venerdì 30 dicembre 2011

Una volta potevi vedere in giro donne vestite con notevole semplicità, donne che avevano scoperta solo la testa e le mani, donne che l'unica cosa aderente che indossavano era la fascia tra i capelli... e coglierne tanta bellezza da restare a bocca aperta. Oggi le vedi più svestite di una battona di periferia, e cinque minuti dopo le hai già dimenticate. Una volta coglievi quella bellezza in un'infinità di fattori disposti armonicamente. Oggi uno sceglie moglie selezionando la donna che ha le chiappe più vistose. Sposano un paio di chiappe con -incidentalmente- una donna attaccata vicino. Poi si lamentano che il matrimonio riesce una merda (e non lo dico per fare umorismo).

giovedì 29 dicembre 2011

Quarant'anni abbondanti, sposata, figli, divorziata, annoiata, malinconica. Cerca un uomo, vuol rifarsi una vita. Dopo aver promesso ad un altare (religioso o municipale, non fa differenza) fedeltà e amore senza limiti per tutta la vita... ha bisogno di “rifarsi una vita”. Un animale da compagnia, possibilmente dotato di automobile e di stipendio sicuro. Incredibilmente, pensa che “stavolta” sarà la volta buona. Pensa che il prossimo principe azzurro sarà incapace di tradire, incapace di mentire, incapace di egoismi, incapace di annoiare. Le peggiori bugie a cui più stupidamente crediamo, sono quelle che ci inventiamo per consolarci.
L'equivoco moderno: credere che la bellezza venga nascosta dai vestiti anziché dall'atteggiamento. La bellezza è armonia. Ridurre l'armonia di tantissimi fattori al solo fattore “curve”, significa scavarsi la fossa per un'esistenza di delusioni (amorose e non amorose).
I nostri nonni etichettavano in modo sprezzante le donne convinte che per essere belle e frizzanti occorresse esibire le proprie curve. “Una vacca in libertà”, dicevano per una scollatura ampia. “Una gallina che sente l'uovo al culo”, dicevano di una ragazzina che per sentirsi adulta si vestiva come una puttana di periferia. La cosiddetta liberazione sessuale ha “puttanizzato” tutte le donne. La cosiddetta televisione ha “puttanizzato” le mamme, specialmente nei confronti delle figlie. Ancora non ha l'età per andare in prima elementare, e non passa minuto che la mamma non faccia allusioni al fidanzato, al maritarsi, al fare certe cosettine col fidanzatino... No, non dico queste cose provando scandalo. Provo solo fastidiosa indifferenza. Per scandalizzarsi occorre essere religiosi (“religiosi” non significa “credenti” in qualche religione, ma convintissimi di un livello di morale, di un livello di decenza, di un qualcosa che non si sa perché ma è bene non distruggere). Se vedo una vacca in libertà, la guardo compiaciuto, e poi - se non posso portarla a letto, come nella maggioranza assoluta dei casi - passo oltre, la dimentico. Tutto quel suo esporre curve è servito non ad essere valutata come “bella”, ma solo ad essere scrutata da ogni angolazione utile e poi dimenticata. Se vedo una gallina che sente di avere un uovo sotto il culo, provo solo fastidio, una fastidiosa indifferenza: la dimenticherò presto, prestissimo. Uscendo dalla metropolitana, già non ricordo più quanti e quali culi avevo argutamente osservato prima di partire pochi minuti prima. Le vacche umane e le galline umane sono le vere vittime di questa assurda mentalità: sono state convinte che per sembrar belle devono “puttanizzarsi”. Col risultato che le guardiamo, se possiamo le utilizziamo, e poi quando non servono più le scarichiamo. Anche (soprattutto) quando diciamo “bella”. Oggi, per un uomo, la parola “bella” significa “me la tromberei finché non trovo un'altra”.

mercoledì 28 dicembre 2011

...è come i ganci per le carrozzelle che si vedono nei treni. Non li ha mai usati nessuno, in mia presenza. Mai. In tanti anni, mai, mai, mai. Quanta gente avrà lavorato per progettarli, ingegnerizzarli, costruirli, economizzarli, collaudarli, consegnarli, installarli, manutenerli, aggiornarli, standardizzarli, verificarli... Mai usati. Dopotutto, chi è costretto su una sedia a rotelle, non può stare a controllare quanti e quali mezzi pubblici, e quante e quali fermate, siano “accessibili”. Una spesa immane per dotare di “accessibilità” stazioni e mezzi in cui non accedono mai le persone costrette sulla sedia a rotelle. Uno spreco assurdo. E come al solito l'unica voce di spesa che non vedono l'ora di tagliare è lo stipendio di coloro che materialmente producono ciò che sostiene l'azienda. (a questo punto devo aggiungere il solito noiosissimo disclaimer: non ce l'ho contro l'accessibilità per i disabili, non ce l'ho contro i disabili, ma ce l'ho contro gli sprechi, ed ancor più ce l'ho contro coloro che cercano ogni scusa per ridurre il personale che produce, ma non diminuirebbero di un centesimo qualsiasi altra voce di spesa).
E così un mattino ti svegli mentre sognavi di abbracciarla appena incontrata, la ragazzina che a scuola nessuno notava perché senza infamia e senza lode, perché non brutta ma nemmeno carina, perché silenziosa e mai protagonista, e che dopo la scuola tutti avevano dimenticato. Tanti anni dopo la sogni, e la cerchi su internet, e la trovi su facebook con un finto sorriso, un'età da rughe, un marito che l'ha presto abbandonata, qualche moscone che le gira intorno da anni sperando di riuscire a usarla e sperando che non compaiano altri concorrenti. L'abbraccio resta solo una cosa da sogno, solo per quando la sera prima la cena è stata troppo leggera o troppo pesante. Non sono le rughe ad averla trasformata. È stata un'intera vita senza colpi di scena, senza infamia e senza lode, a rovinarla. Una vita normale, fatta dei soliti sogni e delle solite speranze. Una vita in cui non è accaduto nulla di grande, tranne le delusioni.

martedì 27 dicembre 2011

Mangiare mi gonfia ma non mi toglie il senso di fame. Ho sempre come la voglia di mangiare qualcos'altro. Per mia fortuna non ho niente di prelibato sotto mano. Non vorrei far la fine di quei ricchi che aprono una confezione per poi assaggiarne meno di una briciola, e poi la abbandonano.

venerdì 23 dicembre 2011

Il collega X mi detesta e in giro parla male di me. Il collega Y è andato a dire ad uno dei miei responsabili che io creo problemi. Quest'ultimo incarica il collega Z (che io stimo) di trovare un modo per dirmi di smettere di creare problemi. Mai sottovalutare le meschinità umane... X mi detesta, ora anche Y, il responsabile che si fida di loro pur sapendoli malelingue ed infine, meschino come loro, evita di affrontare direttamente con me le questioni.

giovedì 22 dicembre 2011

Una malattia, un handicap, un problema fisico, fanno diventare strane le donne. Si autoaccusano del proprio male. Si convincono che non troveranno mai un uomo, e quando un uomo si avvicina loro, si comportano come per forzare la dimostrazione della loro assurda teoria.

mercoledì 21 dicembre 2011

Uno dei vantaggi dell'aver frequentato quella chat è stato il poter conoscere quella fiorentina e poter cominciare a scambiare con lei qualche messaggio email. È malata e se ne vergogna, come se i problemi di salute fossero colpa sua. Teme che nessun uomo possa amarla: proprio oggi, che si ha una paura terribile dei problemi di salute (anche dei più piccoli), proprio oggi è difficile trovare un uomo disposto a amare e sposare una donna malata. Penso di essere uno dei pochi disposti ad amare e sposare una “malattia con donna incorporata”. Ma ho un po' paura.

martedì 20 dicembre 2011

Quella vigliacca mi ha espulso dalla chat. Crede di governare il mondo mentre finge di sorridere. Sta' tranquilla: non ho intenzione di rientrare nel tuo regno, nemmeno clandestinamente. Non sono così piccino da inventarmi un nuovo nickname solo per dirti quello che ti meriteresti (ma che hai già deciso di non ascoltare, e pertanto è inutile dirtelo). Il mondo moderno è pieno di dittatori che fingono di essere gentili e scherzosi, fingono di essere anti-nazisti e anti-fascisti, ma poi sono più hitleriani di quanto non possano mai immaginare. Hitler, almeno, non fingeva di sorridere.
Funerali? Anch'io ho un'esperienza simile, dei funerali. Ma ero più ansioso, e quindi la brioche mi fu promessa in anticipo (rendendomi ancor più ansioso di riceverla). Per cui mi chiesi che senso avesse partecipare ad una cosa dove bisogna per forza stare zitti e imbacuccati in un cappotto, e se la brioche-premio fosse stata proporzionale alla pazienza di presenziare.

lunedì 19 dicembre 2011

Sono forse l'unico blogger che non parla di fatti di cronaca e che non scrive niente di “natalizio”. Meno male. C'è vita, su questo pianeta.
“Questo è un Residence!” tuonò il giovanotto mentre il suo cane con pedigree annusava la pianta per sapere se era il caso di irrigarla con propri mezzi. Finsi di non capire cosa comportasse la sua affermazione. “Bisogna tornare indietro, perché questa è una Strada Privata”, spiegò il giovanotto. “Ma allora, come arrivo all'incrocio dove si prendono gli autobus?” chiesi, tentando di addossargli la risoluzione del mio problema. Ma il giovanotto probabilmente non aveva mai preso un autobus in vita sua. Per togliersi dai piedi il seccatore che aveva sconfinato nel Residence, indicò la strada verso il cancello: “bisogna proseguire di là, fino al primo incrocio, e lì chiedere dov'è l'incrocio degli autobus”. Risposi: “ma lì al primo incrocio non ho visto nessuno, per questo ho proseguito per la stessa strada fino a trovarmi qui”. Gliel'ho detto solo per dargli fastidio: sono certo che il giovanotto non ha mai dovuto chiedere informazioni stradali in vita sua, tanto più in un freddo venerdì sera di dicembre ad un misero e buio incrocio.

venerdì 16 dicembre 2011

Avrei voluto giurare fedeltà al re, ma in verità quel re era indegno perfino di una gran pedata al culo.

giovedì 15 dicembre 2011

Che tristezza con questi “eroi di importazione”. Basket NBA, graffitari, jeans, Apple. Siamo una colonia periferica degli USA.
L'auto difettosa va portata dal suo meccanico di fiducia, quello che l'ha cresciuta, quello che la conosce bene (e che conosce bene anche il suo proprietario)... non da 15 meccanici diversi che aggiusteranno 15 difetti più o meno inesistenti, tranne quello che chiedevi. Portarla da 15 meccanici diversi significa aver spersonalizzato l'uso di quell'auto, significa considerare l'aggiustamento del difetto come una merce comprabile in qualsiasi supermercato, significa in fondo in fondo considerare il lavoro come una merce. “Io ti pago, tu aggiusti” dice solitamente il capo: il lavoro è una merce, in cambio della quale viene elargito (con estrema parsimonia) del denaro. Ma io non sono merce. Il mio lavoro non è una merce. I soldi non sono tutto. I soldi sono importanti solo perché sono maledettamente pochi e mal distribuiti.

mercoledì 14 dicembre 2011

Un antichissimo dogma del mondo del lavoro dice così: “dato che una mamma è capace di fare un figlio in nove mesi, allora se organizziamo in team un equipe di nove mamme otterremo un figlio in un mese”. Nel mondo del lavoro si fa sempre così, anche nel 99,5% dei casi in cui il lavoro non può procedere con nove mamme in parallelo.

martedì 13 dicembre 2011

Dopo molti anni ho rivisto un'amica di infanzia. Ero certo che fosse lei, assolutamente certo: stesso stile, stessa corporatura, stesso taglio di capelli. Non potevo neppure salutarla. Cosa dirle? “Ciao, tu sei quella che abitava sullo stesso pianerottolo?” E poi? Dalla cartelletta che portava con sè, direi che lavora come guida turistica. Chissà, forse mi ha riconosciuto ma ugualmente si sarà chiesta: “devo proprio fargli capire che mi ricordo di lui? poi farà di tutto per sapere se sono fidanzata, per sapere se possiamo uscire insieme, per sapere se voglio sposarlo... che noioso, come tutti gli uomini (tranne quello che veramente mi interessa e che non si cura punto di me)”.

lunedì 12 dicembre 2011

Bottiglina di bevanda ad alta digeribilità. Che schifo: non il prodotto, ma la pubblicità, è uno schifo. Alta digeribilità: dunque tutto il resto delle bevande è basso? Dunque abbiamo tutti problemi di digeribilità? Dunque i nostri mali sono esclusivamente fisici ed anche una digestione faticosa non c'entra niente con il mobbing che subisci giorno per giorno sul posto di lavoro?
Come tanti, mi piace scrivere racconti in cui mettere letteralmente a nudo la mia anima, in cui mettere nero su bianco la verità di ciò che c'è intorno a me (anche di quella più sgradevole)... ma ogni volta che scrivo qualche riga, mi sento come se avessi buttato giù tanta immondizia irreparabilmente idiota. E così getto tutto via. Sì, è drammatico avere sensazioni che ci è impossibile descrivere veramente ed esattamente con le parole.

venerdì 9 dicembre 2011

Con l'avvicinarsi delle feste di Natale diventano tutti “natalizi”. Odio le feste. Odio Natale e odio Pasqua, perché non servono a nient'altro che a spendere soldi. Odio i compleanni e gli onomastici, perché non servono a nient'altro che a fingere. Quanto più si dicono estranei alla religione... tanto più si affannano a prepararsi il Natale e la Pasqua e il compleanno e l'onomastico: hanno un che di religioso, nella loro fissazione.

mercoledì 7 dicembre 2011

Ho scoperto che la collega tutta carina e tutta bellina alla quale ebbi la fortuna di aprire la porta... non solo è sposata, ma è destinata ad altra sede. Da un lato mi sento vendicato della battutaccia del capo. Ma dall'altro ho un magone terribile perché so già che non la rivedrò più.
Un tratto caratteristico di ogni capetto aziendale è che quando parla con i suoi sottoposto pone delle domande e risposte assolutamente banali. Esempio: “ma questo perché non si può consegnare? manca la parte interna? e allora, perché non avete completato la parte interna? e perché non potevate chiederlo prima, il tempo che vi è necessario? e perché non mi avete detto prima che c'era questo rischio? e perché non avete trovato nessun modo per anticipare il problema?” I capetti fanno domande retoriche.

martedì 6 dicembre 2011

Una figuraccia fatta di recente: mi chiedono di accompagnare una nuova collega. Stupenda, resto davvero senza fiato (il primo giorno di lavoro si è presentata tutta bellina e tutta carina, naturalmente). Il capo se ne accorge e fa perfino una battutaccia che mi fa arrossire. La collega è ovviamente destinata a lavorare tra i capi: per lei, ancor prima di entrare, ero già un numero, un insignificante che si è trovato ad aprirle la porta per pura coincidenza. Se fossi stato un cane mi avrebbe gratificato di una carezza, ma siccome sono un uomo non mi ha degnato neppure di uno sguardo: è fiera della sua bellezza fisica, sa bene che la sua bravura sul lavoro conta poco. Il maledetto capo se ne è accorto che per un interminabile secondo sono rimasto ad ammirarla ed ha fatto in modo da farlo sapere a tutti. Quel giorno non si parlò d'altro.

lunedì 5 dicembre 2011

Con tutto l'internet che abbiamo, è un altro pianeta. Non so come si socializzasse ottant'anni fa, ma funzionava: si poté perfino mettere una tassa sul celibato. Oggi invece no: si può socializzare restando a casa davanti al computer, mandando comodamente foto sul proprio “profilo” di tanti siti web, potendo spacciarsi per ciò che non si è. Nelle chat è tutto un fiorire di nickname “dolce”, “dolcissimo”, “bello”, “simpatico”, eccetera. Ma poi ci si accorge che con la velocità di un clic del mouse altrui, il tuo profilo resta lì abbandonato per mesi. Cambi la grafica, aggiungi foto, cambi template, aggiungi video, scrivi le cose più poetiche che ti vengono dal fondo dell'anima e... non solo scopri che c'è gente che ha saputo farlo molto meglio di te ma ti accorgi che anche a loro non è servito a niente. Non hai “socializzato”. Tutto l'interesse che ti è stato manifestato, è scomparso il giorno dopo. Avevi tanto sognato di aver finalmente trovato una persona che si interessasse di te, ed invece un clic del mouse te l'ha portata via. Quando non si poteva socializzare, ci si sposava tutti, con perfino la beffa della tassa sul celibato per chi non faceva in tempo a trovar moglie. Oggi, che in teoria si può socializzare così tanto, è mille volte peggio. Siamo un mondo di sognatori solitari che in mezzo al caotico fiume di “profili” su internet non possiamo non diventare sospettosi di tutto e rassegnati alla solitudine.

venerdì 2 dicembre 2011

Tipico caso aziendale: un lavoratore il cui stipendio è a tre cifre trova una soluzione per migliorare un prodotto. Cosa fanno i capi? Lo premiano? No, gli chiedono di documentarla bene perché... vogliono brevettarla. Tanto, lo stipendiuccio glielo abbiamo già pagato: che pretende? Che gli diamo una percentuale? L'idea l'ha avuta mentre lavorava per noi, durante il suo orario di lavoro: che pretende? Che gli diamo un premio? Se non fosse stato per quest'azienda, quel lavoratore non avrebbe mai avuto modo e tempo di ideare quella cosa, perciò: che pretende? Che gli diamo una gratifica una tantum? Ma va' là! Una pacca sulla spalla è più che sufficiente. Toh, quello sfaticato è già andato via, eppure non sono nemmeno le 18:30, neanche una mezz'ora in più è capace di rimanere fuori orario? Vergogna...

giovedì 1 dicembre 2011

E' sempre una lotta continua tra coloro che vorrebbero il lavoro “pronto ieri” e già pagato, e coloro che invece vorrebbero il lavoro “fatto bene” e in modo umano. Cioè tra i vertici dell'azienda e i semplici lavoratori. Ai miei capi, sebbene compulsivamente richiedano che il lavoro sia “ben fatto”, non importa niente della qualità: importa solo il rispetto delle scadenze di consegna, scadenze che loro stessi hanno fissato senza conoscere l'entità del lavoro da svolgere.
Tutte quelle volte che ti arriva una grande delusione... è come se tu l'avessi aspettata da tanto tempo, è come se tu avessi sempre saputo ma sempre facendo finta di niente.
Dobbiamo sempre stare attenti perché tutto ciò che ci circonda è fatto per tradirci. Le menzogne sono sempre scritte a caratteri cubitali. Come quando scrivono “fragrante” su certe confezioni. O come quando scrivono “conveniente” sulla pubblicità. O come quando ti mostrano il volto elegante e sorridente di qualcuno che si presume abbia la tua età, i tuoi guai, il tuo misero stipendio, la tua inscalfibile precarietà, i tuoi problemi di tutti i giorni e... con un gesto dl dito sul tasto del mouse e qualche settimana di paziente attesa, diventa milionario e miliardario. Tutto è menzogna, attorno a noi.

mercoledì 30 novembre 2011

È deprimente scoprire che l'autore di una delle più belle storie che tu abbia mai letto... è di qualche anno più giovane di te.

martedì 29 novembre 2011

Ad ogni ricorrenza per me importante (come oggi) traccio sempre un breve bilancio. In un attimo rivedo i miei fallimenti (e anche i miei successi), ma soprattutto vedo i miei desideri irrealizzati. Ma se già dall'inizio so che assai difficilmente sono realizzabili, perché li desidero?
Un altro colloquio? Ecco, si presenta di nuovo la solita difficoltà: spiegare perché vorrei lasciare questo lavoro, “vorrei ma non posso”, però “potrei” se le condizioni sono ragionevoli. Insomma, sono un disperato che non vuole sembrare disperato, perché presentarsi come tale significa essere sfruttato come tale. Ma è difficile inscenare una commedia del genere nell'epoca in cui più o meno tutti sono disperati.

lunedì 28 novembre 2011

Tante volte in vita mia sono stato tentato di cadere in quelli che chiamano scompensi alimentari. Le tentazioni di quel genere, quando la vita si fa difficile, aumentano. Recentemente avvertivo concretamente come una specie di suggerimento, non detto a parole ma dettato dal corpo, anzi, non dettato dal corpo ma imposto dalla mente: scaricare lo squilibrio dell'animo in uno squilibrio alimentare, come se chiodo scacciasse chiodo. Ma non è così. All'origine di tanti squilibri, c'è una decisione presa con tutta la volontà, anche se mentalmente uno si impone di negarne l'esistenza. All'origine di tanti squilibri c'è una decisione dettata da un sentimento.

venerdì 25 novembre 2011

L'amore tra me e lei è impossibile. Per il suo bene non posso nemmeno dirle quanto sia dolce. Per il suo bene devo tacere, che è peggio che farsi frustare con la cinghia. Per il suo bene. Una volta le dissi che era una bella ragazza e lei, imbarazzata, rise. Quel ridere voleva essere un modo di respingere il mio complimento, e sotto sotto accettarlo. Ma rovinai tutto insistendo a dire che era carina. La prima volta che lo dici, anche se lei negasse, la parola fa effetto, giunge a destinazione. Ma la seconda volta sei già uno che si scusa, uno che sta sulla difensiva, uno che afferma la propria coerenza ripetendo una cosa detta un attimo prima e ripetendola solo per dare a vedere che la ripete. Già le donne son complicate: e lei, per il fatto che è totalmente impossibile che noi si stia insieme, è purtroppo ancora più complicata. Quanto mi piacerebbe stare con lei! Ma degli assurdi fattori di questa vita di sofferenze lo impediscono. Al più c'è spazio per i sogni, ma il sogno di un bicchier d'acqua non toglie la sete: la esaspera. Meglio non sognare: tenere gli occhi aperti è meglio. Però anche tenendo gli occhi aperti, ricordo il suo sguardo e il suo sorriso, li sento chiarissimi anche se è passato più di un anno dall'ultima volta che l'ho incontrata. Un uomo può amare una donna anche standole distante per tanti anni (una volta ne erano capaci quasi tutti).
Conoscere le debolezze di una persona significa poterla utilizzare come arma contro qualcun altro. Sanno quanto soffro nel venir maltrattato e perciò mi maltrattano per indebolirmi e ultimamente guidarmi, spostarmi come una pedina su una scacchiera.

giovedì 24 novembre 2011

Una delle cose che più odio. Il suo ghigno beffardo. “Cos'è questa roba?” mi chiede sarcastico. In un momento mi sale la pressione a diecimila. Mantengo il contegno e rispondo velocissimo: “esattamente quello che mi è stato chiesto dieci volte consecutive”. Colpito. “Ma non si può usare, non possiamo aggiungerla come dicevo...” Ottima reazione, ma l'istinto mi ha già trasformato in un lupo incontrollabile: “se non va bene la rifaccio daccapo”. Un momento di pausa, e proprio mentre sta per aprir bocca do un'altra bordata: “sono già impegnato con l'altra faccenda, ho bisogno di tempo”. Da vecchio speculatore va in stop-loss: “va bene, va bene” guardando altrove. Torno al mio posto, trattenendo la tentazione di sbuffare e cercando di non mostrare il mio volto ai colleghi. Passo un intero pomeriggio cercando di non pensare ad altro, cercando di non ricordare quanto si diletti ad umiliare inutilmente i sottoposti, assegnando compiti fastidiosi, incarichi insignificanti proprio nelle settimane in cui il lavoro si fa più duro. È un maledetto mobber, come tutti quelli del suo livello, arrivati a comandare senza aver mai avuto bisogno di obbedire, incapaci di pensare, incapaci di progettare, incapaci di agire, incapaci di intuire, pronti solo a menar giù una telefonata quando si accorgono che un incarico qualsiasi può essere rifilato a qualcuno dei sottoposti. Un vecchio sbruffone, nonostante abbia la mia stessa età. “Cos'è questa roba?” Infuriarsi significava dargli ragione. Fingere di non capire il sarcasmo significa dargli un colpo sotto la cintura. Ma non avevo previsto la sua ultima via d'uscita: assegnare quello stesso incarico -fastidioso e impossibile- al collega che mi difende di più. Se l'azienda fosse seria, dovrebbe licenziare in tronco chi fa mobbing, e dovrebbe licenziare ancora più in tronco chi fa mobbing in modo da creare odio e divisioni tra i dipendenti “fatturanti”, quelli che producono, quelli che col loro malpagato lavoro tengono in piedi l'azienda.

mercoledì 23 novembre 2011

Il nostro ambiente di lavoro, sebbene “a norma”, non sembra proprio allegro. Non passa giorno senza scenatacce da parte di qualcuno. Io sono fra coloro che hanno sbraitato meno di tutti: ho infatti un terrore nero degli scherzacci che potrebbero farmi i capi-capetti indispettiti. Addirittura provo piacere quando si occupano di qualcun altro, tartassando qualcun altro, rompendo l'anima a qualcun altro... se hanno qualcuno da torturare, sono occupati e non torturano me.
Perché ci si innamora di donne che non esistono se non nella nostra fantasia? Perché applichiamo sulle donne che conosciamo un rivestimento fatto di sogni impossibili?
Se fossi un ubriacone, mi ubriacherei tentando di pensare ad altro. Ma anche se in frigo ho una bottiglia di birra (comprata tanto, tanto tempo fa, forse ha già passato la data di scadenza) non riesco a fare altro che a sfogliare quei vecchi ricordi e lasciarmi andare alle lacrime. Pensando perfino: come sono astuto, piango proprio adesso che non c'è nessuno, proprio ora che posso permettermelo.

martedì 22 novembre 2011

Forse sono appena diventato vecchio. Mi ritornano in mente i ricordi delle belle cose che ho vissuto da bambino, dei bei sogni che avevo da adolescente, delle cose e delle persone che non sono più attorno alla mia vita e di cui non si trova traccia neppure su Google. I miei ricordi sono ancora vivi, vorrei urlare al mondo che esistono ancora, almeno nella mia testa e nel mio cuore, vorrei gridare a Google che può ancora reperire una loro immagine se potesse scavare nella mia testa, una loro frase, una loro parola, un loro gesto... il novanta per cento di quei ricordi è sbiadito e inutilizzabile: in che altro modo posso descrivere la ragazza col costume verde, se non ricordo altro che il suo sorriso? Cos'altro posso dire della dolcissima sordomuta che mi salutò mentre io rimanevo ingabbiato nel mio treno e nella mia cravatta? Che cosa posso ancora dire a Google del videogioco con le scimmiette, delle pareti della palestra, del dolce della domenica mattina, della collezione di foglie di castagno, della foto sul terrazzo con l'edera? Non rivivrò mai più quei momenti di gioia? Sono destinati ad essere dolcissimi e lontanissimi e sbiaditissimi ricordi?

lunedì 21 novembre 2011

Ammalato. Non nel corpo ma nello spirito. Sono stato male da quella sera in cui non so perché, rimasi fino a notte fonda a leggere quei vecchi fumetti che mi davano il batticuore da adolescente. Piangevo come un bambino, perché quelle figure non sarebbero più tornate. Quella donna di carta mi stregava, mi aveva conquistato il cuore. Bellissima. Una donna che ti spegne completamente tutti gli strani sensi. Una donna che il tuo primo istinto è ammirarla, starle davanti a bocca aperta, senza stancarti di ammirarla. Una donna così non l'ho mai vista. Una donna completa, che è sempre tutto ciò che puoi volere. Una donna così bella che ti fa dimenticare perfino i tuoi più brutti istinti, che allontani come se fossero fastidiose distrazioni mentre ti stai godendo il più delizioso degli spettacoli.

venerdì 18 novembre 2011

Uno dei miei più grandi desideri è riposare. Ritrovare una tranquillità che il lavoro, le istituzioni, l'economia, mi derubano continuamente. Riposare, riprendermi dalle fatiche: un po' come colui che ha appena ricevuto un calcio al di sotto della cintura e resta immobile per alcuni secondi prima di riprendere, lentamente, a muoversi: un riposo indispensabile, per lasciare attutire il dolore e lo stress.

martedì 15 novembre 2011

Sono ancora vivo. Il male del corpo può guarire, ma il male dell'anima fatica molto di più ad essere neutralizzato.

venerdì 4 novembre 2011

La bella biondina arrivò a quarant'anni di età ancora senza aver mai avuto un fidanzato. Nessuna storia seria, perché tutti quelli che la volevano intendevano soltanto portarsela a letto. Quarant'anni di acidità concentrata, più di quanto non fosse acida ai tempi del liceo, ma finalmente ha capito che l'Uomo Giusto è introvabile. Siamo nell'epoca dell'estinzione dell'Uomo Giusto, sostituito da uno sciame di mezzi uomini, incapaci di cercare altro che “quella solita cosa lì”.

giovedì 3 novembre 2011

Quel deficiente vive da solo e tiene sempre a tutto volume la radio. La pubblicità dei prodotti più stupidi e truffaldini invade la sua casa e le mie orecchie. Quel deficiente si sente solo e la radio e la TV gli fanno compagnia. E lui è un emerito deficiente perché considera compagnia anche la pubblicità. Certa gente per vivere ha bisogno di una fonte di rumore, qualsiasi rumore, purché non ci sia silenzio. Sono terrorizzati dal silenzio.

mercoledì 2 novembre 2011

La solitudine del cucinarsi un po' di pasta, di domenica, da soli. Il dover fare in fretta, per evitare che qualcuno degli altri rientri e pretenda di pranzare, certamente aiutando, ma sicuramente sporcando altri piatti e stoviglie e procrastinando inutilmente il pasto. Metto in pentola l'acqua calda, perché così arriva a bollire prima. Prendo una delle confezioni di pasta già aperte, ci saranno duecento grammi ma è meglio così perché il sabato sera ho cenato in modo fin troppo frugale. La solitudine del cucinare da soli: seppellisco minuziosamente la confezione vuota nel fondo della pattumiera, perché nessuno se ne accorga, perché nessuno abbia da calunniare su quanta pasta effettivamente consumo in loro assenza. Non preparo nessun condimento, tiro fuori un piatto di plastica usa e getta, con la forchetta giro la pasta mentre si cuoce e assaggio continuamente. Questi assaggi sono il mio antipasto: anche se mezzi crudi, sono il mio aperitivo. Finalmente è cotta: scolo con perizia, senza usare lo scolapasta, e verso tutto nel piatto usa e getta. Con la stessa forchetta lo buco da un lato, lì dove sporge sul lavello, in modo da far defluire l'acqua residua. Aggiungo un po' d'olio. Mangio in piedi lì, davanti al lavello, con avidità. Un rumore mi fa voltare di scatto, ma per fortuna non è ancora la porta, non è ancora rientrato nessuno, dopotutto sono le 13:30 e ho ancora l'alibi per aver pranzato da solo. Seppellisco accuratamente nella pattumiera anche il piatto bucato, ho dunque sporcato solo una pentola e una forchetta, che lavo in fretta e ispeziono un'ultima volta prima di riporle con attenzione lì dove erano venti minuti prima. Sì, in poco più di venti minuti ho preparato la pasta, l'ho mangiata in bianco con un po' d'olio, ho lavato e fatto sparire le prove. Esco dalla cucina come un ladro, dando un'ultima occhiata per accertarmi di non aver lasciato prove: mangiano come lupi ma quando vedono uno che mangia in loro assenza subito sono pronti a gridare che la dispensa è vuota. Contribuisco alla spesa comune e mangio meno di quel che effettivamente pago e mi tocca perfino studiarmi il momento in cui mangiare da solo. È uno strano piacere, un curioso assaggio di solitudine, un doloroso ma gradevole momento di pace mangiare da solo, più guardingo di un ladro, più frugale di un povero pensionato.

lunedì 31 ottobre 2011

Non c'è niente di più disgustoso del parlare con una donna dell'uomo che lei pensa di amare. Anzi, qualcosa di più disgustoso c'è: parlarne il venerdì sera quando lei è a casa e si sente sola. Qualcosa di ancor più disgustoso: quando la incontri durante i giorni successivi e lei è raggiante come se non avesse più nessuno dei crucci che ti esponeva minuziosamente durante quella interminabile chat. Sei stato per lei un animale da compagnia, un oggetto usato e gettato via. Lei non capisce cosa provi per lei. Lei non capisce che pur di scambiare due parole con lei sei disposto a parlare perfino di quell'idiota pieno di soldi che lei pensa di amare.
...e poi invece ti accorgi che sta festeggiando il suo decimo anniversario di menopausa. Certe donne vanno in “menopausa mentale” anche molto prima dei trent'anni.

venerdì 28 ottobre 2011

Non c'è niente di peggio di una donna che dice “forse era meglio che non ci fossimo conosciuti”. Ti sta dicendo che avete sprecato preziosissimi istanti della vostra vita. Tu perché insistevi e lei perché ti sopportava. Per cui “forse” (cioè “sicuramente”) era “meglio” (cioè “molto, molto, molto meglio”).
Il vero povero si vergogna di chiedere soldi perché sa quanto valgono. Per questo non do mai un centesimo a chi osa chiedere. Hanno fatto dell'accattonaggio un mestiere.

giovedì 27 ottobre 2011

L'arte di reinfilarsi la scarpa che qualcuno nel fiume di folla ti ha sfilato dal tallone... sono un esperto di tale arte, e la cosa mi riempie di orgoglio.


mercoledì 26 ottobre 2011

La cosa più difficile per un uomo è contattare, dopo molto tempo, una donna. L'uomo vorrebbe scrivere: “vorrei fidanzarmi con te: posso?”. Invece è costretto a scrivere tante idiozie. È costretto a quei lunghi, patetici, sdolcinati discorsi per parlare del più e del meno; è costretto ad aspettare una sua risposta; è costretto a decifrare la risposta per capire se può ancora ricontattarla, e se può ricontattarla allora capire se si può uscire per un caffè, e se magari più di un caffè, e poi tutta la fatica per vedere se ci si può frequentare, e poi finalmente capire se lei è disposta ad accettare di stare insieme, da fidanzati e magari anche da marito e moglie... L'uomo vorrebbe scrivere: “vorrei fidanzarmi con te: posso?” e invece è costretto a seguire tutta quella procedura, fastidiosa e burocratica, lunga come la burocrazia e fastidiosa come la burocrazia, un rituale di corteggiamento fastidioso e burocratico, rituale che magari lei stessa odia ma al quale non può sottrarsi perché altrimenti “cosa diranno le amiche”. Ho scritto il messaggio email ma non ho il coraggio di mandarglielo: è troppo magro, è un messaggio email troppo anoressico, si capisce benissimo che ho scritto quindici righe solo allo scopo di sapere se lei accetterebbe di uscire con me a scopo di fidanzamento. Odio gli uomini che quando si sentono soli ripescano l'agendina di “quelle che potrebbero starci”... e mi trovo involontariamente ad essere uno di loro, solo perché mi sono accorto che lei è geograficamente vicina a me e perciò ho pensato che si potrebbe uscire insieme facilmente.

martedì 25 ottobre 2011

Molte, troppe persone oggi investono fatica, tempo e soldi per mostrare al resto del mondo una felicità che non hanno.
Fino a quel momento lei mi aveva completamente ignorato. Poi, nell'alzarsi in fretta, le si è scoperta un po' di pancia. Ero rimasto incantato a guardarla, non per la bellezza che non c'era, ma perché pensavo a quanto sia facile “scoprirsi”, in questa società dove il vestirsi non obbedisce più al pudore e alla protezione. Con mia sorpresa, lei non ne era risentita. Capita rarissimamente che una donna non disprezzi l'uomo che ha sempre ignorato e che viene scoperto a guardarla. Ma in pochi giorni tutto è già finito. Odio le storie che non ti accorgi quando nascono e che sono già morte nel momento in cui vorresti che si consolidassero. Tutto era nato con la velocità di uno sguardo, tutto è finito con la velocità con cui si disperdeva il fumo della sua sigaretta.

lunedì 24 ottobre 2011

Ma sì, ma che brava: hai messo su Facebook un mucchio di foto in cui sei in costume da bagno, un costumino proprio per farti notare anche dal più timido dei maiali. E adesso? E ora? Gli uomini che diranno “bella” penseranno in realtà a come portarti a letto, penseranno soltanto a come portarti a letto. Ma tu di letti ne hai già attraversati parecchi... anche se ancora stai ancora cercando l'uomo “giusto”, cioè stai ancora mettendo sul “mercato dei mariti” la tua attrezzatura sessuale ripetutamente collaudata. Ma l'uomo che ti comprerà, ti amerà davvero? Vendendo la tua “merce” ti stai irrimediabilmente condannando ad essere un oggetto nelle mani del primo buzzurro che crederai “sincero” solo perché pieno di soldi.
Il capo non sa quel che vuole, ma lo vuole subito. Non ha idea di come si faccia, ma pretende che sia “ben fatto”, e per tentare miseramente di nascondere la sua ignoranza dice che non lo voleva così, così è troppo, o troppo poco, o impreciso, o incompleto, o imperfetto. Il capo non sa quel che vuole, ma lo vuole subito, subitissimo, immediatamente.

venerdì 21 ottobre 2011

Scene di vita moderna. La donnona che durante il tragitto in treno si smalta le unghie. Il suo fidanzatino, idiota e annoiato, finalmente si sveglia. Le fa uno squillo sul cellulare (lei sarà in viaggio da almeno un'ora: le donne lavorano e gli uomini dormono! ah, che società! gli uomini fanno lo squillo e le donne ritelefonano: ah, che società!) Lei gli telefona preoccupata e gli dice: “Dimmi, veloce!” Lui farfuglia qualcosa (doveva essere ben poca cosa, e l'ha fatta allarmare inutilmente). Lei insiste: “Dimmi, veloce!” E lui farfuglia ancora. Forse, appena sveglio, voleva solo un po' di compagnia (e pertanto finge di essere romantico: si fa richiamare per dirle un falsissimo “ti amo”, che lei, in treno, preoccupata dai ritardi, dal lavoro, dallo smalto che non si asciuga, dalle gallerie che rischiano di far cadere la linea, dalla telefonata improvvisa, non riesce a capire). Una donnona, che ha scelto un cretino come fidanzato perché pensava di non meritare di meglio dalla vita a causa delle sue forme troppo rotonde. Donnona, in realtà tu meriti di più. Ma il tuo odio verso te stessa (dimostrato dal fatto che non mandi a quel paese il cretino in questione) non permette che la tua vita cambi davvero.


giovedì 20 ottobre 2011

Cara signorina, i tuoi tratti somatici sessuali sono interessanti... mi chiedo se siano nuovi o siano già stati utilizzati. C'era una volta il matrimonio felice: la tua donna era tua per sempre, e prima non era mai stata utilizzata da nessuno... dunque è come se fosse stata tua fin dalla nascita. Una donna tua, tutta tua, solo per te, solo per il tuo matrimonio, tua per tutta la vita, anche durante il periodo in cui non sapevi neppure che lei esisteva. Tutta tua. Oggi invece, salvo rarissimi casi (e tutti per questioni religiose), le donne concedono la propria strumentazione sessuale in usufrutto gratuito a tanti uomini, prima di trovar marito. Odiano sentirsi chiamare puttane, ma si comportano come puttane (con l'unica differenza che il loro “prezzo” è assai inferiore a quello delle puttane vere).


La prima volta che andai nella Grande Città... da provinciale pieno di aspettative, credevo di trovare cittadini evoluti. Invece erano solo i soliti buzzurri con dialetto diverso dal mio ma con le stesse volgarità del resto del mondo.

mercoledì 19 ottobre 2011

“Domattina, primo impegno: risolvere quel problema!” Afferma tronfio il capo. Ecco: ha Preso una Decisione: è il suo mestiere, quello di decidere attraverso frasi fatte e banali.
La signorina semisvestita va a compiere il suo lavoro. Che tristezza la società dove non vale ciò che sai fare, ma solo quanti attributi femminili metti in esposizione. La signorina va dunque ad ostentare le proprie curve. La guardo. Sei vestita così perché vuoi essere guardata. Uno vorrebbe dirti: “e certo che ti guardo” tentando di fare un complimento o un rimprovero, ma verrà sempre preso per idiota debole che vuol sentirsi macho, verrà sempre preso per il solito mandrillo di provincia. Il mandrillo di provincia è quello che non ha i bigliettoni per pagarsi una puttana d'alto bordo.

martedì 18 ottobre 2011

Il capo non vuole sentire spiegazioni, ma numeretti. Vuole giudicare dai soli numeretti. Tu fai il lavoro totale. Tu produci i numeretti e sai come va a finire. Ma lui vuole non il giudizio ma i numeretti che lo fanno sentire un re. Vuole sentire “nove” e sgridarti perché aveva chiesto “dieci”. Vuole sentire “undici” e sgridarti perché avendo chiesto “dieci” tu non sei stato in grado di far “dodici”. Il mestiere del capo è decidere senza sapere, è pianificare senza conoscere, è dare scadenze per un lavoro che non è in grado di fare e nemmeno di intuire. Il mestiere del capo è sgridare: sgridando gli altri afferma la propria superiorità, la propria necessità, la propria esistenza.
Ha 33 anni ma sembra averne invece 49. Volgarissima. Quante altre volte costringerai la vita a dimostrarti che le baldracche hanno un futuro da vecchie baldracche?

lunedì 17 ottobre 2011

Quanto odio le donne che identificando a memoria uomini che conoscono, dicono: quello con gli occhi azzurri, quello con l'auto di tal marca... Ricordano cioè i dettagli per i quali quegli uomini sono superiori a te. Tu non hai gli occhi azzurri. Non hai l'auto. E loro lo ricordano. Anzi: te lo ricordano. Mi consola l'idea che la maggioranza di queste stupide puttanelle verrà sistematicamente tradita dal primo uomo “occhi azzurri e bella auto” di cui si innamoreranno perdutamente.


venerdì 14 ottobre 2011

Quando c'è un controllo (per esempio il bigliettaio in treno, oppure l'impiegato allo sportello che esamina le carte che gli hai portato), sembra sempre che sia tu quello che ha torto. Si comportano sempre come se fossi tu quello che deve giustificarsi.

giovedì 13 ottobre 2011

Vorresti sbattere il telefonino al muro, ma lo odi solo perché è la prima cosa a portata di mano. In realtà odi il tuo disagio. Anche i capi fanno così. Colpiscono cose che non c'entrano niente (come tu colpiresti il muro col telefonino), con i mezzi più inappropriati possibili (come il telefonino), solo perché non trovano altro modo per “colpire” le proprie stanchezze e i propri disagi. E noi ne facciamo le spese.
Più si considerava fortunato e più s'infognava in quella roba, non sapendo che il dossier a suo carico cresceva e che sarebbe stato pubblicato qualora lui avesse rallentato nell'insegnare la menzogna che gli era stata assegnata da coloro che avevano aperto il dossier.

mercoledì 12 ottobre 2011

La “disunità” della famiglia. Chi al computer, chi uscito con gli amici, la suocera che non ti considera, il cugino che è a drogarsi chissà dove, la cugina a fare la puttanella all'estero (con la scusa dei motivi di studio) e il cane che finge affetto perché vuole ingozzarsi ancora.

martedì 11 ottobre 2011

Cinquant'anni fa la famiglia era unita. Unita attorno alla stessa tavola, magari davanti al caminetto (per chi ce l'aveva) o al braciere (per chi ce l'aveva). Dagli anziani ai bambini. Nelle piccole cose e nelle grandi. Oggi la famiglia è “unita” davanti a cosa? Al televisore?
La “sindrome dello sceicco”: di fronte alla vetrina mostra uno sguardo ammirato (vuole essere notato dal resto del mondo, vuole essere considerato un intenditore), entra e... vuole comprare la commessa. Sì, quella in carne ed ossa (soprattutto la carne bene in vista), a costo di comprare tutto il negozio. La “sindrome dello sceicco” esiste a causa dell'eccessiva sessificazione della società e del sempre più ampio abisso che separa le persone normali dai ricchi straricchi.

lunedì 10 ottobre 2011

Storie di ordinaria violenza. In spiaggia il bambino scavò un fosso, orgoglioso di aver raggiunto la profondità di parecchi centimetri. L'adulto glielo coprì con una pedata. Il bambino, pronto a piagnucolare, guardò verso l'adulto, ma quest'ultimo lo fulminò con un'occhiataccia: “qualcuno può caderci dentro!” Lezione di vita appresa dal bambino: se vuoi fare qualcosa di creativo che ti inorgoglisca, trovati prima un posto assolutamente sicuro e lontano dalla vista degli adulti, poiché la società è governata da gente che usa la violenza (contro le persone e contro le cose, violenza fisica e violenza psicologica, con le parole o coi fatti o anche soltanto con gli sguardi).
La gente va in chiesa e cosa si sente dire? Che bisogna fare di più per la pace. Daccordo, ma cosa? Noi siamo dei poveracci, noi viviamo già in pace, noi non vogliamo guerre, ci bastano già i nostri stupidi nemici che vogliono renderci la vita impossibile, ci basta già il nostro capo a farci mobbing o il nostro collega che ci minaccia. Uno va in chiesa e si sente dire che bisogna fare di più per la pace. Per fortuna ho smesso di essere cattolico da tempo. Con certi preti, per essere cattolici bisogna vivere fuori dal mondo. Chi ha i problemi normali delle persone normali, non ce la fa ad essere cattolico, non ce la fa a sentire quei preti che parlano come il telegiornale della sera.

venerdì 7 ottobre 2011

È andata dall'avvocato per chiedere un consiglio. Per chiedergli consiglio bisogna ovviamente pagarlo. L'avvocato la ascolta per una mezz'ora, quasi senza parlare. La interrompe una sola volta: l'avvocato dell'avversario “è una brava persona, un professionista”. Come, scusi? In quel momento lei ha capito che la cricca degli avvocati non fa le “cause” ma fa le farse. In tribunale sarebbe stata tutta una farsa. I due avvocati erano d'accordo. Ma lei non poteva più facilmente uscire da quella tenaglia mortale. Stava pagando un avvocato che era già intenzionato a farle perdere la causa perché l'avvocato dell'avversario “è una brava persona”. Magari gli deve un favore. E lei che lo pagava per farsi utilizzare come pedina di un gioco più grande. Paga per il consulto e va via col cuore in gola. Si ferma a piangere prima di uscire dal portone. L'avvocato le ha venduto chiacchiere e la sta tradendo. Cosa fare? Gli amici consiglieranno di denunciarlo, di abbandonarlo, di fare chissà cosa, ma giunti a questo punto della causa, dopo anni di combattimenti, vale ancora la pena protrarre la farsa? Vale davvero la pena alzare la posta? Si fa prima a lasciare andare avanti l'ingiustizia. Si fa prima a lasciar perdere la causa (nonostante l'avversario abbia sempre avuto torto marcio). Le battaglie legali sono fatte per chi ha i milioni in tasca, non sono fatte per la gente che semplicemente chiede giustizia. Il mondo dei tribunali e degli avvocati è spaventosamente marcio. Un avvocatuccio qualsiasi che voglia far carriera, che gode di uno studio prestigioso, che ha un favore da fare a qualche altro avvocato... lei lo ha pagato, per ottenerne solo guai, anni di guai, anni di ansie e di ingiustizie.
Col cellulare avevo fotografato quell'attimo in cui si vedeva perfettamente la sua avidità e la sua ruberia. Ma ho purtroppo cancellato quella foto. Ne sono perfino contento: quella foto sembrava inquinare il mio cellulare. Un mio oggetto personale contenente la foto di quel bastardo nel momento in cui era maggiormente schiavo della sua avidità.

giovedì 6 ottobre 2011

Questa è l'Italia: le Ferrovie stabiliscono un treno di lusso ed ogni città pretende (anzi: esige) una fermata. Il treno di lusso deve fermare anche qui! Così, il treno di lusso finisce per effettuare tante, tante fermate, quasi quanto un “regionale”, un “treno locale” dei vecchi tempi.
Parlano di nove milioni come se fossero nove centesimi. Parlano di ottocentomila come se fossero spiccioli. Parlano di cifre che non hanno mai guadagnato in vita loro. Li detesto.

mercoledì 5 ottobre 2011

Il suo collega parla per tre ore. Tra capi si intendono. Parla di un progetto, parla di venderne altri mille, parla di un sito web on-line dove poterli comodamente comprare, dove far “chattare” i clienti e far vendere ancora di più. Dà aria alla lingua. Parla di progetti non realizzabili. Sembra uno di quei bambini che apre mille progetti, pianifica mille cose, ma poi non realizza niente. Mi correggo: è proprio un bambino che non realizza niente. Solo che ha cinquantacinque anni, stando all'anagrafe.

martedì 4 ottobre 2011

Il capo fa mobbing contro il suo dipendente. Buona parte delle pressioni contro quel dipendente nascono dall'invidia per il gran telefonino che ha il dipendente. Il capo è invidioso di quel telefonino. Potrebbe comprarne uno migliore, ma non vuole: così, infatti, non solo avrebbe da investire tempo per impararne le nuove funzioni, ma lascerebbe capire a tutti che era quello il vero punto di scontro. E allora si vendica. Col mobbing. Mobbing per un telefonino. In realtà invidia di una vita più prestigiosa. Il dipendente ha, con quel telefonino, un pizzico di prestigio in più di una bestia da macello. Ed è questo il punto che stimola l'invidia distruttiva del capo, è questo il motivo alla base del mobbing. Il capo fa mobbing contro un'immagine, contro un concetto astratto, ai danni però di una persona normale, un suo dipendente, reo di rappresentare (seppur molto alla lontana) quel pizzico di prestigio in più che il capo non ha.

lunedì 3 ottobre 2011

Ottobre, per me, è sempre stato il mese dei guai e delle delusioni. Comincia il mese e cominciano i guai e le delusioni.

venerdì 30 settembre 2011

Ripeto: non-è-antipatia. Non lo considero antipatico. Lo considero una non-persona. Non esiste. Hai forse bisogno di parlare con una formica? Devi forse manifestare i tuoi sentimenti ad una formica? Si può dialogare forse con una formica? O la ignori o la schiacci: e deve già ritenersi fortunata di non essere schiacciata. Non provo antipatia per quella non-persona. Semplicemente, per me, non esiste più. Non esiste più nella mia vita, perché mi ha irrecuperabilmente dimostrato di non essere una persona.

giovedì 29 settembre 2011

Si definisce “capo” uno che non produce ma comanda, non capisce ma decide, non aiuta ma umilia. In particolare: non aiuta là dove c'è bisogno di aiuto, ma pretende di “aiutare” aggiungendo fatiche e vincoli a ciò che è già faticoso e già in ritardo. In particolare: umilia (ha la fissazione di umiliare) chiunque glielo faccia anche involontariamente notare.
Ieri sera sono stato espulso dalla chat. Di nuovo. Sempre con lo stesso metodo. C'è un personaggio isterico che spara a tutto e a tutti. Ieri mattina qualcuno ha fatto sapere al personaggio isterico che c'è qualche altro personaggio che mormora, che usa linguaggio scurrile, e via moraleggiando. Ieri sera compare in chat un amministratore. Non parla, ma ascolta, osserva, misura col calibro le parole. Ed alla prima battuta che un isterico collegio di educande puritane potesse ritenere almeno lontanamente volgare... zac! Mi blocca per sempre. Dopodiché l'amministratore della chat torna di nuovo in letargo (come avvenne già la prima volta) per settimane, mesi. I veri responsabili, i campioni di volgarità e di calunnia, che in quel momento o non erano presenti (per loro fortuna) o avevano taciuto per qualche minuto (per loro furbizia) sono salvi. Nelle chat, insomma, funziona così, proprio come nella vita reale. La cosiddetta giustizia è stata assicurata colpendo uno che “non rispetta le regole”, cioè colpendo me, reo in quel momento (in quel momento!) di non essere stato totalmente silenzioso. Per chi va a caccia del pelo nell'uovo, qualsiasi parola (qualsiasi!) è sufficiente per una condanna esemplare e definitiva. Proprio come nella società di oggi, col suo assurdo equilibrio fatto di ingiustizie, con le sue leggi che si “interpretano” per gli amici del potere e si “applicano con durezza” a chi è reo di non aver passato una vita intera a far da lacché dei potenti. Nelle chat è proprio come nella vita.

mercoledì 28 settembre 2011

Non è che le donne oggi siano più traditrici di ieri. Al contrario. Ti diventano fedeli se si accorgono che le ami. Una parola dolce ne può conquistare il cuore. Dicono di essere impegnate, dicono di avere il moroso, invece è solo un animale da compagnia, uno che per dire una parola dolce ha bisogno di sesso (solita brutta tangente da pagare). Non sono traditrici: sono solo poco amate. Una donna che si accorge di essere veramente amata e coccolata da un uomo, non tradirà. Gli uomini vengono traditi perché o non sanno amare col cuore, oppure amano in modo anonimo e invisibile.
Passa per manager tecnico di grande esperienza. Ma è solo un idiota. Un analfabeta. Un caprone. Passa le giornate al telefono a chiedere se è pronto questo, se è stato preparato quello. Somministra consigli inutili, quando non insensati e dannosi. Si muove, si agita, va in crisi, sbotta, batte i pugni sul tavolo, grida che vuole tutto pronto entro lunedì, entro domattina, entro le diciotto. Il suo apporto al nostro lavoro è come un macigno legato al piede di un nuotatore arrancante in ultima posizione. Il modo migliore per ottenere i risultati che chiede (efficienza, riduzione dei tempi, risparmio di risorse) è licenziarlo. Se venisse licenziato subito l'azienda otterrebbe esattamente ciò che lui vuole ottenere.

martedì 27 settembre 2011

Di quante donne sono innamorato? Ogni tanto conto le donne con cui sarei felice di vivere insieme. La prima è lei, con la sua salute malmessa e i suoi parenti serpenti che direbbero che la sposo solo perché ha in dote un magnifico appartamento. Forse lei ricambierebbe i miei sentimenti ma temo che poi troppe cose prenderebbero il sopravvento e i due piccioncini non sarebbero tranquilli neppure durante la luna di miele. Lì poi mi conoscono tutti e penserebbero: dopo dieci anni si fa vivo perché si accorge che lei ha soldi e casa? La seconda è quella che vive al pianterreno sulla strada che va verso l'incrocio. Anche lei ha dei parenti serpenti che stanno da anni studiando il modo di togliersela dai piedi per appropriarsi dell'appartamento in cui vive. Di costei la preoccupazione principale è che ha un carattere infantile: capricci, pretese, ritualismi (l'uscire il sabato per andare in locali rinomati). Sarebbe uno spasso solo per fare sesso, ma il resto delle 24 ore sarebbe una tortura infinita. C'è poi la terza, quella coi capelli rossi. Più che di un marito avrebbe bisogno di un blog perché passa giornate intere a raccontare dei suoi guai e delle sue paure. Se si sfogasse sul blog forse svuoterebbe un po' del veleno che ha nell'animo (da fonte apparentemente inesauribile!) Anche lei, dopo averci fatto sesso, diverrebbe insopportabile. Anche lei ha dei parenti squinternati e isterici. Sposare una donna significa sposarne anche la famiglia. Quarta candidata: la maniaca del teatro. Buona solo per farci sesso, perché nel resto delle 24 ore reciterebbe una parte (penso che reciterebbe perfino durante il sesso). Perennemente depressa, instancabilmente fastidiosa e pignola, chiederebbe il divorzio per un calzino spaiato o un tubetto di dentifricio schiacciato alla metà anziché in coda. No, anche questa è da scartare. In fin dei conti di tutte queste donne non sono innamorato, ma solo sessualmente attratto. Per ingannarne una mi basterebbe fare il dolcino dicendo “ti amo amore tesoro dolcezza” per un tempo adeguato (e purtroppo con spesa adeguata). Il rituale del corteggiamento prevede infatti tutta una serie di forche caudine da attraversare. Alla fine riusciresti forse perfino a sposarne una e a trastullarti un po' (solo un po': presto la magia finisce) ma rimarrai a sognare di trovare un amore vero per il resto dei tuoi giorni, perché l'amore della tua vita non lo si trova pagando un prezzo e attraversando forche caudine.

lunedì 26 settembre 2011

La frase “ti sei offeso per così poco?” è uno dei canoni fondamentali per trasformare la vittima in colpevole.

venerdì 23 settembre 2011

Quelle volte in cui vai a dormire inquieto e affamato e ti giri e rigiri nel letto cercando di addormentarti e invece ti viene solo da pensare e ripensare ad un argomento qualsiasi che in quel momento sembra essere il centro della tua vita. “Da domani si cambia”, sì, da domani si farà così e così, da domani nuova vita, anzi, da adesso, anzi, da subito... Così cerchi di trasformare la fame e l'inquietudine in qualcos'altro, e forse ci riesci: da domani si va alla ricerca di una donna per la vita, da domani si spolverano e rimettono in azione tutte le vecchie agendine coi nomi di quelle che potrebbero ancora accettarmi, da domani, anzi, da subito, da stanotte, da stanotte vorrei una donna, anche soltanto come compagnia, anche soltanto per osservarla dormire accanto a me per poter pensare: non sono solo. Ma la fame, quello strano dolore che ti prende dallo stomaco fino alla gola, come se fosse un lungo oggetto metallico infilato nell'esofago, torna a farsi sentire, e tu pensi ancora di più a cosa dovrà succedere domani. Ma l'unica cosa che succederà domani (cioè tra poche ore) è che stramaledirai la maledetta sveglia perché non ti ha concesso altri dieci minuti di riposo.
Ottima tattica di quella viscida serpe. Ogni volta che è il suo turno di lavare i piatti se ne infischia completamente, dando a vedere di essere impegnato in altre faccende e senza nemmeno vergognarsi di star spassandosela. Ma ha già studiato il momento per compiere (al minimo) il suo dovere: in piena notte, o di mattina presto, sicché tutti dicano “dopotutto ci ha ripensato e li ha lavati: è affidabile”. Ma chi è veramente affidabile? Sono io, che li lavo subito dopo mangiato, o è lui che rinvia e rinvia in attesa di scansarsela o di guadagnare un elogio perché non se la scansa? In un mondo poggiato sull'ipocrisia e sul quieto vivere, una serpe viscida come lui ha buon gioco: lavora per l'immagine, non lavora per costruire; svolge i compiti per essere elogiato, non perché gli spettano come a tutti. Una viscida serpe. Questo genere di persone, poi, critica l'ipocrisia nonostante vi primeggi nella maniera più assoluta.

giovedì 22 settembre 2011

Chi desidera qualcosa è per ciò stesso ricattabile. Anche quando si tratti di una cosuccia da nulla, anche la più innocente. Più desideri e più sei ricattabile. La vera arte da sviluppare, in questo mondo schifoso, è desiderare senza farlo notare. Nascondere i propri desideri, dissimulare le proprie ambizioni, non far notare cosa hai dentro, perché c'è sempre qualcuno che vorrà speculare, c'è sempre qualcuno che intenderà concederti un'immagine o un soffio di ciò che desideri ma al gravissimo prezzo di impoverirti di tutto il resto. Viviamo in un mondo di avvoltoi feroci. Lo sono specialmente coloro che non se ne rendono conto. Non solo le donne che appena si vedono notate cominciano a fare le preziose.
È un mondo maledetto questo dove la volgarità è considerata spettacolo e divertimento.

mercoledì 21 settembre 2011

La sequenza degli eventi è stata questa: visto che le sue argomentazioni venivano facilmente ridicolizzate dai fatti, si è mortalmente risentito per essere stato qualificato “ignorante”. Certo, non si può pretendere che lui ammetta che le sue conoscenze ed i suoi pregiudizi lo qualificano come tale. Non si può pretendere che chieda scusa. Un uomo normale, se proprio non ha il coraggio di chiedere lumi, avrebbe buttato la cosa sul ridere, avrebbe reagito con altri insulti bonari (in modo da dare ad intendere di aver accolto il termine “ignorante” come un'espressione bonacciona, e tutti si sarebbero adeguati). Lui no: lui si è offeso mortalmente, come un bambino capriccioso e arrogante. Secondo passaggio: non ha annunciato subito la sua ira. Ha aspettato il momento buono. Ha aspettato che io fossi da solo, per venire a minacciarmi di violenza fisica e di distruzione delle mie cose. Un vero mafioso sarebbe stato più gentile. Ce ne sarebbe abbastanza per denunciarlo, ma poi? Chi ce li ha i soldi per andare da un avvocato e raccontargli della faccenda? Quelli che come me guadagnano a stento per pagare l'affitto e pagarsi da mangiare non possono spendere un quarto di uno stipendio solo per farsi ascoltare da un avvocato. Denunciarlo direttamente alle forze dell'ordine? Benissimo, ma poi quanto sopravviverò qui dentro dopo aver fatto una cosa del genere ad un collega di lavoro? Quanto durerà il mio già precario posto di lavoro? Il male minore è fingere che non sia successo nulla ed aspettare un momento buono per dargli quel che si merita. A costo di dover aspettare una vita intera, mi tocca aspettare, perché non sono in condizione di reagire fisicamente. Terzo passaggio: mi ha tolto il saluto. Ho ricambiato con un silenzio di tomba. Mi sto abbassando al suo livello perché non so cos'altro fare. Temo che sembreremo due bambinette delle elementari che per un giorno o due non si guardano in faccia. Invece no, siamo a tre giorni e l'aria è sempre pesante. Ma almeno non gli do occasione di rifare il gradasso. Vien voglia di desiderare per lui tutto il male possibile, ma sarebbe solo un sogno consolatorio, destinato ad infrangersi contro la realtà ed ad aumentare la delusione qualora lui trovi qualche altro mio punto debole.
Il nemico non vive solo per danneggiarti. Vive anche per dimostrare a tutti (e soprattutto a se stesso e a te) che lui è quello furbo, è quello giusto, è quello intelligente, è quello che ha ragione, è quello che non prova emozioni per il problema che è in corso. Ecco perché è così giulivo con i tuoi colleghi: sta cercando di farti pensare che tu sei isolato nel silenzio e lui è al centro della vita sociale in ufficio, tu sei quello che vuole emarginarsi e lui è quello che emargina gli altri. Vecchio trucco, che funziona perfino con coloro che hanno la coscienza limpida. Ma non funziona con coloro che lo conoscono (per averlo dolorosamente subìto più e più volte).

martedì 20 settembre 2011

“Ma come ti permetti di chiamarmi ignorante? io entro in camera tua e sfascio tutto, sai?” disse il bambino arrogante e viziato (che però all'anagrafe risultava avere ventun anni). La colpa del minacciato consisteva nell'aver indovinato ed esposto il suo punto debole: la Famosa Università, a cui il bambino prepotente e viziato si era iscritto per Incrementare il proprio Prestigio, era nota per insegnare scemenze inutili che non avrebbero fruttato né lavoro né prestigio.

lunedì 19 settembre 2011

Hanno quaranta e anche cinquant'anni, ma sono dei bambini viziati, capricciosi, arroganti. Vogliono sentirsi dire solo ciò che hanno già in testa. Pretendono incessantemente di essere rassicurati. Esigono continuamente di essere elogiti e coccolati. Se fossero bambini, un paio di sberle alla volta potrebbero essere utili a raddrizzare. Ma non sono più bambini. Sono adulti, sono mezza età, sono in età avanzata: e quel che è peggio, sono in posti di potere, di comando, di decisione. Non è più maleducazione: è persecuzione. Non lo fanno perché hanno voglia di farti un dispettino, ma perché vogliono vendicarsi di qualche famosa occasione di decenni prima, in cui magari tu non c'entri niente. Avranno fatto un milione di manifestazioni antimafia in piazza, ma si comportano come il più lercio e arrogante dei mafiosi.

venerdì 16 settembre 2011

Tre giorni prima dell'inizio della scuola qualcuno bussò alla porta. Infastidita e allarmata andò ad aprire. Un ragazzino sugli undici anni era lì con un bloc-notes. “Mio figlio non c'è; lo troverai domani” gli disse tentando di non far notare il disappunto. “Sì, ma devo copiarmi gli esercizi di matematica, ho perso il libro, non so come fare...” Lei lo fece entrare, fecero un po' di zig-zag tra gli scatoloni. Gli trovò il libro di matematica e lui si sedette a copiare gli esercizi, imprecando per un attimo contro i fatidici “compiti per le vacanze” che era riuscito a rinviare di giorno in giorno fino alla sera prima, quando si era accorto che il libro di matematica era andato disperso chissà quando e chissà dove. Il suo scaffale di libri era rimasto un unico blocco fermo, dall'inizio dell'estate, a raccogliere polvere. Mai toccato, solo visto da lontano con ripugnanza. E quindi già dall'inizio dell'estate il libro di matematica era andato perduto. Ed ora mancavano meno di tre giorni all'inizio della scuola, al controllo feroce dei compiti delle vacanze, forse già al primo giorno, forse già alla prima ora! Si preannunciavano tre giorni zeppi di matematica, più l'umiliazione del dover andare a copiarli in extremis dall'unico compagno di scuola di cui conosceva l'indirizzo di casa ed a cui poteva chiedere un simile favore senza esserne deriso. No, di trovarli già risolti non ci contava: il suo amico era talmente disordinato ed approssimativo che oltre ad essere sbagliati ed incompleti sarebbero stati faticosissimi da ricopiare. Meglio prendere le tracce dal libro e andar via: ci vorranno solo dieci minuti, un quarto d'ora al massimo! Dopo più di un'ora finalmente, sudato, ricopiò l'ultima traccia. La donna era rimasta in cucina a sfaccendare ma non lo perdeva mai di vista. Il piccoletto ringraziò sorridendo ed andò via. Alle ventidue della sera prima dell'inizio delle lezioni era fermo ad ancor meno di un terzo degli esercizi di matematica. “Ho quasi finito!” aveva gridato per reazione alle imprecazioni di sua madre che gli rimproverava di essersi ridotto all'ultimo minuto dell'ultimo giorno. Il mattino dopo andò tutto tremante a scuola. Prima ora, matematica. Riepilogò mentalmente tutte le scuse architettate per giustificare il mancato svolgimento degli esercizi. Sentì dire che l'amico dal cui libro aveva copiato le tracce era andato a vivere in un'altra città e pertanto non lo avrebbero più rivisto a scuola. Entrò un uomo in giacca e cravatta, si fermò alla cattedra e disse: “beh? Non vi hanno insegnato a salutare? Sono il vostro nuovo insegnante di matematica e voglio vedervi tutti in piedi, silenziosamente, per salutare. Sia all'inizio dell'ora che alla fine dell'ora!” Il ragazzino con due terzi degli esercizi non fatti tremò di gioia: nuovo professore, niente verifica! Dopo i primi minuti di appello e di convenevoli, la saccente del terzo banco disse a voce alta che avrebbero potuto passare l'ora verificando gli esercizi per le vacanze. Con un tempismo incredibile, mentre qualche altra diceva “sì, li ho portati anch'io”, tutti i ragazzi lanciarono le loro più impressionanti scuse, che vanificavano l'originalità (e dunque la credibilità) del ragazzino già umiliato dalla tre-giorni-di-matematica. Quando finalmente riuscì a parlare, il nuovo insegnante finalmente lo interruppe: “lo so bene che sono tutte scuse, e so anche che quasi nessuno di voi ha davvero messo mano a quei compiti”.

giovedì 15 settembre 2011

“Ma insomma!” gridò l'uomo verso le capriate del tetto, “dopo che ho fatto tutto questo per te, dopo che con un nodo in gola ho fatto per te anche le cose che più mi ripugnavano, dopo tutto questo mi pianti in asso all'ultimo minuto? Ma dico, all'ultimo minuto? Ma sei proprio un sadico! È colpa tua, se sono così, è colpa tua!” Sentì gli occhi bagnarsi di lacrime. “È colpa tua!” gridò ancora verso le capriate, “Colpa tua, colpa tua!” diceva mentre la lingua gli si impastava e la voce gli si rompeva. Volle mantenere un contegno davanti al deposito vuoto, si girò di lato come per non essere visto dalle capriate. Si avviò di buon passo verso la porta. Diede un colpo violento alla maniglia, e la luce del giorno lo accecò, perché era ancora assuefatto alla semioscurità. “Colpa sua”, si ripeteva tra sé, ora resistendo alla tentazione di gridarlo, ora cedendo alla tentazione di mormorarlo. Sbatté la porta, alzando una nuvola di polvere. Entrò in auto. Faticò a trovare le chiavi. Faticò di più a inserire la chiave nel cruscotto e ad accendere il motore. Ebbe qualche incertezza col cambio, che gli costò grotteschi rumori di ingranaggi e una smorfia sul viso come se avesse provato un dolore lancinante nelle carni. Si fermò qualche metro più avanti, mentre altre nuvole di polvere si alzavano dalla traccia delle ruote. Una lucertola, ferma sul palo, sembrava osservarlo. Reclinò la testa sul volante per qualche attimo. La lucertola lo osservava ancora, più ferma di una pietra. “Ma perché? Perché?” si chiedeva mentre finalmente lasciava scorrere le prime lacrime. “Perché? Perché mi hai scaricato così? Perché? Perché proprio all'ultimo momento? Perché? Dopo tutti i soldi che hai guadagnato col mio lavoro! Perché?” Immaginò che la lucertola fosse diventata grande, grandissima, capace di inghiottire lui e la macchina in un sol boccone. “Perché?” E più si chiedeva “perché” e più il lucertolone diventava famelico. Aprì gli occhi di colpo, per assicurarsi che la lucertola fosse ancora lì. Era ancora lì, anche se le lacrime gli avevano annebbiato la vista, ed aveva ancora le stesse dimensioni di prima. Inserì di nuovo la prima e svoltò verso destra, risalendo lo sterrato fino alla statale. L'immagine del lucertolone gli tornò in mente la notte successiva, in sogno: fermo davanti alla macchina, con la bocca chiusa ma pronto a scattare, mentre lui tentava disperatamente di muovere volante, pedali e marce, senza riuscire a spostarla di un millimetro.

mercoledì 14 settembre 2011

Conosco quella città attraverso i racconti di mio zio. Ero bambino e lui mi raccontava delle cose che non capivo: era andato a pagare la bolletta lì, era passato dal barbiere là, aveva ritirato l'auto dall'officina sita lì... Tutti nomi stranissimi di strade, piazze, posti. A volte mi sembra di averci vissuto. Mio zio morì tanti anni fa, ma tutta quella involontaria lezione di geografia mi è rimasta impressa nella mente, perché le cose che si ascoltano con avidità da bambini ti restano per tutta la vita. Grazie a Google ho finalmente visto le foto di quelle strade, la posizione di quegli incroci, la correttezza delle informazioni che mi aveva affidato mio zio. Mi sembra quasi di averci vissuto, in quello strano paese, che fino ad oggi non ho ancora mai visto. Grazie, Google Street view, grazie.

martedì 13 settembre 2011

Ero giunto in stazione pochi minuti dopo le 13: la stazione era deserta. Un segnale di avviso indicava un treno in arrivo o in transito. Andai al marciapiede dei binari 2 e 3, dove avevo visto l'unico foglio orari utile. Non avevo più forza per muovermi. Passò un costosissimo treno di lusso, mentre mi accorgevo che il mio primo treno utile era a più di due ore e mezza: di domenica non ferma quasi nessun treno a Erborina Sabina. Per fortuna la tettoia mi riparava da quel sole che spaccava le pietre. Ero stato gentile con il loro ospite, stavo per offrirmi di portar su il passeggino ma ancor prima che proferissi parola me lo aveva detto il lugubre capo. Io, che detestavo i bambini, avevo coccolato il marmocchio, per tenermi buono il capo e forse anche per fare impressione sulle vicine di casa del terzo piano. Quasi nessuno degli invitati mi aveva rivolto la parola, però sono certo che qualcuno di loro aveva parlottato di me col capo. Aspettai quegli interminabili convenevoli, in mezzo a quella quindicina di invitati che faceva di tutto per non dare a vedere che mi aveva notato. Il capo, dopo un po' di tempo, era riapparso (che si fosse dileguato per darmi ad intendere che non c'era un orario preciso per la partenza? sperava che me ne andassi?) e finalmente diede il segnale che era ora di andar via. Quando fummo nel cortile, non capii se ci fosse posto anche per me, ma si affannarono tutti nelle auto come per rispettare un ordine prestabilito. Un posto c'era: nell'auto con il capo, quella davanti alla colonna. Ma volevano liberarsi di me, era evidente. A cominciare dal capo. Mi avviai a piedi, girando lentamente intorno all'auto del capo col posto libero, ma quando passai voltò altrove lo sguardo, sempre con quel falso sorriso sulle labbra: non voleva a che fare con me, per coerenza con i suoi errori aveva deciso di fingere che non esisto. Uscii dal cortile e mi avviai per strada. Una strada di quelle dove è pericoloso camminare anche al ciglio, perché lì in periferia corrono tutti come matti. Non ero riuscito a vincermi: volevo essere chiamato, non volevo mendicare, perché se lo avessi fatto avrebbe risposto di no. Per parecchi minuti proseguii aspettando di vedere da un momento all'altro la loro colonna di auto, ma non comparvero. Neppure dopo il fatidico incrocio. Proseguii a piedi per ore, nell'indifferenza generale degli automobilisti frettolosi, finché trovai la stradina che portava verso la stazione. Era ora di pranzo, avevo camminato di buon passo ma non avevo fame. La stradina si interrompeva bruscamente: lavori in corso. Proseguii comunque, accorgendomi che la stradina terminava lì in mezzo ai campi, alle zolle riarse, a distanza da alcuni alberi. Avevo fretta di arrivare alla stazione, non mi fermai neanche quando sentii le lontane imprecazioni di un agricoltore per avergli pestato una vecchia fascina di rami e paglia. Finalmente arrivai in vista del piazzale della stazione, una stazione in mezzo al nulla, un fabbricato, tre binari, una tettoia. Avevo camminato per più di cinque ore, ero esausto. Il mio treno era alle 15:43. Prima delle 17:30 sarei giunto a casa. Il capo mi aveva ignorato, come previsto. Avrà fatto chissà che giri per non incrociarmi, per non essere costretto dal galateo a suggerirmi un passaggio in macchina. Ostinato nella sua persecuzione, mentre i suoi reggicoda lo imitano e lo assecondano, senza sapere che un giorno la stessa sorte potrebbe toccare a loro.
Ero giunto in stazione pochi minuti dopo le 13: la stazione era deserta. Un segnale di avviso indicava un treno in arrivo o in transito. Andai al marciapiede dei binari 2 e 3, dove avevo visto l'unico foglio orari utile. Non avevo più forza per muovermi. Passò un costosissimo treno di lusso, mentre mi accorgevo che il mio primo treno utile era a più di due ore e mezza: di domenica non ferma quasi nessun treno a Erborina Sabina. Per fortuna la tettoia mi riparava da quel sole che spaccava le pietre. Ero stato gentile con il loro ospite, stavo per offrirmi di portar su il passeggino ma ancor prima che proferissi parola me lo aveva detto il lugubre capo. Io, che detestavo i bambini, avevo coccolato il marmocchio, per tenermi buono il capo e forse anche per fare impressione sulle vicine di casa del terzo piano. Quasi nessuno degli invitati mi aveva rivolto la parola, però sono certo che qualcuno di loro aveva parlottato di me col capo. Aspettai quegli interminabili convenevoli, in mezzo a quella quindicina di invitati che faceva di tutto per non dare a vedere che mi aveva notato. Il capo, dopo un po' di tempo, era riapparso (che si fosse dileguato per darmi ad intendere che non c'era un orario preciso per la partenza? sperava che me ne andassi?) e finalmente diede il segnale che era ora di andar via. Quando fummo nel cortile, non capii se ci fosse posto anche per me, ma si affannarono tutti nelle auto come per rispettare un ordine prestabilito. Un posto c'era: nell'auto con il capo, quella davanti alla colonna. Ma volevano liberarsi di me, era evidente. A cominciare dal capo. Mi avviai a piedi, girando lentamente intorno all'auto del capo col posto libero, ma quando passai voltò altrove lo sguardo, sempre con quel falso sorriso sulle labbra: non voleva a che fare con me, per coerenza con i suoi errori aveva deciso di fingere che non esisto. Uscii dal cortile e mi avviai per strada. Una strada di quelle dove è pericoloso camminare anche al ciglio, perché lì in periferia corrono tutti come matti. Non ero riuscito a vincermi: volevo essere chiamato, non volevo mendicare, perché se lo avessi fatto avrebbe risposto di no. Per parecchi minuti proseguii aspettando di vedere da un momento all'altro la loro colonna di auto, ma non comparvero. Neppure dopo il fatidico incrocio. Proseguii a piedi per ore, nell'indifferenza generale degli automobilisti frettolosi, finché trovai la stradina che portava verso la stazione. Era ora di pranzo, avevo camminato di buon passo ma non avevo fame. La stradina si interrompeva bruscamente: lavori in corso. Proseguii comunque, accorgendomi che la stradina terminava lì in mezzo ai campi, alle zolle riarse, a distanza da alcuni alberi. Avevo fretta di arrivare alla stazione, non mi fermai neanche quando sentii le lontane imprecazioni di un agricoltore per avergli pestato una vecchia fascina di rami e paglia. Finalmente arrivai in vista del piazzale della stazione, una stazione in mezzo al nulla, un fabbricato, tre binari, una tettoia. Avevo camminato per più di cinque ore, ero esausto. Il mio treno era alle 15:43. Prima delle 17:30 sarei giunto a casa. Il capo mi aveva ignorato, come previsto. Avrà fatto chissà che giri per non incrociarmi, per non essere costretto dal galateo a suggerirmi un passaggio in macchina. Ostinato nella sua persecuzione, mentre i suoi reggicoda lo imitano e lo assecondano, senza sapere che un giorno la stessa sorte potrebbe toccare a loro.

lunedì 12 settembre 2011

Ci pensi? Questa pagina potrebbe essere stata scritta un anno fa. Di notte anziché di giorno. A casa anziché in ufficio. Disteso anziché seduto. Come se l'insegnante di italiano una mattina, svegliandosi, avesse capito che quel giovane non era così per vizio, ma per malattia; non era così per orgoglio, ma per problemi esterni; non era così per carattere, ma per mancanza di salute. Come se il sottoscritto oggi fosse già morto da tempo (chissà, magari avendo già realizzato i suoi sogni) e questo blog proseguisse automaticamente, aggiornato da un software dimenticato da qualche parte, per bloccarsi poi all'improvviso quando la macchina che provvedeva viene disattivata, venduta, guastata. Come se il tempo fosse scollegato. Come se la metropolitana non fosse più il sollievo mattutino e la purificazione serale. Come se in metropolitana non ci fossero più donne dell'età giusta per sposarmi. Come se il capo grassone si svegliasse una mattina e si dicesse: ma dopotutto è il regolamento, perché mai dovrei fare mobbing contro un dipendente onesto? E venisse da me a dirmi: è tuo diritto, e mi farò in quattro per assicurartelo in tempi brevi, cominceremo subito, so bene che ne hai bisogno, non ti chiedo nulla perché tutto ciò che avrei potuto chiederti lo hai già dato con abbondanza. Ma un rumore improvviso (il fragoroso campanello del citofono) ti fa sobbalzare dalla sedia peggio che una doccia fredda mentre dormivi. La realtà è tutt'altro. La realtà è dura e infame, perché coloro che comandano sono duri ed infami, sono ignoranti che vogliono darsi arie da intellettuali, isterici che vogliono darsi arie da saggi, diffidenti che vogliono darsi arie da sapienti. La realtà è peggiore di qualsiasi incubo. Qualsiasi.

venerdì 9 settembre 2011

Oggi è un'altra giornata strana. Un altro rinvio, un'ennesima mancata conferma. Il mio destino viene deciso tra sbadigli di capi e distrazioni di chi non dovrebbe mai giocare con le vite degli altri. Una strana giornata: anche le condizioni metereologiche sembrano confermarlo. Mi vien voglia di scrivere uno di quegli assurdi racconti che per essere suggestivi cominciano con il negare la realtà. Come se oggi non fosse oggi, come se qui non fosse qui.

giovedì 8 settembre 2011

Insomma, chiudi il computer e vorresti guardare fuori, come per scaricare il magone sul panorama. Vorresti guardare fuori e invece guardi solo le ante della finestra. Fuori c'è un intero mondo e tu guardi la finestra, senza neppure vedere cosa c'è al di là del vetro. Ti accorgi che fai così perché ti manca il fiato. Non hai fiato neppure per mormorare quell'urlo di rabbia che ti viene su dal cuore. Una donna intelligente, di grande talento, con un visino acqua e sapone, delle mani delicate, ha dedicato anni e risorse a quel progetto assurdo e inutile, quella insignificante e assurda opera. Trentadue anni oggi, ne aveva ventiquattro quando ha cominciato. Otto lunghissimi anni, di cui sette passati insieme ad un uomo che diceva di amarla e invece la usava come bestia da compagnia o come giocattolo di piacere. Già ti piange il cuore per questo. Ma ti piange il cuore ancor più pensando all'immane fatica per realizzare questo monumento al niente. Un enorme monumento al niente. Un pupazzo di neve nel deserto del Sahara: riuscito benissimo, ma già albeggia, riuscito perfettamente, ma il sole che lo illumina tra pochi minuti lo ridurrà ad un lontano e misero ricordo. Lui ti ha piantata, gettandoti via con distrazione, come l'involucro delle gomme da masticare. Prima ti dedicavi tutto il giorno a questo imperioso monumento al niente, dopo ti sei dedicata giorno e notte. Una banalissima circostanza ci ha fatti conoscere. Un attimo prima sulla metropolitana e non ci saremmo sfiorati, non ci saremmo incontrati. Alcuni minuti di viaggio insieme, all'inizio parlando come marionette, formali, fredde, come per far passare il tempo rispettando le regole del galateo, ma poi con più familiarità, più umani, più vivi. E infine vispi. Ti sei detta sorpresa di conoscere uno come me: forse non sai (o forse sai bene) che per sciogliere il cuore di un uomo basta così poco, basta ancor meno di quelle parole. “Sorpresa”: non tutti gli uomini sono come quello che ti ha sfruttata, non tutti gli uomini sono come quelli che quotidianamente ti respingono. Ci sono uomini come me, condannati probabilmente alla solitudine perché respingono fermamente l'idea che le donne siano oggetti. Non ho insistito troppo per conoscerti, perché ogni volta che stavo per aprir bocca mi sembrava di invadere la tua vita, di storpiare la tua privacy, di disturbare la tua quiete. Mi innamoro sempre delle donne che soffrono, che hanno sofferto. Mi innamoro sempre delle donne che non hanno mai avuto un amore vero. Mi fanno tanta tenerezza le donne vittima di immeritate delusioni sentimentali. Ma la vita è dura: alla tua stazione, un breve saluto e via. Quell'attimo in più di esitazione della vettura della metropolitana, con le porte ancora aperte, ti ha permesso di lanciarmi un ultimo sguardo e di accompagnare un bacio con le tue dita. Dopo una frazione di secondo, un tempo in cui si è fermato tutto, si è fermato il mio cuore, si è fermato il mondo circostante, si è fermato il tempo e lo spazio, dopo quella frazione di secondo ho trovato forza per risponderti col tuo stesso gesto, con tutta la delicatezza che mi è stata possibile. Si sono chiuse le porte e ci siamo persi nella folla ancor prima che la vettura si mettesse in moto. Mi avevi detto che utilizzi molto internet. Ti avevo chiesto se tu avessi un blog. Chissà se capiterai su questa pagina, mi riconoscerai, e mi lascerai un messaggio. Mi piacerebbe tanto rivederti, e se ti rivedessi probabilmente ti chiederei di non lasciarmi più, e di capire che queste lacrime non sono più di dolore o di solitudine.

mercoledì 7 settembre 2011

Ecco i risultati del concorsino: ho avuto in totale zero punti. Zero. Zero assoluto. Nessuno di loro ha espresso la più remota preferenza per me. Io ho votato per loro, onestamente, scegliendo quelli che ritenevo lavori ben fatti (ma erano generalmente peggiori del mio). Loro invece hanno fatto di tutto per distribuirsi tra di loro i voti. Ora capisco il meccanismo: non è un circolo aperto a tutti dove viene giudicata la qualità... ma è un circolo di amici che si incensano a vicenda, e gli estranei (come me) vengono accolti solo come incensatori, mai come persone che possono portare qualcosa di nuovo e di ben fatto. Zero voti. Nessuno di loro mi ha degnato di un minuscolo complimento. Zero assoluto. Ed io che pensavo che si valutasse la qualità. Nel concorsino su internet è come nella società vera.
Le brutte sorprese vengono sempre dopo le ferie. La brutta sorpresa è un altro trasferimento. Per l'azienda i lavoratori sono pedine su una scacchiera: a seconda dei giochi di potere ai piani più alti, le persone vengono spostate qua e là, spesso contro la logica e il buonsenso. Hai fatto tanto per apprendere bene questo compito, e ti mandano a svolgere un altro di cui non sai assolutamente nulla. Hai fatto tanto per ridurre rischi e ritardi su queste procedure, e te le cambiano con altre che sembrano fatte apposta per sforare ogni scadenza. Hai fatto tanto - anche umanamente - per questo ufficio, ed ecco che senza motivo vengono spostati gli uomini chiave dai loro posti. Siamo pedine su una scacchiera. Tolgono sempre le pedine migliori. Umiliano le persone, le costringono a lavorare su cose su cui non hanno esperienza, o quel che è peggio, a lavorare su cose su cui hanno esperienza ma alle dipendenze di un ottuso capogruppo che non è capace di azzeccarne una e ha la fissazione di voler umiliare chiunque ne sappia più di lui. Ho paura per il futuro. Non so cosa mi aspetta tra qualche giorno. Non ho idea di quanto siano disumani gli intoccabili a cui dovrò ubbidire sorridendo. Non ho idea di quanta salute mi costerà lavorare sotto la loro incompetenza, il loro desiderio di mettersi in mostra, la loro stupida credenza nel poter risolvere i problemi urlando più perentoriamente le loro richieste e più gratuitamente gli insulti a chi non è della loro sacra cerchia. Lo spettro del mobbing si riaffaccia. Vorrei poter sperare che siano solo mie paure. Vorrei poter sperare.

martedì 6 settembre 2011

Dopo mesi e mesi che la sedicente signorina veniva corteggiata da tutti nella chat... si è scoperto che era un uomo. Nelle chat sono tutti esperti del fingere ciò che non sono. La maggior parte degli utenti delle chat è fatta di uomini. Per di più gran parte delle sedicenti donne, indipendentemente dai gusti sessuali dichiarati, è fatta di uomini annoiati. La popolazione veramente femminile e veramente disposta ad accettare amicizie o corteggiamento è quindi infima (e bisogna anche sottrarre dal conto le donne che fingono di non essere già impegnate). Quindi, statisticamente, non è clamoroso scoprire che la corteggiatissima signorina era in realtà un uomo annoiato. Lo è solo per i delusi.
Ieri sera verso le 23:45 quelli del piano di sotto litigavano ancora. Urla sconnesse, urti violenti sulle pareti, alternati a piccoli periodi di silenzio o di parlottare a bassa voce. Ho dormito male, un sonno agitato, sogni strani in cui forse ritornavano in mente i ricordi di quelle urla, il desiderio irrealizzabile di chiamare i carabinieri per evitare il peggio (o almeno per farli tacere). Ma è inutile. I carabinieri sarebbero giunti troppo tardi, avrebbero trovato solo il silenzio. Avrebbero giustamente preteso di sapere chi sono io e perché li ho chiamati. Quelli del piano di sotto avrebbero saputo della mia bravata, avrebbero minimizzato e avrebbero fatto di tutto per farmela pagare cara senza lasciare tracce legalmente perseguibili. Così ho passato la notte agitata con davanti una giornata di lavoro combattendo la spossatezza e il sonno. Questa è solo un'altra delle tante piccole ingiustizie che mi tocca subire quotidianamente. Non poterli denunciare se non dopo la dimostrabile certezza che è successo qualcosa di gravissimo. Non poter dormire a causa loro.

lunedì 5 settembre 2011

Su una vecchia rivista trovo la recensione di un film-scandalo che “rischia di scoperchiare” tante pentole e che invece oggi non ricorda più nessuno. Tutte le pentole sono rimaste al loro posto, tutti i coperchi sono saldamente fermi sulle rispettive pentole. Sulla stampa si fa presto a gridare al “rischia”... tanto più gridano, tanto più sarà grande la noia con cui verrà accolto l'ennesimo “film-scandalo”. Altro che “scandalo”.
Per me “vacanza” significa potersi appisolare beatamente dopo pranzo e, qualche ora dopo, riaprendo gli occhi, chiedersi: ma è mattina, o è pomeriggio? Questo sonno ristoratore era una buona dormita notturna, o una ricca pennichella del dopo-pranzo?

venerdì 2 settembre 2011

Non mi sento a mio agio con tutti questi rumori. In lontananza uno stereo, qui vicino il frusciare delle ventole dei computer, per strada autoveicoli, ciclomotori, clacson. Tutto questo frastuono mi stona e mi toglie quel poco di carica di vita che avevo conquistato durante le ferie.

giovedì 1 settembre 2011

Qualche sera fa avevo cominciato il triste conto alla rovescia, cercando di non pensare ad ogni minuto di riposo che si dissolveva nel nulla. Ieri mattina sono tornato a lavorare con la stessa espressione di uno che si avvia alla forca per essere impiccato. Avrei voluto trovare ritardi, problemi, invece è tutto filato liscio (forse perché ieri non era ancora settembre). Ripensavo alle cose che ho visto e che avrei voluto raccontare; non volevo proprio pensare al lavoro. Avrei voluto trovare la sede ridotta in cenere ma poi riflettevo su cosa avrei fatto in mancanza di un lavoro. Avrei voluto scrivere tante cose sul blog ma non riuscivo a focalizzare nient'altro che rumore di fondo. Dev'essere il trauma del rientro. Chissà se a tutti i lavoratori capita così.

venerdì 12 agosto 2011

Finalmente cominciano le ferie (queste ultime ore sono solo di attesa speranzosa e rilassata). Tornerò alla fine di agosto.

giovedì 11 agosto 2011

Quando si approssimano ai quaranta, le donne cominciano a temere per il loro orologio biologico. Sarebbe come quando sei in autostrada a centodieci chilometri orari e ti preoccupi che la spia della riserva, accesa da tanto tempo, ti stia consumando elettricità dalla batteria. Ti preoccupi cioè di un fattore secondario, che diventa importante solo perché hai sprecato la tua vita facendoti ingannare da uomini che avresti dovuto respingere con fermezza e che invece hai tollerato, accolto, addirittura amato. Un uomo che non sa amare una donna non merita neppure uno sguardo. Questa società si sta estinguendo perché le donne non selezionano più gli uomini, ma li prendono con leggerezza, così come capitano. Se le donne scegliessero solo uomini seri, gli altri pur di ammogliarsi gareggerebbero nel diventare seri a loro volta. E le donne non avrebbero preoccupazioni imbecilli come l'orologio biologico che avanza tic-tac-tic-tac a grandi passi verso la menopausa.

mercoledì 10 agosto 2011

Cerco di non pensare al mare, alla montagna, alle vacanze all'estero, ai villaggi turistici, ai resort, alle mode estive. Non posso permettermi altra vacanza che un po' di sano riposo casalingo. Ogni centesimo risparmiato è una speranza in più di sopravvivenza domani.
Non ne posso più di questa umidità, questa calura, di questo stress. Agosto non è un mese adatto a lavorare. Due settimane di ferie, quando ce ne vorrebbero ventidue, e ancora non cominciano. Non ne posso più.

martedì 9 agosto 2011

Le due amiche si consigliavano fra loro. La prima, per non sentirsi dire che è ingenua, diceva che la carne è debole, diceva che è impossibile resistere alle tentazioni. Cioè tentava di dire che se un uomo la rivolta come un calzino lei non si sentirebbe assolutamente colpevole. La seconda faceva la morale e ripeteva continuamente divieti: non devi, non puoi, non dovresti, non dovrai. Ma qualcosa mi dice che era della stessa pasta: anche lei non aveva il coraggio di resistere all'uomo che ha deliberatamente stabilito essere suo fidanzato. Vorrà mica perdere il fidanzato per qualche “no” di troppo? Le donne oggi sono schiave di una mentalità ottusamente maschilista, mentalità abilissimamente nascosta nelle pieghe della lingua italiana. Non importa chi sia cacciatore e chi preda: importerebbe, in una società normale, che un uomo o una donna siano liberi di porre al proprio partner precisi limiti e precise condizioni perché la propria dignità sia rispettata. Gli uomini ci riescono (fin troppo). Le donne non ci riescono più. La rivoluzione sessuale (“il sesso è mio e lo gestisco io”) ha finito per trasformare le donne in schiave (“il sesso non è più mio e me lo gestisce lui”).

lunedì 8 agosto 2011

In quel vecchio film lo stupido giovanotto complice della rapina se la cava con una pacca sulla spalla. Ma non è un errore perdonato, è solo un aggiustamento di comodo della giustizia. La giustizia non sa perdonare. Molto spesso non sa neanche punire. Nei film la giustizia è sempre la vendicatrice dei protagonisti. Normalmente non viene neppure rappresentata: i film d'azione finiscono sempre col cattivo che muore nel peggior modo possibile oppure viene affidato alla giustizia, che comincerà il processo ben dopo i titoli di coda. Ci viene insomma insegnato che la giustizia è una macchina mortale e disumana, ma in ci viene detto in maniera tale che non ci offendiamo, ci viene detto in modo tale che ci sembra uno strumento di cui tutti potrebbero fidarsi.

venerdì 5 agosto 2011

Mai come in questo periodo le donne sembrano considerarsi giocattoli a disposizione di clienti, uomini che possono pagare il cartellino del prezzo che loro stesse decidono arbitrariamente ogni momento. Che tristezza.

giovedì 4 agosto 2011

Alcuni già sono partiti per le ferie. A me tocca come al solito aspettare quel fatidico venerdì 12. Anche quest'anno non so cosa fare nei giorni di ferie. Qualsiasi cosa farò, sarà la più economica possibile, quella che richiede la minor spesa, perché il primo problema è sempre lo stesso: soldi, sussistenza, un tetto, un lavoro.

mercoledì 3 agosto 2011

Sarà il caldo dell'estate, sarà la faciloneria, ma la giovane commessa si ritrova incinta e il padre dell'innocuo nascituro è uno svaccato squattrinato che vorrebbe darsi alla fuga ma non riesce a scappare perché è ancora troppo comodamente attaccato alla gonnella di sua madre. Ognuno di noi (io stesso, tu stesso) potrebbe essere nato per un “incidente” come questo (“eppure avevano preso tutte le precauzioni!”) ed aver avuto la fortuna di essere lasciati nascere nell'indifferenza piuttosto che essere uccisi da un medico abortista per poi essere gettati nel secchio dei rifiuti ospedalieri. “Tutte le precauzioni”: ogni volta che sento pronunciare queste parole provo una strana sensazione, un misto tra paura (“potrebbe capitare anche a me?” no, a me non può capitare, perché non ho una donna e le donne in genere mi respingono molto prima di poter organizzare una sessione di sesso) e di soddisfazione (“ben gli sta”, come se la nascita di un uomo fosse una punizione per aver giocato con gli organi sessuali). Qualche tempo fa mi raccontavano di due sposi con problemi di fertilità che ci han provato per dieci anni (dieci anni di sesso sfrenato senza nessuna “precauzione”) prima di ottenere la desiderata gravidanza. Quella è l'eccezione. Normalmente avviene il contrario, avviene sempre come per quella povera commessa, sempre così attenta ad evitare “incidenti”, e invece l'incidente capita quando meno lo si aspetta, con la persona sbagliata, nel periodo più sbagliato. E nove mesi dopo un “incidente” potrei essere nato io, o potresti essere nato tu.
Quanto odio le donne che mi dicono: “ma quel tuo amico che ha la macchina”. Non vogliono un uomo, vogliono un'autista. Vogliono un maggiordomo che le scarrozzi in giro e paghi per il loro shopping e finga di non sapere che lo shopping è un passatempo contro la noia anziché una necessità urgente. “Quel tuo amico che ha la macchina”: mi vedono solo come un intermediario verso una macchina dotata di autista. Ad alimentare questo circolo vizioso ci sono i proprietari di “macchina” che nella speranza di far sesso (speranza assai spesso delusa) si umiliano a fungere da autisti servizievoli ed economicamente generosi. A rimetterci, però, sono le donne stesse, perché non capiscono mai se il servizievole belloccio “con la macchina” le ama davvero o sta solo fingendo. Se ne accorgeranno quando si vedranno tradite e maltrattate.

martedì 2 agosto 2011

Ogni tanto ritrovo su internet discussioni e foto di giocattoli e computer di quando ero bambino. Mi trattengo davanti a quelle foto a bocca aperta, con un'insopprimibile nostalgia, una grandissima voglia di riaverli, come se il loro possesso mi riportasse anche fisicamente a quegli anni perduti, quegli anni in cui quelle poche cose mi facevano sognare. Ma poi all'improvviso chiudo e guardo altrove e cerco di pensare ad altro. Con i ricordi affiorano anche i dolori, le umiliazioni, le ingiustizie subite in quegli anni: molte dovute anzitutto al fatto di essere stato ingenuo, senza esperienza, senza la capacità che ho oggi di misurare e comprendere certi fenomeni umani come la slealtà, il gusto sadico dell'infliggere sofferenze agli altri, la specialissima condizione umana che va sotto il nome di psicopatia. Magari fra qualche decennio proverò le stesse emozioni che provavo poco fa, ricordando di come nel 2011 ero ingenuo, incapace di riconoscere per tempo una banda di psicopatici dediti al mobbing, incapace di capire quali siano i provvedimenti necessari ad evitare danni.

lunedì 1 agosto 2011

A volte, temendo lo sfratto (che può piombarmi addosso da un giorno all'altro) provo a riflettere a come mi organizzerei per vivere in un'automobile. Basterebbe avere in più solo una sedia e un tavolino pieghevoli, ed una tendda facilmente smontabile: così nei periodi caldi dell'anno la attrezzerei a veranda e giardino. L'ho visto farlo a dei gitanti in montagna molti anni fa, parcheggiando l'auto al lato della strada, verso il bosco. Purtroppo l'auto ha tutta una serie di punti deboli sia dal lato tecnico (manutenzione, antigelo, usura gomme, filtri e pasticche...) sia dal lato amministrativo (tasse, revisioni, tagliandi, tasse, tasse e ancora tasse) e perciò non è affatto detto che sia più economica di un normale monolocale. Ma quel che è peggio è che mi sarebbe impossibile vivere da nomade. Anzitutto per il puzzo dei gas di scarico che inquina le strade e impregna tutti gli interni delle automobili uscite da almeno 24 ore dal concessionario. Poi per il fatto che darei troppo nell'occhio in quanto sono un normale italiano anziché un immigrato clandestino dedito al nomadismo. Inoltre, per una questione igienica: mi mancherà la doccia calda mentre fuori piove a dirotto, mi mancherà la quiete per cambiarmi di biancheria mentre fuori nevica. Il nomadismo è una pratica tollerabile solo ai barbari che odiano se stessi e il mondo intero.
Quelle maledette merendine mi gonfiano all'istante lo stomaco, azzerando momentaneamente la fame, ma dopo pochi minuti mi fanno provare un'acidità fastidiosa. Ma cosa ci metteranno dentro? Quell'acidità è sufficiente a togliermi il sonno e a darmi ansia. Devo assolutamente smettere di mangiarne. Ma con cosa le potrei mai sostituire?

venerdì 29 luglio 2011

Si chiama Vincenzo e lo incontro ogni volta che sogno quel luogo dove c'è la piazzetta col bar, l'incrocio, la riunione in quel bugigattolo, il ciclomotore a cui fare il pieno... Ogni volta capita che ho bisogno di lasciare qualcosa in giro. Non volendo lasciar nulla incustodito (più per paura di scherzi che per paura di ladri) mi ritrovo Vincenzo lì, sulla sedia a rotelle, con quel leggero sorriso che è il suo marchio di fabbrica. Sempre vestito con qualcosa che somiglia ad una tuta blu da metalmeccanico, sempre con i capelli molto corti, mostra di avere una trentina d'anni di età (forse più di quanti non ne abbia davvero). Sta lì, davanti al bar, intere giornate a guardare il traffico. Se rubassero le mie cose, lui potrebbe a stento (e non senza pericolo) dare l'allarme. Ma accetta ugualmente il fastidioso incarico, con quel sorriso che tradisce generosità. Non ricordo più il cognome di Vincenzo, eppure me lo avrà detto in almeno due occasioni. L'ultima volta stavo per promettergli qualcosa per ricompensarlo della cortesia che mi usa, ma non avevo idea di cosa potesse essergli talmente gradito da non sentirsi tentato di rifiutare per pura cortesia. Perciò, più che qualcosa da mangiare, stavo quasi per promettergli che gli avrei presentato una donna (nella speranza che si sarebbe innamorata di lui). Ma un attimo prima di parlare mi rendevo conto dell'impossibilità di mantenere la promessa. Le donne che conosco pensano tutte di essere inguaribilmente romantiche ma riescono ad innamorarsi solo di belloni ricconi svitatoni, non sanno apprezzare un uomo semplice, sincero, e per di più non in perfetta condizione fisica. Le donne che conosco sanno innamorarsi solo di uomini che le maltrattano (ecco perché non si innamorano mai di me... e nemmeno di Vincenzo).

giovedì 28 luglio 2011

Lei strinse un po' gli occhi, per meglio mettere a fuoco il soggetto e per valutare il pericolo. No, era solo un immigrato. Clandestino, sicuramente. Ma era fastidioso vedersi guardata così. “Certo, è un abitino sexy, no? Sarò pur libera di vestirmi come voglio, no? Sarò pur libera di esprimermi, no? Chi siete voi bigottoni che volete impormi di vestire in modo decente? Io voglio andare svestita come mi pare! Però voglio anche che mi guardino solo gli uomini belli, ricchi e single. Magari mi sta bene anche che mi guardino con ammirazione (cioè con occhi da pesce lesso) altri soggetti meno interessanti, come eleganti uomini sposati, eleganti uomini divorziati, eleganti uomini belli e ricchi ma già impegnati. Tutti gli altri no, non devono guardarmi. Specialmente a quest'ora della sera, perché mi mettono paura. Che ne sanno, loro, di donne? Tornino nei loro paesi, dove le donne sono oggetti sessuali coperti da rigorosi tendaggi”. Cara signorina isterica, il problema è che tu intendi per “libertà di esprimerti” l'imitazione delle puttanelle televisive. Quando vai in giro vestita in quel modo, tutti gli uomini ti guarderanno pensando certe cose. Tutti. Specialmente quelli che non sono belli, non sono ricchi, non sono single, non vogliono conquistare cuori.

mercoledì 27 luglio 2011

La differenza tra me e te è che quando io dico “la gente” intendo la gente concreta, le persone che vedo tutti i giorni nella metropolitana, le persone che incrocio tra le corsie dell'ipermercato, le persone in fila con me alle Poste... tu invece dici “la gente” pensando a qualcosa che con te non c'entra. Quando dico “la gente soffre”, conto anche me stesso nel novero di quelli che soffrono; quando invece tu dici “la gente soffre”, stai parlando come se tu non soffrissi, come se tu fossi solo spettatore, come se “la gente” fossero solo figure che appaiono in televisione. La mia realtà è quella che fa parte della mia vita, la tua realtà sono le figurette che vedi in TV. Quando la “sofferenza” arriverà, sarai completamente sorpreso quando ti accorgerai che riguarda anche te e le persone che incontri, e non soltanto le figurette che scorrono sul tuo televisore.

martedì 26 luglio 2011

La chiamano “sindrome di Stoccolma”. Quando i sequestratori prendono ostaggi, al più si preoccupano che siano ancora vivi (altrimenti li avrebbero fatti fuori subito). Dunque ogni gesto che va al di là di questo (come per esempio il permettere l'uso della toilette o il concedere un po' d'acqua e cibo) è da considerare secondario. Agli ostaggi, però, per quella che è stata chiamata “sindrome di Stoccolma”, quei gesti secondari ispirano spesso complicità con i criminali rapitori: “dopotutto non sono così cattivi”. Anche nella guerra del mobbing succede la stessa cosa: dopo un lungo periodo di gravi pressioni, un banale bigliettino di buon compleanno può istupidire la vittima del mobbing e in fin dei conti prolungare inutilmente la sofferenza.

lunedì 25 luglio 2011

La memoria di certe persone è come quella degli uccelli: breve, di poche settimane. Dopo poche settimane vanno in amnesia totale. Dimenticano perfino di aver litigato con te. Per la terza volta mi mordo la lingua dopo avergli detto: “ma tu allora quella volta non...?” Mi mordo la lingua perché gli sto ricordando una cosa che lui aveva probabilmente dimenticato: i dissapori che c'erano tra noi due. Lui, sorpreso: “no, cosa? quale volta?” Mi affretto a cambiare discorso: “no, ho confuso con un'altra persona”. Mi mordo nuovamente la lingua: la mia scappatoia è troppo banale, se ne accorgerà, mi schiferà, mi odierà. Invece, lui: “sei sempre così, dimentichi troppe cose”. Resto sorpreso e muto: sta recitando? Mi prende in giro? Dopo qualche secondo di silenzio capisco che fa sul serio. Sono stato fortunato. Non ricorda più “quella volta”, o almeno non la ricorda adesso: è il momento di entrare in azione, di andare avanti come se nulla fosse avvenuto, cogliere la palla al balzo: tutta la fatica che mi sarebbe servita per ricomporre questi dissapori è stata risparmiata dalla sua memoria corta.