lunedì 28 febbraio 2011

Ogni tanto ricordo qualche vecchissima trasmissione televisiva di quando ero bambino e cerco tracce su internet. Non trovo niente, proprio niente. Può darsi che abbiano cambiato il titolo e i nomi per adattarlo ai telespettatori italiani. Può darsi. Ma il non trovarne tracce su internet è come il ricordarsi di un innamoramento di gioventù. La ragazza col costume rosso quella volta al mare, non ricordo più in quale anno. Non scambiammo neppure una parola. Forse non si accorse neppure di me. Ma per diversi giorni fu il mio sogno. Quando decisi di prendere iniziativa e di tentare di parlarle, lei era svanita. Scomparsa. Erano finite le sue vacanze. La stessa cosa per quelle trasmissioni televisive di quando ero bambino. Ricordo poche immagini, ricordo molte sensazioni, ma nemmeno internet riesce a dirmi qualcosa di più. Ho solo una grande nostalgia per qualcosa che non rivedrò mai più. La ragazza col costume rosso non era bellissima, ma era della bellezza semplice che credo di aver sempre cercato e desiderato. Chissà in quali braccia maschili è oggi.

venerdì 25 febbraio 2011

Il potere ristoratore di una doccia calda è decuplicato se viene eseguita il venerdì sera mentre fuori sta piovendo.
Uno degli assurdi che regolano le nostre vite è... il vivere aspettando il venerdì sera. Venerdì sera significa riposo, pace, liberazione (almeno temporanea) dalle ossessioni del lavoro. Ma il lavoro è diventato ossessionante solo perché siamo tutti diventati schiavi. Una volta potevi essere l'ultimo dei calzolai e lavorare con i ritmi che ritenevi necessari: oggi il libero professionista è ossessionato dal lavoro. Una volta potevi essere mezzadro e lavorare con i ritmi che ritenevi necessari e con l'impegno richiesto dal clima e dalle condizioni della terra: oggi il lavoro dipendente è snervante anche quelle rare volte in cui tutto fila liscio. Una volta i giorni erano tutti uguali nella loro semplicità, tranne la domenica perché andavano tutti a messa. Oggi i giorni sono tutti uguali nella loro tragedia, e si aspetta il venerdì sera (l'agognatissimo venerdì sera) per poter ritemprarsi un poco. E quando si ritorna a lavorare il lunedì mattina, vien sempre voglia di dire: io lo odio il lunedì (cioè: “ma quando arriva il venerdì sera?”)
Quella musica rende tristi, eppure vien sempre voglia di riascoltarla. E quando togli le cuffie e resti avvolto solo dai noiosi rumori della notte, l'ultimo motivetto ancora ti balla nella testa, invogliandoti a star fermo per piangere con calma. Quella musica, in realtà, probabilmente non rende tristi ma fa solo emergere la solitudine che ci portiamo dentro e che esplode non appena terminano le distrazioni della giornata.

giovedì 24 febbraio 2011

Così, senza pensare bene a quel che le stavo dicendo, dissi che non avrei mai accettato di stare con una presa dal mercatino dell'usato. Lei se ne risentì ma fu sufficientemente aristocratica da non farmelo notare. Non mi accorsi che avevo appena offeso gravemente la donna che mi stava accanto. Ci salutammo, e per un lungo periodo non l'ho più rivista: aveva sempre impegni urgenti, aveva sempre qualche malessere o qualche impedimento, non poteva proprio incontrarmi. Dopo circa due anni un'occasione fortunata mi permise di incontrarla di nuovo. Fece buon viso, e riprendemmo a frequentarci. Ma l'avevo persa per sempre a causa di quelle parole offensive. Era stata fidanzata (ed “usata” assai) e poi abbandonata. Ricordarle che proveniva dal “mercatino dell'usato” fu la peggior frustata che io abbia mai potuto infliggere ad una donna. Quando ami davvero una donna, il suo passato non è mai un problema. Quando obietti ad una donna il suo passato, anche se lo fai distrattamente, hai distrutto ogni rapporto che potrai mai avere con lei. Una donna abbandonata dall'uomo che amava proverà sempre grandissimo dolore a sentirsi etichettata, anche se solo per distrazione, come merce da “mercatino dell'usato”.
Ricordo il giorno in cui abbandonai la chiesa. Ricordo quel giorno caldo, d'estate, in cui andai da un prete a chiedere aiuto e consiglio, a chiedere una parola di conforto e un'indicazione per andare avanti. Non chiedevo soldi, non chiedevo sostegno materiale, non chiedevo niente di impegnativo. Forse mi sarebbe bastata anche una noiosa predica, tanto era il mio desiderio di essere ascoltato. Ma il prete fu tanto gentile quanto inutile. Mi parlò dell'incontro interparrocchiale che stava collaborando a preparare, mi parlò della mia necessità di capire meglio le cose della mia vita, mi diede qualche consiglio generico di quelli che si possono leggere anche nella bacheca degli avvisi parrocchiali. Gli leggevo sul volto la voglia di congedarmi, ma non trovava modo di dirmelo, anche perché lo incalzavo con le mie domande. Dopo un po' mi sentii umiliato per il fatto di umiliarlo così, inutilmente, insistentemente: era come sparare sulla croce rossa. Da quel figuro con camicetta azzurro tenue sbiadito non potevo estrarre altro che frasi di circostanza, non voleva (o forse semplicemente non poteva) dirmi niente di utile, niente che potesse aiutarmi. In un solo momento si impuntò, non ricordo più su quale argomento, ma ricordo bene che desiderai essere un Pubblico Ufficiale pronto a fermarlo per Falso Ideologico. Andai via da quell'ufficio asettico e pieno di inutili carte, ripromettendomi di non metter mai più piede in una chiesa. Il prete aveva tradito la sua missione. Reato di falso ideologico: invece di ascoltarmi e di parlarmi, mi aveva fatto un'inutile doccia di chiacchiere insensate. Ma quel che è triste, è che non verrà mai punito. Non verrà mai rimproverato da nessuno. Non gli verrà mai fatto pesare l'avere anche me sulla coscienza, pecorella fatta smarrire da un prete a causa dell'insulsaggine di quest'ultimo e di tanti altri come lui. Oggi non si diventa atei per convinzione. Oggi, come sempre, si diventa atei perché i preti non sanno darti ragioni. Un prete che ti dà ragioni è una figura ormai estinta.
In ogni epoca ci sono mode, usi e costumi a cui ci si ritrova sottomessi. Ci sono dei divieti talmente stupidi che chi li infrange viene elegantemente chiamato “trasgressore”, anche se questa parola in realtà significa “perfettamente omologato”. Non c'è niente di più noioso che del sentire in TV citazioni di qualche “trasgressore” che “trasgredisce” e “dà scandalo”: generalmente si tratta di faccende riguardanti il sesso e la cafonaggine, spesso entrambe le cose. Che umiliazione sentir parlare di “scandalo” e di “trasgressione” quando in realtà si tratta delle solite insignificanti e trite banalità alla moda.

mercoledì 23 febbraio 2011

Cinque o sei anni fa, non so come, potei aggiungere sul MSN una donna che abita a poco meno di un centinaio di chilometri da me. Tentai di fare il galletto, tentai di invitarla a prendere un gelato insieme (avrei percorso duecento chilometri, tra andata e ritorno, solo per offrirle un gelato), ma non volle. Poi per molto tempo è scomparsa dal MSN. Temevo che mi avesse bloccato ma non cancellai il suo contatto, così come non ho cancellato i contatti che non risultano più raggiungibili su hotmail (cioè quelli che sono stati completamente cancellati dai loro proprietari). Ieri sera, poco prima che io andassi via dall'ufficio, improvvisamente si rifa viva. Bastano pochi secondi per mandarmi il cuore a cento all'ora. “Ti ricordi di me?” mi chiede. Certo, rispondo, senza precisare che ricordo bene quanti gentili tentativi ho fatto per esserti più vicino, e quanto ci ho messo per tentare di invitarti a prendere un gelato (senza riuscirci). “Mi sento sola e abbandonata, non mi sento in pace con me stessa e con gli altri”. Comincia a lamentarsi delle solite cose di cui si lamentano le donne quando sono prese dalla solitudine. Ho il cuore che si scioglie, ma non posso offrirle altro che me stesso, nel modo più delicato possibile. Le rispondo onestamente (non ho una ricetta per sanare il suo stato d'animo), ma ancora non finisco di scriverlo che lei già mi autorizza a mandarla a quel paese. Dev'essere proprio giù di giri, se parla così. Do fondo a tutta la delicatezza di cui sono capace: per un attimo mi sento un padre, per un momento mi sento un marito, per un istante mi sento un figlio, ma per la maggioranza del tempo mi sento come un amante non corrisposto che è allo stesso tempo addolorato e orgoglioso di poter spendere qualche parola per lei. Ad un certo punto, costretto dalle circostanze, le chiedo se è in lacrime. Mi dice che ha pianto tutto il giorno. Le chiedo se vuole parlarne al telefono, ma a quel punto lei cambia registro, mi ringrazia per averla lasciata sfogare, saluta e scappa. Faccio appena in tempo a dirle che le lacrime liberano l'anima da tanti pesi, e lei già mi dà la buonasera e scompare. Da ieri sera sto ancora rimuginando: sarò stato troppo invadente? Avrebbe chiacchierato ancora a lungo con me se io non le avessi proposto di parlare al telefono? Sarà stata gelosa del suo numero di telefono per un semisconosciuto “vecchio amico”? Certamente avrà chattato con me solo perché ieri sera ero l'unico a cui poteva parlare, l'unico contatto on-line che ha trovato. Mi sento come un mendicante che elemosina persino una chiacchierata con una donna. Tutto ciò che ho guadagnato ieri sera è stato un piccolo (ma per me preziosissimo) “grazie per avermi ascoltata”. Chissà se e quando avrò modo di ascoltarla ancora. Chissà se ne ascolterò mai la viva voce. Chissà se potrò mai compiere quei cento chilometri di scomodissimo viaggio per poterla ammirare e per poterle regalare un misero gelato. Chissà se potrò mai tenerla per mano, anche soltanto per un istante. Mi vengono lacrime al solo pensare quest'ultima scena, in una piazzetta di un paesetto di provincia, con un sole pallido sullo sfondo, mentre per un attimo solo, brevissimo e interminabile, le tengo la mano per salutarla guardando il suo volto semplice che non dimenticherei mai più.

martedì 22 febbraio 2011

Daccordo, siete voi a dover giudicare chi è idoneo e chi no. Ma tutti vedono e tutti sanno che fino allo scorso anno avete lasciato passare fior di incompetenti e che quest'anno avete improvvisamente cambiato registro, diventando fiscali e perfezionisti. Ma posso almeno chiedere di essere esaminato senza inutili umiliazioni?
Quanta invidia provo quando leggo su qualche blog espressioni come “la donna che amo”. Parole che ancor oggi non posso pronunciare. Sono tante le donne che amo, sono tante le donne con cui spenderei volentieri il resto della mia vita. Ma nessuna di queste spenderebbe la sua vita con me.

lunedì 21 febbraio 2011

Quelle commesse sempre sorridenti, in realtà la sera prima hanno pianto. Lei ha pianto per un amore che non conosce inizio; l'altra ha pianto per un amore che ha prematuramente conosciuto fine; quella con i capelli a coda di cavallo ha pianto perché è stata abbandonata, abbandonata perché incinta, incinta perché ingenua, ingenua perché credeva che fosse solo quello il modo di mantenere innamorato il suo uomo. Sorridono, nascondendo le righe di pianto sotto un makeup o un'abbondante lavaggio, sorridono sempre, ma hanno lasciato in quelle lacrime parte della loro vita. Piangere spesso significa invecchiare rapidamente: le rughe vengono prima a chi spesso piange. C'è quella che ha pianto perché hanno trovato finalmente una maledetta scusa per licenziarla a fine mese, c'è quella che ha pianto perché la vita con la madre è un inferno, c'è quella che ha pianto perché il dottore le ha detto che la madre ha sei mesi di vita, forse meno. Tutto luccica nei grandi magazzini, tranne l'unica cosa che luccica per natura: quelle lacrime versate al buio.

venerdì 18 febbraio 2011

Uno dei più importanti simboli di quest'epoca è la borsetta dozzinale da cui fuoriesce il Nokia-tune (la suoneria del cellulare che la proprietaria... non sente).
C'erano i tempi in cui una casa costava tre anni netti di stipendio. Nella generazione successiva, una casa costa trent'anni netti di stipendio (mobili esclusi). Lavorare una vita intera per pagare il tetto sotto cui vivere: cioè schiavismo. Un debito che non si estingue mai, e che passa dai genitori ai figli. Cioè schiavismo. Siamo diventati schiavi senza accorgercene. Una società di schiavi.

giovedì 17 febbraio 2011

I concetti astratti sono pericolosi. Trovi un gruppo di persone che etichetta la propria associazione con varie eleganti parole, tra cui “amicizia”. Dai un'occhiata e scopri che non c'è “amicizia”. Oppure, più precisamente, scopri che ciò che loro chiamano “amicizia” è ciò che tu chiameresti “partecipazione a delle attività preprogrammate”. Gli esempi potrebbero andare avanti all'infinito, dalla politica allo sport, dalla religione al volontariato. Paroloni astratti usati in modo ambiguo. Ideali dichiarati nel titolo, che scompaiono nel nulla non appena dai un'occhiatina all'interno. Non solo per il fatto che oggi capita spesso che la gente assegni alle parole un significato funzionale ai propri comodi. Ma anche per il fatto che tantissimi credono alla necessità di mentire pur di raggranellare consenso. Non solo in politica. Non solo in campo sentimentale.
Quando la vedo mi viene da dirle: vorrei inondarti di coccole, vorrei dirti tante parole dolci, vorrei tanto abbracciarti... E mi fermo lì, imbambolato, perché non posso dirglielo. Non posso. Se mi va bene, penserebbe ad uno scherzo da ragazzino. Se capisce che faccio sul serio, mi respingerebbe così come si respinge un maniaco. Vorrei dirle tutte quelle cose ma devo tenermele dentro. Ma perché voglio dirgliele? A ripensarci onestamente, voglio dirgliele perché è ciò che vorrei sentirmi dire. Da lei o da un'altra come lei. Vorrei una donna che mi inondasse di coccole e vorrei ricambiarle. Ecco perché guardandola pensavo “vorrei inondarti di coccole”. Quello che vorremmo esprimere ad altri, è (praticamente sempre) quello che vorremmo ottenere da loro. Quella donna così dolce, così bella, così attraente (attraente nel senso pieno della parola, non soltanto attrazione fisica) mi ispira quelle parole perché mi ha ispirato quella sensazione, quel desiderio di essere suo, di essere amato da lei. Ogni giorno incontro tante donne a cui vorrei dire quelle parole. Ogni giorno desidero essere coccolato e amato da una donna, una delle tante che mi passano accanto. Ogni giorno. Ma il dramma è di non poter dire nulla perché le regole della società sono quelle: la donna deve essere libera di vestire come “una di quelle”, deve essere libera di dispensare sorrisi e coccole a chiunque, ma farle capire che ti ha acceso un desiderio (anche il più innocente) è un grosso problema. L'uomo vive quotidianamente col terrore di sentirsi dire “ti prego: non rovinare questa nostra amicizia” (queste parole, una volta pronunciate, già significano che l'amicizia è rovinata, il rapporto è cancellato, l'amore non nascerà né oggi né mai).
Molte storie di fondatori di religioni si possono riassumere nelle parole: “ecco l'illuminazione che tanto aspettava”. Bibbia alla mano, tanto tempo libero, nessun vero problema economico, e a forza di leggere e rileggere prima o poi qualche idea balzana viene. La chiamano illuminazione. Storicamente nessun poveraccio ha mai inventato religioni. Chi ha da sudare ogni giorno per poter mangiare, non può creare rivoluzioni. Questo vale anche nella versione più provinciale e casereccia: chi non ha da combattere la propria povertà, non può inventarsi un gruppo religioso di cui finalmente possa esserne guida carismatica e capo indiscusso.

mercoledì 16 febbraio 2011

Una brevissima visita solo per consegnare un documento. “Sono sola in casa, oggi”, mi dice con una voce sommessa, quasi tremante, da cui era facile capire che desiderava che mi trattenessi. La saluto con cortesia, il mio tempo è già scaduto. Lei comincia a parlarmi del gatto, senza nemmeno alzarsi dalla sedia. Mi squilla il cellulare: il mio tempo è scaduto e vengo richiamato all'ordine. Evito di rispondere, la saluto per la seconda volta. Con visibile fatica si alza, accosta la sedia, mi accompagna alla porta. La saluto ancora una volta, esco ed attraverso velocemente il cortile, come preoccupato che il cellulare possa ricominciare a squillare. Lei è ancora lì, dietro la porta semiaperta. L'antidoto alla sua solitudine è stato, per oggi, solo quel salutare. La sua solitudine non consiste nello stare da sola a casa. La sua solitudine è la vita di tutti i giorni. Mi rasserenerebbe parecchio se oltre a me e al gatto esistesse qualcun altro che non la faccia sentire sola.
Forse sono già vecchio. Me lo dico ogni volta che vedo questi ragazzini pomiciare, ogni volta che li sento parlare come attori di film porno, ogni volta che li vedo abbigliati come venditori e venditrici del proprio corpo. In tutti questi casi, infatti, mi viene da pensare: “ma io alla loro età non ero così”. Alla loro età ero un po' più semplice, più ingenuo, più innocente. Sì, sapevo cosa significano certe parole, sì, avevo visto qualche immagine di donne nude, sì, ma non ero come loro sono adesso.

martedì 15 febbraio 2011

Il prete declamò la bibbia: “vi libererò dalla mano dei malvagi, vi salverò dal pugno dei violenti”. Che belle parole. Peccato che siano al futuro. Nel presente, la mano dei malvagi è già tutta contro di me (e anche l'altra mano, e anche la loro voce, e anche le loro azioni, e anche i loro avvocati, malvagi come loro). Impossibile essere cristiani. La bibbia parla solo al futuro. I miei guai però sono nel presente, non soltanto nel futuro. Ci vuole qualcos'altro per poter accettare una promessa per il futuro. “Vi libererò”: sì, ma oggi? Purtroppo è oggi che i malvagi mi attaccano. Per fidarsi di una promessa al futuro ci vuole qualcosa di grosso nel presente. Altrimenti il cristianesimo è inutile, la bibbia è inutile, tutto è inutile.

lunedì 14 febbraio 2011

Preferiva quell'ipermercato perché completamente anonimo. Poteva portarsi a casa tanto di quell'alcool da farci il bagno per una settimana, e nessuno se ne sarebbe accorto. Ed era proprio sulla Statale che attraversava ogni venerdì sera. Nascondere tutto nel cofano e tornare a casa come se niente fosse. A mezzanotte, mentre tutti dormono, sarebbe tornato nel box. Avrebbe acceso la luce fioca del pannello attrezzi, e avrebbe portato le bottiglie sotto il telone nell'angolo. Magari stappandone una nel frattempo: sai, qui si può bere senza essere visti da nessuno. Bere da solo, al buio, mentre il freddo invade il box auto, fino a non sentire più la puzza di copertoni e di gas di scarico. La vecchia poltrona scolorita e strappata lo avrebbe ospitato quando l'alcool avrebbe preso il sopravvento. Il tempo di nascondere tutte le bottiglie (che non vada persa neppure una goccia di alcool!) e ritornare su, in casa, a smaltire la sbornia. Ma no, anche stavolta si era addormentato sulla poltrona sporca e puzzolente di piscio, circondato da bottiglie, e con la plafoniera del pannello attrezzi ancora accesa. Cercò qualche misera spiegazione da dare a se stesso per sentirsi orgoglioso di quel che aveva fatto, ma il puzzo di piscio impediva qualsiasi ragionamento, mentre la testa batteva come se dentro ci fosse qualche matto a martellarne le pareti.
“Questa è la volta buona”, si disse il videogiocatore accanito, “su, coraggio, questa è la volta buona” si disse per la milionesima volta. Delle figure colorate apparvero sullo schermo. Quante ore della sua vita vi aveva dedicato! Quante volte si era detto “la volta buona”, e invece non era mai stata buona. Non per questo aveva smesso di sperare. Al contrario, più andava buca e più insisteva. “Un'altra partita”, pensò cercando di non pensare, “solo un'altra e poi basta”, pensò come a bassa voce, come per non farsi sentire neppure da se stesso. “Questa potrebbe essere la volta buona, dai, almeno recuperare quanto abbiamo investito in questa giornata, dai...”

venerdì 11 febbraio 2011

Non riesco a smettere di pensare alla “cicciona che faceva la scimmietta”. In una chiacchierata goliardica con i colleghi di lavoro direi certamente che la detesto: è comunque vero che ho sempre detestato le donne sovrappeso. Provo compassione per lei? Un po', può darsi. Cosa provo per quella poveraccia che aveva avuto bisogno di bere alcoolici per poter mettersi in mostra? Voleva farsi notare da qualcuno senza essere costretta a pensare che la si nota solo per il suo peso, senza guardarsi sgomenta la pancia debordante dai jeans. Avevo capito il suo stato d'animo, per questo le ho sorriso. Avrà colto il sorriso e lo avrà conservato in cuore, seppure con la paura di scoprire un giorno che non era un sorriso di simpatia. La società impone modelli, comportamenti, ritmi, parole, impone tutto. Chi si discosta dalla media si ritrova ai margini. Alcuni fanno baccano ai margini, in modo da fingere di essere orgogliosi di essere emarginati, come la volpe e l'uva. Altri, molti altri, la maggioranza, soffrono. Come lei con i suoi chili di troppo. Come me con la mia solitudine. Quello scambio - la sua piroetta e il mio sorriso - dimostra che si può essere vivi senza sottostare alle imposizioni di questa società televisiva. Si può essere vivi e felici. Peccato non poterla avere di nuovo accanto. Sarebbe stato bello riuscire a conoscerla. Sarebbe stato bello, sarebbe stato bello, sarebbe... mi sento come un adolescente alla sua prima cotta.
Le tre amiche ciccione, probabilmente un po' ubriache, che saltellavano e ballavano nella metropolitana. Dev'essere triste, la solitudine. Dev'essere tanto triste l'essere scartate e umiliate per quei chili di troppo. Lancio uno sguardo involontariamente lungo (pochi decimi di secondo) ad una delle tre. Se ne accorge. La vedo appendersi ad uno dei sostegni, come una bambina scatenata (e temo per il sostegno, poco abituato ad un simile stress meccanico). Le accenno un sorriso. Ti sono vicino, vorrei esserti vicino, vorrei darti quelle coccole che pensi ti siano sempre state negate a causa di quei rotoli di lardo. So cosa provi: anch'io sono scartato e umiliato ogni giorno, per fattori tutto sommato secondari (aspetto fisico, condizione economica, e stupidate simili). Ti capisco, ti vorrei esprimere la mia solidarietà. Ti sei rifugiata nell'alcool come le tue coetanee ed ora ti senti meno inibita a danzare come una scimmietta. Il destino ci separerà: io scenderò qualche fermata dopo la tua. Non posso seguirti, non posso approcciarti, perché sei troppo giovane e penseresti a qualcosa di cattivo, qualcosa di sporco e morboso. Perciò ti saluto con un ultimo brevissimo sguardo, un ultimo brevissimo sorriso, augurandoti di trovare uno come me, uno che guarda prima al cuore e poi alla pancia, uno che desidera amare piuttosto che uno che desidera scopare, uno che sappia cosa significhi essere guardati con commiserazione o con sufficienza, che sappia cosa significa essere presi in giro e umiliati per una qualsiasi differenza dai Canoni Fondamentali della Bellezza. Chissà se ti rivedrò mai, in questa metropolitana dove scorrono interminabili fiumi di persone di ogni colore e di ogni forma.

giovedì 10 febbraio 2011

Il tarlo dell'invidia. Lui dice poche parole: ogni suo monosillabo cattura l'attenzione di tutte le colleghe. Io sono qui da anni e devo quasi chiedere il permesso, prima di aprir bocca, perché altrimenti nessuna si accorge di me. L'invidia, come fare a non invidiarlo? Lui è qui da pochi giorni, e tra qualche settimana non ci sarà più: ogni cosa che fa sembra grande e importante, ricevendo complimenti e congratulazioni. Eppure fa le cose che ho sempre fatto io, e (non lo dico per rabbia) le ho sempre fatte meglio di come le fa lui. Invidia, maledetta invidia: gli scappa una scureggia e tutti sorridono perdonandolo di cuore. Se fosse successo a me, mi avrebbero deriso e preso in giro, ostentando un rumoroso silenzio per dare maggiore umiliazione. Sono invidioso di lui, lo ammetto. Perché mai ha tanto successo? Cosa ha di speciale, a parte l'essere di passaggio per poche settimane? Queste persone con “un che di magnetico”, quanto le detesto.

mercoledì 9 febbraio 2011

La scoperta più agghiacciante: san Valentino era un prete. Cioè prima di essere san Valentino era don Valentino. Don Valentino proteggeva gli innamorati: più esattamente, si trattava di fidanzati cristiani che anelavano al matrimonio e che temevano la persecuzione. Quindi è una festa cristiana che riguarda cristiani che vivono cristianamente l'amore, il fidanzamento e il matrimonio. Con grande sprezzo del ridicolo oggi la festa di san Valentino è uno squallido mercato di regalini e pensierini: guai a chi non ottempera a tutti gli obblighi che la società (cioè la TV) impone. Per fortuna non sono fidanzato (in realtà la considero una sfortuna, ma il 14 febbraio la considero una fortuna). Nella “festa degli innamorati” tutti sono presi da una squallida frenesia di ottemperare agli obblighi e alle “tradizioni”, infischiandosene di don Valentino (che certamente non prescriveva ai fidanzati di cincischiare, pomiciare o scopare), nel terrore di essere rimproverati da chicchessia per il non aver adeguatamente “festeggiato”. Maledette feste del nulla. Fondate per giunta su feste cristiane.
Quando mi chiedono come vanno le cose non ho scelta: o mento dicendo “tutto bene” oppure dico la verità cercando di riassumere in poche parole tutte le ambiguità, le vessazioni, le incertezze sul futuro a cui sono soggetto. Ma la maggior fatica è nell'evitare di pronunciare le parole sarcastiche: “sei bravo a darmi consigli, proprio ciò che volevo da te”.

martedì 8 febbraio 2011

Mi dispiace veder andar via il collega contento: è stato qui solo poche settimane, cominciavo a sentirlo simpatico. Era sempre sereno, cosa che mi dava molto fastidio agli inizi. Non è uno di quelli che hanno stampato in faccia un sorriso più o meno ipocrita, no: sembrava normale. Mi dava fastidio perché sospettavo che avesse una vita più allegra della mia, con meno guai, più soldi, e una donna fedele al suo fianco. Sempre contento. Non so quanti guai abbia. Una donna non ce l'ha. I soldi però non sembrano mancargli. Non so se nei suoi panni io sarei ugualmente contento.
Da ragazzini si sogna la BG (beautiful girl), cioè la leggendaria ragazzina carina che si innamora di te a prima vista e ti resta fedele e attaccata per tutta la vita. La BG è la versione per maschi del PA (principe azzurro). Anche quando la ragazzina trova uno passabile per PA, a poco a poco si accorge che l'uomo ideale non esiste. A volte arrivano a 40, 50 anni di età e ancora sognano rispettivamente PA e BG. Strana la vita: ci innamoriamo di persone “ideali” e poi ci accorgiamo che non esistono. Specialmente quando insistiamo a considerare “ideale” una persona che fa di tutto per dimostrare di non esserlo. Le BG riveleranno un carattere da strega isterica e i PA riveleranno di essere peggio di maiali annoiati. In entrambi i casi bugie e ipocrisie completeranno il quadro.

lunedì 7 febbraio 2011

“Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d'orto”. Beato te che puoi meriggiare. Le arti, a cominciare dalla letteratura, sono per quelli che non hanno problemi economici. Noi della classe degli auto-sostentanti abbiamo come principale preoccupazione assicurarci vitto e alloggio. Lavoriamo allo scopo di coprire le nostre necessità più elementari. Con un parolone pomposo (“proletari”) venivano qualificati gli operai che avevano da nutrire la loro “prole”; io non ho né prole né moglie e devo lavorare sodo per mantenere (per fortuna) solo me stesso. Non ho tempo per “meriggiare”; d'altronde non ho un orto, ma solo un misero monolocale in affitto. Imparare a suonare il pianoforte e meriggiare pallido e assorto sono attività riservate a chi guadagna senza lavorare.

venerdì 4 febbraio 2011

Ci sono dei momenti in cui sei costretto dalle circostanze ad essere calmo e rilassato. Per fortuna in questi casi l'urgente bisogno di riposo aiuta molto. In momenti come quelli ti metti a riflettere sulla tua vita e ti accorgi di quanto siano stupide e insignificanti le cose che normalmente desideri. Ci si fa in quattro per andare a pranzo con lei, e poi? Venti minuti con lei, passati in un baretto anonimo parlando di cose insignificanti e spremendo le meningi alla ricerca di un argomento per essere un pochino più in confidenza che nel mese precedente. Quando si è da soli a riflettere rilassati e calmi, si prova orrore nel ripensare a tutta la fatica fatta per corteggiare una donna che se ne infischia di noi. Se ne è sempre infischiata. Se ne infischierà sempre di più, limitandosi a sfruttare i vantaggi della nostra mania di idolatrarla.
Il modo peggiore per cominciare una vacanza è ritrovarsi il dubbio di aver lasciato aperto un rubinetto a casa. Il dubbio ti distrugge.

giovedì 3 febbraio 2011

Ci sono molti modi per togliere ad un uomo la sua vita. Non c'è bisogno di proiettili o di veleni. Bastano i dubbi. Basta lasciarlo sepolto dai dubbi circa il futuro o la vita sentimentale.
In stazione il signorino baronetto chiese al capotreno dove si trovasse l'Alta Velocità. Il capotreno, quasi senza smettere di sfogliare le sue carte prima di rientrare sul locomotore, fa un cenno per indicare una direzione. Indicava in realtà il tabellone luminoso. L'Alta Velocità: il signorino baronetto chiede solo il massimo. Al signorino baronetto le Medie e Basse velocità danno il voltastomaco. Il signorino vuole solo l'Alta Velocità, e chiedeva dove si trovasse: aveva talmente bisogno dell'Alta Velocità da non aver tempo di guardarsi intorno per trovare il tabellone delle partenze. Ah, quanto è Alta l'Alta Velocità. Un treno che prende il nome da una sua caratteristica, un po' come nei film sulla mafia italoamericana i gangster si chiamano Smilzo, Tappo e Grasso. Il mito dell'Alta Velocità: per un biglietto che costa circa il triplo, ti garantiscono mezz'ora di viaggio in meno. Vale così tanto il tuo tempo, caro signorino baronetto?
Il freddo incattivisce. Chi non è perfettamente riparato contro il freddo diventa più cattivo e più cinico. A differenza del caldo, le temperature basse ti irrigidiscono anche la mente. D'inverno devo riscaldarmi come posso, senza usare stufe o termosifoni, perché dall'unico misero stipendio devono uscire già troppe spese incomprimibili (fitto, trasporti, luce, acqua e balzelli vari). Coprirsi con più lana, rintanarsi sotto le coperte, passare il maggior tempo possibile in ambienti climatizzati, diminuire al massimo gli spostamenti (specialmente quando piove). Il mio misero stipendio non è qualificato come soglia di povertà, ma allora perché vivo come un poveraccio? Ho un tetto, ho un letto, ho il pranzo e la cena, di che mi lamento? Il freddo mi incattivisce: questo è il sintomo principale del fatto che sto sul filo del rasoio, sul filo della povertà.

mercoledì 2 febbraio 2011

Esistono tante persone che vivono di obiettivi decisi al momento, in nome dei quali sono disposte a sacrificare tutto ciò che avevano scelto e amato in precedenza. Sembrano appassionarsi a qualcosa, e un mese dopo hanno già dimenticato tutto perché sono impegnate in qualcos'altro. Persone incapaci di avere ideali, incapaci di avere ricordi, incapaci di avere uno stesso desiderio per più di qualche mese. Se in un qualsiasi momento della loro vita tu ne fermassi una e le chiedessi: “per cosa hai lottato fino ad oggi?” Ti risponderebbe “mah, non so, questo, quest'altro, così come capitavano”. Così come capitavano.
La differenza tra oggi e i Vecchi Tempi... è che allora era pericoloso il sesso, oggi è pericoloso l'amore. Allora si temevano gravidanze indesiderate e malattie veneree, oggi si teme l'amore non ricambiato. Allora si parlava di amore senza sosta, oggi si parla di sesso senza sosta.

martedì 1 febbraio 2011

Uno dei migliori modi per qualificarsi come ignoranti è dire ad una donna “questa canzone la dedico a te”. La canzone l'ha composta un altro. L'ha composta per venderla, non perché crede davvero in quel che canta. Anzi, gliel'hanno composta: un altro ha scritto il testo, un altro ha rivisto il testo, un altro ha corretto il testo, uno ha scritto la musica, un altro l'ha arrangiata, un altro ancora l'ha adattata... Quella canzone è un prodotto commerciale. Un prodotto preconfezionato, adattato per massimizzare la vendibilità. Interessa solo far soldi, non interessa che un provinciale qualsiasi “dedichi” ad una provinciale qualsiasi allo scopo di farsi bello. Interessava solo venderla il più possibile. Tu credi di essere romantico e seducente? Credi che lei si innamori di te perché le hai “dedicato” una canzone che non hai né composto né suonato né cantato né comprato? Credi che quelle parole della canzone, costruite su misura delle “donne medie che comprerebbero il compact disc”, possano sostituire ciò che hai in cuore e ciò che vorresti dire? Sei solo un povero provinciale, uno dei tanti sconosciuti delle più sperdute province della società. La donna non ti ha mandato dove meriti... ma soltanto per gentilezza (e per un po' di tristezza del non riuscire ad essere corteggiata in maniera più umana).
“Vorrei una storia come quelle dei film”, quelle dei film a lieto fine, dove i titoli di coda sono l'ostacolo definitivo ad ogni problema. Caro amico, la vorremmo tutti una storia “come nei film”. Ma le donne che incontriamo non sono mai “come nei film”.