato” di qualcosa, per qualificarsi credibilmente come tale, debba essere “ossessionato” da quel qualcosa. Se non sei ossessionato non ti credono. Per essere credibile non puoi dire “mi piace l'Uomo Ragno” ma devi poter dire: ho tutto dell'Uomo Ragno (fumetti, merchandising, disegni fatti da me, conosco la biografia completa di tutti i disegnatori e sceneggiatori e il gossip dei loro parenti e animali domestici...) Oggi non si può essere normalmente appassionati. Bisogna essere “pazzi”, “folli”, esagerati su tutto. Non si può essere appassionati di qualcosa, ma ossessionati. Altrimenti non si è creduti.