martedì 30 novembre 2010

Nella metropolitana stamattina ho udito una conversazione tra due donne, di età apparente sui 25-30 anni (mi correva l'occhio perché erano entrambe molto carine, e quindi ha finito per correre anche l'orecchio). Una delle due raccontava all'altra (che mostrava un certo interesse) una settimana passata in un convento di monache. Senza telefonino, senza TV, senza internet. I primi due giorni “da impazzire”, e il resto della settimana di pace e quiete, tra pranzi poveri ma gustosi e un giardino bellissimo. Ne parlava come se fosse una vacanza alternativa. Ha parlato di tutto tranne della vita delle monache. In monastero si prega o no? Non l'ha detto. Si alzava come loro alle quattro del mattino o no? Le monache hanno orari diversissimi da quelli di un villaggio vacanze. Il nuovo trend del perbenismo borghese è la vacanza in monastero. Lì finalmente non si sente più il trillo del cellulare ad ogni momento, finalmente si sta in un posto senza il rumore di fondo della televisione, e c'è tanto da fare che non c'è tempo per inviare scemenze alla propria pagina su Facebook. Da come parlavano avevo però l'impressione che la preghiera non c'entrasse per niente. Da come parlavano pareva che le monache fossero solo delle gentili albergatrici e deliziose ristoratrici. Sembrava che la settimana di monastero servisse solo a spezzare il caotico rumore quotidiano di trilli-telequiz-facebook. A me non importa niente delle questioni religiose, però mi dà un principio di nausea l'utilizzo improprio delle cose. Una volta la vacanza era per riposarsi: oggi si torna dalle vacanze più stanchi di quando si era partiti. Una volta il monastero era per farsi monaca: oggi si va al monastero per avere un albergo silenzioso e senza TV internet telefonini. Ma niente paura: dura solo una settimana.
I livelli di stupidità sono infiniti, ma c'è sempre la gara a chi ne raggiunge uno ancora più alto. Oggi in cima alla classifica c'è il tizio che ho visto nella metropolitana: si è fatto tatuare un codice a barre sul collo. La gente usa i simboli senza conoscerne il significato. Questo stupido, che lo sappia o no, si vuole far qualificare come oggetto comprabile. Che razza di stima di sè deve avere una persona per voler apparire come un oggetto. No, non può trattarsi di ironia o di autoironia. I simboli sono simboli. Se al posto del codice a barre avesse avuto una svastica, cosa avremmo pensato di lui? Cosa si può dunque pensare di lui quando si vede quel codice a barre?
La nonnetta tira fuori un bastone che aveva portato con sé e lo agita minacciosa verso l'impiegato alla scrivania. “Ho famiglia”, dice quello tradendo la paura, “e poi le regole erano tutte nel contratto!” “Ma a me era stato detto che avrei guadagnato e invece ora mi tocca pagare? Voglio subito il responsabile, rivoglio indietro i miei soldi!” “Ma io sono solo un impiegato”, piagnucola tremante, “io devo solo far andare le pratiche così come scritto nei regolamenti, io non ne ho colpa!” dice cercando con la mente un trucco per scaricare la responsabilità su qualche persona inesistente. “Sì, ma chi è il responsabile?” In quel momento finalmente entrarono le forze dell'ordine e bloccarono la donna. “Vacca lardosa, mucca pazza! Sì, mucca pazza!” disse l'impiegato quasi gridando, una volta che tutti furono via; “te lo meriti, non leggi il contratto, te lo meriti!” Il contratto, quello con scritte tutte le clausole in una lingua fumosa e farraginosa che somigliava all'italiano. “Una misera provvigione per pagarmi il mutuo, e poi devo rischiare anche la bastonatura? te lo meriti, cicciona inutile, scarto della società, te lo meriti”. Una misera provvigione, mi danno, per vendere questo Prodotto proprio alla gente come te, che conserva i soldi per imprecisati utilizzi futuri e poi si fa circuire dal primo mago che promette l'affarone per diventar ricchi senza fatica. Una misera provvigione per estrarre i vostri soldi, una misera provvigione per pagare finché vivo la casa in cui ho sempre abitato.

lunedì 29 novembre 2010

Essere figlio unico è un problema serio. Vivi in una gabbia dorata: ti viziano e coccolano ma contemporaneamente ti controllano e ti esaminano. Ogni tuo piccolo dilemma diventa un dramma, ogni tuo piccolo successo diventa un fastidioso trionfo. Se ti capita qualcosa, è tragedia. Un grave problema di salute (forse ancor più che la morte) del figlio unico, specialmente se maschio, è vista come l'apocalisse. Ai tempi delle famiglie “numerose” (cioè con più di due figli) non c'era né l'oppressione delle coccole né il gran dramma al minimo dilemma, non c'era né né l'obbligatorio trionfo ad ogni minimo passo avanti né la tragedia in caso di problemi di salute. Eri parte di una famiglia, i tuoi genitori non ti consideravano il loro unico e grandioso “prodotto” da far fruttare nella società con qualche successo da telefiaba. Non eri schiavo della vanità dei tuoi genitori; nessuno avrebbe sentito gridare con isteria e tono grave: “per Mio Figlio voglio Solo il Meglio!” (quanti “Mio Figlio”, in realtà, si contenterebbero anche di molto meno, pur di non essere testimoni di una pagliacciata come quella?)
Ora si sente nonna. Finalmente, quale onore! Commenta con precisione ed entusiasmo i capricci e le stupidate del nipotino: sapete, lei è la nonna. Nel vedere queste sceneggiate, che dimostrano solo la soffocante vanità della “nonna”, mi vien voglia di elucubrare pomposamente sulla forma delle nuvole o sui gorgoglii d'acqua nel lavello. I capricci del bambino sono solo dei capricci. Se contengono una minima traccia di intelligenza è solo perché il bambino comincia a capire che con determinati comportamenti (pianto ininterrotto, simulazioni di intelligenza) può ottenere tutto ciò che vuole. Il contrappasso è che la nonna (e molto più spesso anche i genitori) sono una presenza soffocante. Specialmente quando si tratta di figlio unico sul quale, per definizione, sono concentrate tutte le sempre più opprimenti attenzioni.
Credimi, ho cinquantadue anni. Sono single per un mio imperdonabile errore di gioventù. Sono single perché più di venticinque anni fa avevo non una ma due opzioni. Una donna dolce e affidabile, ed una imprevedibile con delle curve da far girare la testa. Entrambe sembravano aspettare un mio sì, mi sentivo come un re perché potevo scegliere comodamente. Il giorno prima di dichiararmi alla seconda andai dalla prima a dirle che eravamo ottimi amici e che saremmo restati tali per sempre. Non sapevo che la seconda dopo avermi tanto lusingato stava per dirmi pressappoco la stessa frase. Come io ferii la prima, così mi inguaiò la seconda. Commisi tutti gli errori che possono commettere quelli come me: ricominciare lentamente a corteggiare la seconda, lasciar perdere e poi ricominciare di nuovo, lasciar perdere e poi ricominciare ancora, inalberarmi alla notizia che era già fidanzata... Commisi tutti gli errori che può commettere un single sui trent'anni. Che lo portano a commettere tutti gli errori che può commettere un single a quarant'anni. Ad un certo punto, una decina di anni fa, vedendo tutti i miei amici accasati e con prole, lasciato praticamente solo come il cane del medico dopo la sala d'attesa, non ne potei più e tentai con un'ucraina. Mi sforzavo di inventare qualsiasi cosa che potesse far sembrare amore quel rapporto di reciproco utilizzo. Pur conoscendo il rischio, ugualmente caddi nel tranello e fui piantato non appena smisi di esserle utile. Fu un sollievo sentirmi sgridare dai rari amici rimasti: ti sei fatto piantare perfino da quella vecchia strega? Credimi, a cinquantadue anni e con una vita sentimentale catastrofica, il lavoro che scompare come nebbia al sole, le amicizie sfuggenti, le occhiatacce che mi colpevolizzano, secondo te posso essere davvero uno che viene qui da te a cercare solo parole di conforto?
Da giovane mi meravigliavo di quanta saggezza, intelligenza e scaltrezza potessero provenire da personaggi di telefilm che in teoria avevano un'età inferiore alla mia. Ragionavano e parlavano da veri adulti. Avevano un cuore tutto puro (i buoni) o tutto impuro (i malvagi), daccordo: ma questa è necessità narrativa. Era necessità narrativa anche il dare tante capacità intellettuali a degli adolescenti? La scena più frequente tra quelli della mia età era un composto di piccinerie, vanità, dispetti, meschinità. Di tanto in tanto emergeva un briciolo di serietà e capacità di guardare al di là del proprio naso, ma era l'eccezione. Non credo di aver avuto come compagni di scuola dei barbari: dopotutto erano nella media, ed anche cambiando città e cambiando scuola l'osservazione rimaneva pertinente. L'adolescenza, dopotutto, è un periodo psicologicamente tormentatissimo per tutti. Nei telefilm invece erano saggi e intelligenti (anche se ingenui esattamente quanto richiesto dalla trama), sempre e comunque. Dovevano darci il buon esempio, ma per assecondare i nostri sogni erano non solo “realistici” dal punti di vista del carattere, ma erano anche agiati e fortunati, puliti e ben vestiti, senza altri problemi di vita che non fossero strettamente attinenti alla trama (mi sembrava semplicemente impossibile che avessero tutto quel tempo libero per uscire, flirtare, socializzare, nonostante la scuola e la famiglia).

venerdì 26 novembre 2010

Certi profili Facebook sono riducibili ad una sola frase: “ecco il mio fidanzato”. Decine, centinaia di fotografie in cui lei e lui sono al centro dell'attenzione e sono solitamente gli unici due soggetti di ogni foto. Una donna fiera di avere finalmente un fidanzato stabile desidera naturalmente gridarlo a tutto il mondo, senza accorgersi di essere terribilmente noiosa oltre che alquanto repellente per chiunque voglia intrecciare la più semplice delle amicizie. In genere, dopo pochi anni (talvolta anche prima del matrimonio), questi fidanzamenti così ufficiali, così stabili, così indistruttibili, si sfasciano come un uovo fresco caduto dal balcone del diciannovesimo piano.
Leggo che in Giappone il venti per cento dei giovani ha una tendenza a rinchiudersi in casa e a non avere altra vita sociale che l'internet. Il fenomeno è preoccupante ma quegli auto-reclusi, a parte l'allergia alla vita sociale, sono generalmente persone normali e creative. I giovani italiani hanno la tendenza a fare solo ed esclusivamente vita sociale. Vanno a scuola perché devono far vita sociale coi compagni. Escono di casa per fare vita sociale. Lavorano per fare vita sociale e per prendere uno stipendio (ma del lavoro non gliene importa quasi niente). Tutta vita sociale e niente creatività, assolutamente niente creatività, niente arte, niente cultura, se non la Settimana Enigmistica e qualche annoiata visita a qualche monumento o museo. Gli italiani sono molto più vicini alla barbarie di quel che immaginiamo.

giovedì 25 novembre 2010

Una delle scene che nei film trovo più insopportabili è la violenza sulle donne. Vengono inserite scene di violenza solo per dimostrare che il personaggio malvagio è particolarmente malvagio, il che giustificherà l'utilizzo della peggior violenza possibile e della peggior sequenza mortale finale senza possibilità di sopravvivenza. Nei film degli anni settanta questo ingrediente cinematografico è utilizzato con compiacimento in diversi generi, a cominciare dal western. Per questo è meglio non andare al cinema; i film vanno visti a casa, con comodo e soprattutto col tasto “avanti veloce” per saltare le scene di riempitivo e di violenza gratuita.
Ogni tanto, navigando in internet, mi imbatto in community assurde di gente con manie incredibili. Scopro questa comunità di disegnatori bravissimi. Disegnano per il solo piacere di disegnare: sono degli artisti veri. Molto più bravi di disegnatori di professione. Si radunano lì a parlare dei loro disegni e delle loro manie. Litigano, si riappacificano, si dividono in fazioni... La loro bravura resterà sepolta nel caos di internet. Da piccolo vidi un bambino che aveva inciso su un muretto una scena campestre (molto piccola, una quindicina di centimetri di larghezza). Sapevo che quel muretto doveva essere abbattuto di lì a pochi giorni e per un po' cercai di immaginare in che modo si potesse salvare quel disegno o farne una copia. Poi, non so come, dimenticai la cosa. Anni dopo, passando per quella stessa strada di periferia, vidi che il muretto non c'era più e mi ricordai di quel disegno, pentito di non averlo almeno fotografato. Temo per quella community la stessa fine: i loro disegni spariranno nel nulla e le loro vite prenderanno tante direzioni diverse e la loro passione diventerà uno sbiadito ricordo.

mercoledì 24 novembre 2010

Siamo nel 2010 e ancora si vede nei film la scena di uno che paga un ricattatore per ottenere la restituzione delle foto compromettenti. Che idiozia. Chi ha delle foto compromettenti può passarle al computer e distribuirle all'universo mondo di internet in pochissimi minuti: a che pro pagare per le originali? Chi ha delle foto compromettenti può conservarne copia in cassaforte o presso una dozzina di diversi notai, per poter ripetere il ricatto ogni volta che gli aggrada. Tutte le immagini e tutte le registrazioni audio e video sono duplicabili a costo zero e diffondibili a costo quasi zero. Ormai chiunque abbia un telefonino può scattare foto e conservarle e inviarne copia ovunque.
Ho scoperto una community di persone che si definiscono asessuate. Cioè non desiderano assolutamente rapporti sessuali, nemmeno nell'immaginazione; non è dovuto a problemi morali (e naturalmente non si tratta di persone che detestano ciò che non sono riuscite a raggiungere). Dicono che c'è una notevole percentuale di persone così; dicono di non sentirsi diversi dagli altri ma di avere in orrore i rapporti sessuali. Alcuni di loro sopportano con pazienza la vita matrimoniale. Altri semplicemente vivono senza sposarsi e senza rimpiangere il matrimonio. Molti anni fa, quando l'Italia pullulava di conventi e quando il farsi suora o farsi frate era addirittura motivo di elogio, potevano darsi alla vita di castità vivendo sereni. Oggi invece vengono sottilmente presi in giro sul web e sui giornali, come se fossero dei malati che non vogliono guarire.

martedì 23 novembre 2010

Il gioco del calcio mi è sempre stato odioso. In una squadra i giocatori sono divisi così: quelli che sono incaricati di fare goal e quelli che sono incaricati di proteggere la squadra dai goal avversari. I primi possono solo guadagnare elogi, i secondi devono tentare almeno di non far figuracce. Sembra proprio uno spaccato della società attuale, con i “ricchi” che non hanno nulla da temere (se non la multa per aver parcheggiato lo yacht troppo vicino alla Costa Azzurra) ed i “poveri” che vivono del loro lavoro e devono stare attenti anche alla più stupida delle multe per divieto di sosta. Nel gioco del calcio tutti i miei compagni di scuola ambivano ad essere gli attaccanti pronti a realizzare il sacro goal. Nella vita tutti si sogna di essere ricchi, famosi e senza problemi. Tutti si sogna di essere attaccanti e goleador. Tutti si comportano come se l'umile ma preziosissimo lavoro del difensore fosse una vergogna, fosse un insulto alla dignità.


Quell'orrido film francese, tolta la scena di nudo, è la solita noiosa storia dei carcerieri che simpatizzano per qualche carcerato. Un film da dimenticare, come tutti i film francesi. Un film imbottito di quella che io chiamo bigotteria moderna: i carcerieri sono i cattivi ed i carcerati sono i buoni. Proprio il contrario preciso ed esatto della bigotteria antica. In quest'ultima, il carcerato era sempre “giustamente” carcerato, ed il carceriere era sempre indiscutibilmente sorvegliante ed educatore (su, siamo onesti: il sistema penitenziario, in teoria, dovrebbe essere così). La modernità ha portato un cambiamento di direzione, ma non ha corretto le esagerazioni. Nell'immaginario collettivo i carcerati sono sempre “ingiustamente” carcerati, ed i carcerieri che non simpatizzano con loro sono necessariamente dei cattivissimi da disprezzare (e che solitamente fanno una brutta fine). L'errore nacque nell'Unione Sovietica di Stalin: i carcerati per delitti politici (cioè, nel peggiore dei casi, reati di opinione) erano trattati molto peggio dei detenuti comuni (malviventi, ladri, assassini). Questi ultimi erano etichettati “socialmente vicini”, senza nessuna ironia. Nella cinematografia occidentale dei nostri anni, i “socialmente vicini” godono di uno status privilegiato. Nella cinematografia e spesso anche nei carceri veri. È incredibile il fatto che reati amministrativi vengano puniti più e peggio di assassini e violenze. Quel film francese è un po' uno specchio della bigotteria vera della nostra epoca.

lunedì 22 novembre 2010

C'è gente che disegna fumetti solo per rappresentare i propri sogni. Scrivono storie solo per aiutarsi a sognare meglio. Anch'io ho scritto racconti, ma l'ho fatto per descrivere immagini e situazioni che non volevo dimenticare. Quando li ho scritti, non infilavo eventi e discorsi per far “andare avanti” la trama. Non spingevo io la trama, ma cercavo di seguire i personaggi che mi ero inventato, nella maniera più realistica possibile, come se io avessi davvero creato una vita e la guardassi fiorire. Questa è la virtù degli artisti veri, degli scrittori veri (ma io sono semplicemente troppo misero e ingenuo per poter pensare di vivere da scrittore). I sognatori raccontano i propri sogni. Gli scrittori veri raccontano storie che parlano, storie reali, vissute, vivibili. Per questo i sognatori sono noiosi e gli scrittori veri provocano vere emozioni. Il vero dramma di certi filoni letterari, per esempio il fantasy o la fantascienza, è che togliendo l'elemento di fantasia (come i motori intergalattici o le streghe-lupo della foresta) si ottengono storiette di cronaca, raccontini contenenti misere scene di vita quotidiana, solite gelosie, soliti amori, solite infatuazioni, soliti lieto fine (oppure stupida fine). Sono scritti da sognatori, non da scrittori veri.
Nello sfogliare blog altrui mi meraviglio sempre di quanta gente abbia modo di inserire pagine alle tre del mattino. Cosa faranno mai nella vita, visto che gran parte della notte la passano sempre svegli?

sabato 20 novembre 2010

Una delle cose che odio di più: quando viene sistematicamente messa in dubbio la tua buona fede.

venerdì 19 novembre 2010

Mi sorprendo sempre quando vedo che una donna tira fuori la risposta acida preconfezionata. Fanno di tutto per passare per ingenue sognatrici e poi appena si trovano di fronte ad una qualsiasi banale realtà subito sfoderano parole pungentissime e velenosissime. Lo fanno con tanta dimestichezza che da sempre sono convinto che abbiano un frasario già pronto, a mo' di formule magiche (o esorcistiche, a seconda dei casi). La frase di oggi è: “decido io a chi devo piacere”. Brava! Clap, clap! Così si risponde ad un uomo! Prima fai di tutto per far notare all'universo mondo le tue curve e poi, accorgendoti che il candidato che si avanza verso di te non era nella tua lista, sputi fuori tanto veleno in poche parole. Sorprendente. Le dirette interessate non ci fanno caso, ma assai raramente la bellezza fisica si accompagna ad un basso livello di acidità nel carattere.
Il cosiddetto erotismo è una noia mortale. Nudità stupide e ripetitive condite da un parolame idiota che farebbe sbadigliare perfino coloro che scrivono le frasette dei Baci Perugina. La differenza tra pornografia ed erotismo è che quest'ultimo è assai più noioso.

giovedì 18 novembre 2010

Ogni tanto ripenso a quei cioccolatini che le regalai e mi viene il magone. Mi viene il magone perché mi accorgo di essere colpevole. E' come se l'avessi ingannata: quei gesti hanno un significato, e io il significato lo conoscevo bene (pregustavo infatti l'invidia delle sue amiche mentre le avrebbero detto: “dunque anche tu sei capace di far colpo su un uomo, ancorché misero come quello”). Un regalo dolce e amaro: dolce perché era un riconoscimento della sua femminilità (quanto dev'essere bello per una donna ricevere un regalo che potrebbe essere il primo passo verso lo stare insieme), ma amaro perché lei già intuiva che non avrebbe avuto seguito (quanto dev'essere amaro per una donna vedere che dopo il primo passo verso lo stare insieme vengono cancellate tutte le possibilità di passi successivi). La mia vita sarebbe stata diversa, se in quei cioccolatini ci avessi messo almeno l'ipotesi di essere il suo uomo. Invece tutto finì lì. Mi vien proprio un magone, nel ricordarmelo.
Piangeva a telefono, poveretta, cercando di dirmi quanto fosse disperata. “Ci ho anche fatto l'amore, ma poi se ne è andato lo stesso”. Mi disse questa cosa e io stringevo i denti per non imprecare (per la rabbia, e forse un po' anche per invidia). Lei si era follemente innamorata di quello straniero, che la allontanava bruscamente. Lei era talmente infatuata di lui che ci andò a letto, forse addirittura faticando per convincerlo. Ma lo straniero, dopo essersi divertito ad utilizzarla come giocattolo sessuale, la piantò e se ne tornò in patria. E lei disperata a piangere: alla sua veneranda età, il più grande amore della sua vita spariva. Lei ci aveva “perfino fatto l'amore”: prostituzione non per soldi ma per sentimenti. Avrei voluto dirle che quella brutta lezione se l'era meritata e che doveva anche dirsi fortunata, poiché lui poteva benissimo essere uno di quelli che ne approfittano fino ad annoiarsi e piantarla ugualmente. Lei piangeva ed io lì ad ascoltarla vergognandomi tra me e me di pensare “ma a che aspetta a dirmi che vuole consolarsi con me?” Sfruttatore anch'io. La donna più debole è quella talmente schiava delle proprie infatuazioni da confonderle col sesso (anche se questo è un errore tipicamente maschile). Dopo qualche mese i contatti telefonici con lei si erano fatti talmente sporadici da mettermi a riflettere sull'eventualità di averle detto qualche parola involontariamente offensiva. Oppure sull'eventualità che lei avesse capito dove volevo arrivare (fidanzamento e sesso, o almeno solo un po' di sesso). “Ci ho anche fatto l'amore”, come se il sentimento dell'amore fosse una cosa da “fare”, una cosa da “scopare”. “Ci ho anche fatto l'amore”: questa frase mi torna in mente spesso, specialmente quando qualche uomo afferma di avere le sue “esigenze”, parlando solo per autocompiacersi e autogiustificarsi per il voler utilizzare una donna come proprio giocattolo sessuale. Lo straniero era “straniero” solo per il municipio, ma per il resto era solo un uomo annoiato da una donna che non lo attrae, e che però se la porta a letto dicendosi: “io ho le mie esigenze”.

mercoledì 17 novembre 2010

Mi infastidisce la dimestichezza maliziosa con cui certe giovani parlano di sesso. Dopo un milione di volte che hai parlato di sesso, finisci per diventare un oggetto sessuale a disposizione dei furbi che incontrerai.
Una donna poco attraente che riceve un regalo che solitamente significa ammirazione, un po' si sorprende e lusinga, ma poi soffre. Soffre perché sa che quel pacchetto di cioccolatini non avrà seguito, e perciò sarà prezioso ogni momento in cui ne mangerà uno. Soffre perché sa che le amiche parleranno e sparleranno di lei a lungo, fingendo curiosità per nascondere una strana forma di invidia (che se fossero sincere esprimerebbero così: “non li meriti, solo io li merito, per cui una cosa buona donata a te significa che in qualche modo danneggia me”). Soffre perché sa che quei cioccolatini avrebbero un significato diverso se fossero stati donati ad un'altra donna. Soffre perché sa che se anche ci fosse un seguito, il cammino verso il fidanzamento sarà ugualmente lungo, ripido e doloroso.

martedì 16 novembre 2010

Quella volta che quasi senza motivo le portai dei cioccolatini, lei divenne argomento fisso di conversazione per diversi giorni: le sue amiche morivano dalla curiosità di sapere come aveva fatto una come lei (dall'aspetto fisico tutt'altro che invidiabile) a conquistare il cuore di un uomo (sebbene io fossi un uomo tutt'altro che attraente ai loro occhi). A distanza di anni lo ammetto senza vergogna: quei cioccolatini li meritava. Portandoglieli, sentivo di rimediare (sia pure in minima parte) alle odiose parole che avrà incassato fin da bambina. E poi provavo un piacere smodato nel pensare a quanto avrebbero ricamato e rosicato le amiche chiacchierone.
Ho l'impressione che in ogni fiction debba essere presente una donna amabile che interviene a favore dei protagonisti (destinati immancabilmente al matrimonio) e poi togliersi dai piedi. Sembra che queste fiction suggeriscano che le persone altruiste volontariamente si fanno utilizzare e volontariamente spariscano non appena compiuta la missione. Talvolta alla fine del film vengono maritate a qualche altro personaggio secondario, ma solo per far risaltare ancor di più il matrimonio dei due protagonisti (come a dire: vedete? noi ci sposiamo, e si sposano anche le comparse). Ci vorrebbe un sindacato di queste donne amabili. Le ho chiamate “amabili” perché sebbene la protagonista sia sempre perfetta e virtuosa da tutti i punti di vista, la comparsa che dà un aiuto al momento giusto è semplicemente impagabile. Tutte le virtù della protagonista bellona non valgono una cippa a confronto del gesto semplice e spontaneo della comparsa amabile che compare al momento giusto e al posto giusto. Per questo dico che è “amabile” e che me la sposerei.
Quanto sono simili ai loro escrementi gli uomini che parlano compiaciuti dei loro escrementi!

lunedì 15 novembre 2010

I discorsi “tra uomini” sono un pozzo nero profondo e putrido e sempre più allargato. Mi ci hanno trascinato anche stavolta. Quando sono finalmente rimasto da solo, ho ripensato alle tante cose che ho sentito e alle poche cose che ho detto. Me ne vergogno. Per mostrarsi uomini (socialmente uomini) quando si è tra uomini (animalescamente uomini) si finisce certe volte per accettare di partecipare a quel rito da tribù di barbari. Ma la cosa che più mi infastidisce è quando qualche donna chiede con aria compiaciuta quali fossero gli argomenti di quella conversazione tappezzata di grasse risate. La malizia femminile consolida il tribalismo maschile. La chiave dell'imbarbarimento dell'uomo è tutta nella manifesta malizia della donna.


Talvolta le donne commettono l'errore tipico degli uomini: confondere i confini di sentimenti e sesso. Come uno scommettitore disperato, talvolta perseverano nell'errore per lunghissimo tempo.
Quando in un film c'è la competizione tra la donna bella, intelligente, sensuale, protagonista, e la donna semplice ma amabile, io faccio sempre il tifo per quest'ultima. Certe comparse valgono più degli attori principali. Quando la storia fa “rassegnare” la comparsa tutto sommato amabile (posta lì solo per non dare ad intendere che l'amore tra il protagonista e la protagonista sia automatico), darei un calcione negli stinchi dello sceneggiatore e uno a quelli del regista.
Nel mio lavoro può capitare che il venerdì sera, dopo la fine della giornata lavorativa, nel momento in cui in teoria dovresti già essere a casa e invece sei ancora in azienda, può capitare qualche problema grave ed urgente per il quale dovresti lavorare come un forsennato fino al lunedì mattina. In questi casi divento anch'io un vigliacco (se non altro per legittima difesa, perché anche tutti gli altri scappano il prima possibile). Quando non sono stato vigliacco, ho dovuto subire un week-end di umiliazioni; anche se solo limitate al venerdì sera, succede che tutto il sabato e la domenica sei nel terrore di ricevere telefonate in cui ti dicono che è inevitabile dover correre in azienda a dare una mano (l'umiliazione sta anzitutto nel modo in cui te lo dicono, come se tutti i problemi del mondo fossero stati causati da te).

domenica 14 novembre 2010

Sarei un bugiardo se negassi che la prima cosa che mi colpisce di una donna è il suo aspetto fisico. Ma sarei un bugiardo anche se dicessi che mi interessa solo quello (qualche volta l'ho detto solo per spegnere sul nascere quei soliti “discorsi da uomini”). Questo succede perché non riesco a non domandarmi: “sì, dopo averla portata a letto, cosa resta?” Non resta niente. Resta il ricordo di una sensazione fisica, ma non resta un sentimento (molti uomini vivono come se sentimento e sensazione fisica coincidessero).
Da piccolo scrivevo poesie. Era solo un esperimento: a scuola ci avevano parlato in modo tanto pomposo dei poeti. Carducci, che noia mortale. Scrivevano paroloni, mettevano (e soprattutto omettevano) rime... e poi? Cosa ha di speciale, di artistico, di intelligente, una poesia? Montale è qualcosa che fa cagare, ma proprio cagare duro. Pascoli? Un orrore. La poesia è l'arte più imbecille che esista. L'elogio della poesia è opera di annoiati e malinconici insegnanti di lettere. Da piccolo ho scritto poesie, a mo' di esperimento. Esperimento riuscito: annoiavano anche me.
Quello stupido ha dichiarato sul suo blog che avrebbe sedotto e abbandonato la collega di lavoro al solo scopo di darle una lezione di vita. Quanto vorrei imbottirlo di calci e sprangate. Dove sono quelli che condannano lo stupro? Dove sono quelli che si sdegnano per la violenza sulle donne? Lui e i suoi amici che lo elogiano (e perfino le amiche che commentano favorevolmente la possibile “lezione” per la smorfiosa) non si rendono conto che quello stupido ha manifestato intenzioni prossime allo stupro. Anzi, peggio dello stupro, perché nello stupro c'è solo violenza, nel suo caso invece c'è l'inganno. Il paradosso, in queste situazioni, è che quando si era tutti “bigotti” le donne non rischiavano umiliazioni come quella. Tradimenti e umiliazioni esistevano, ma non avevano la frequenza che hanno oggi.

sabato 13 novembre 2010

Le donne sono come i gatti. Puoi avvicinarle, ma fino ad un certo punto: poi scappano da te. Ogni volta che scappano da te, diventano ancora più sospettose. Infine scopri che si concedono ad uno spostasedie qualsiasi.
Sono un eterno precario. Non soltanto col lavoro ma anche con la vita. Sono nelle condizioni di chi non fa più fatica ad ammettere le proprie sconfitte e si rende conto che anche ammettendole non cambia niente. Mi sento vecchio non per l'età o per la salute, ma per il numero di promesse a cui ho creduto e che non sono state mantenute. Mi sento vecchio perché le donne da cui sono attratto sono tutte già impegnate, oppure mi vedono come fumo negli occhi, oppure si ostinano a vedermi come amico. Mi sento vecchio e precario perché il mio lavoro consiste anzitutto nel convincere i capi che ho lavorato davvero e che sto lavorando davvero. Precario, vecchio e precario: così ho passato i migliori anni della mia vita.
Il sabato e la domenica e nei giorni di festa dormo tantissimo. Dormire serve a ritemprarsi non solo nel corpo ma anche nella mente. Dormire è come fuggire dalla realtà e trovar pace. Una dose settimanale di due giorni di pace, in cui sto in casa disteso sul letto, appollaiato in poltrona, spalmato sul divano. Il massimo del riposo è quando sai che ci sono cento cose da fare, c'è da pulire il lavello, c'è da pulire il frigo, c'è da rimettere il chiodo nel tinello... e, pensando a tutte queste cose, ti dici: “sì, dopo vedrò, stasera, domattina magari, non è urgente, più tardi magari trovo cinque minuti oppure dieci minuti, ma sì, prima di cena”... Mentre pensi a queste cose le palpebre ridiventano pesanti, socchiudi gli occhi, senti già che il sonno ti sta prendendo. Ti copri con qualcosa e ti rilassi, sapendo che la suoneria del cellulare è azzerata e che nelle prossime due ore il mondo non cambierà. Sogni d'oro!

venerdì 12 novembre 2010

Quella di Stanlio e Ollio appoggiati su un baule tenendosi ciascuno la testa con una mano è un'icona del cinema. L'ho vista un attimo fa ed istintivamente ho sorriso. Poi mi sono chiesto: ma perché ho voluto sorridere? Quei due volti ci “comandano” di sorridere. Tutti abbiamo gustato le loro avventure almeno una volta nella vita; tutti abbiamo sorriso per i loro goffi e maldestri tentativi. Nell'immaginario collettivo, quei due “fanno ridere”, cioè “devono” farci ridere. Vedo quella foto e istintivamente sorrido. Sorridere non è ridere: sono due cose profondamente diverse. Ecco il punto su cui rifletto: lo scoprirsi a sorridere e domandarsi il perché. Perché ho sorriso? E' stato un sorridere istintivo. Ho inconsciamente obbedito al comando di sorridere, generato da quei due volti. Eppure, nelle loro avventure e disavventure, c'è oggettivamente poco da ridere. Umiliazioni e fallimenti: cosa c'è da ridere? Ridiamo perché ci sentiamo estranei a quei fallimenti. Ridiamo perché è bello sapere che un determinato guaio, di cui veniamo a conoscenza, riguarda persone tutto sommato lontane dalla nostra vita. Talmente lontane che si può ridere delle loro disgrazie. Stanlio e Ollio, il ragionier Fantozzi, Wyle E. Coyote e tutti gli altri personaggi “comici” catastrofici, ci fanno ridere perché calamitano disgrazie che (evviva evviva) non ci riguardano. Ci fanno ridere perché godiamo delle loro disavventure senza senza doverci accusare di essere sadici.
L'imbarbarimento di una società è un meccanismo lento e inesorabile. Figli maleducati si metteranno insieme per procreare altri figli ancor più maleducati (ed in quantità inferiore), i quali a loro volta si metteranno insieme per eventualmente procreare altri figli incivili (ed in quantità inferiore). Negli anni Cinquanta c'erano ancora le famiglie numerose. Si lavorava generalmente tutti, c'era generalmente assai poco sfascio. Negli anni Sessanta c'erano ancora famiglie ampie. Negli anni Settanta la media calò a due-tre figli. Negli anni Ottanta a uno-due figli. Negli anni Novanta ad un figlio. Negli ultimi anni il figlio, se proprio arriva, è generalmente artificiale: o per fabbricazione in struttura sanitaria, oppure perché utilizzato strumentalmente per ravvivare la coppia. La popolazione diminuisce e nel frattempo viene imbarbarita da un'educazione sempre più inesistente. I nuovi barbari, anzi, i nuovi “africani” (non importa di quale regione d'Italia), vivono solo di telefonini e discoteche, vivono solo di parassitismo e di rendita, vanno a scuola non per imparare ma per socializzare (e vogliono essere promossi senza studiare), vanno a lavorare non per produrre ma per socializzare (e vogliono lo stipendio senza faticare). Le ricchezze messe insieme dai loro nonni (che hanno lavorato sodo per una vita intera) vengono dilapidate e bruciate in poche stupidissime azioni barbariche. Tutto questo mentre una gravidanza su tre viene “interrotta” uccidendo il nascituro.

giovedì 11 novembre 2010

Ci risiamo: la solita ragazza che scrive la solita frase che contiene la solita espressione “fare l'amore”. Ma l'amore si “fa”? Dovrebbe dire “fare sesso” e invece, ipocritamente, dice “fare l'amore”. Inoltre: con centinaia di amici su Facebook che vedono ciò che scrivi, perché mai usi l'espressione “fare l'amore”? Stai insinuando qualcosa? Stai suggerendo che se qualcuno ti si propone per “fare l'amore”, c'è una possibilità che accetti? Visto che scrivi così, o sei una baldracca, o sei un'ingenua. O sei una baldracca perché insinui, oppure sei un'ingenua che non conosce il significato delle parole che usa. Eppure il termine “fare l'amore” è fin troppo conosciuto e usato, nella lingua italiana. Dunque sei solo una baldracca, che ama farsi riconoscere come tale (scrivendo sul “fare l'amore” nel tuo status, stai già provocando e insinuando), che pensa “io non sono una baldracca” solo perché hai deciso di dar poco peso alle critiche come questa che sto esprimendo adesso.
Eccole, le brave ragazze che vanno al mare con gli amici e mettono su Facebook le loro foto in costume da bagno in pose obbligatoriamente allegre e sexy. Al mattino al mare, al pomeriggio su Facebook. Donne dalla doppia morale: tutte pudiche e bigotte quando guardi quella scollatura, tutte sexy e provocanti quando vanno al mare. Ora che ho capito il trucco, non perdo più tempo a guardarle le gambe: vado a sfogliare il suo profilo Facebook. Mi divertirei tantissimo a commentare quelle foto come sul blog (evidenziando il vero bigottismo del nostro tempo, cioè quella “doppia morale” ipocrita e borghesotta), ma non posso permettermi di perdere gli amici. In quest'epoca di cafoni ipocriti, è vietato dire la pura e semplice verità.

mercoledì 10 novembre 2010

“Ma in soldoni?” Quante volte ho dovuto ripetere queste tre parole. Quante volte mi si parla per sottintesi. Quante volte si presume che io intuisca ciò che non si ha il coraggio di dirmi. “Comunque, è un no”. Sì, ma cosa significa materialmente questo? “La risposta definitiva è no”. Risposta a cosa? In soldoni, cosa mi stai dicendo? “Sei licenziato. L'azienda ha deciso che non può più sostenerti”. Azienda? Perché attribuisci all'azienda una decisione tua? Sostenermi? Perché parli come se fosse l'azienda (cioè tu) ad aver fatto fino ad oggi un favore a me, piuttosto che il contrario?
Mentre coprivi furiosamente la scollatura (che ho adocchiato per una frazione di secondo) ero tentato di dirti: ehi, miss spogliarello, sappi che posso benissimo guardare le tue foto su Facebook, dove sei molto più spogliata che adesso. Siamo “amici” su Facebook: hai accettato la mia “amicizia” senza controllare, tanto, con duemila “amicizie” Facebook, non puoi mica perdere tempo a domandarti se conosci già ogni nuovo Nome-Cognome-Foto che ti si presenta come “amico”. Comunque, grazie per le foto in cui sei così svestita. Con gli altri duemila tuoi “amici”, posso guardarti quando mi pare, comodamente, via internet. Quando qualcuno guarda la tua scollatura, come per un tic ti affretti subito a coprirla. Ma tanto c'è Facebook, dove si vede ben più della tua scollatura. Che tristezza queste donne ipocrite dalla “doppia morale”. Puritane e bigotte quando è inutile, baldracche quando è dannoso. Povere sceme.
Nella vita di tutti i giorni provano un fastidio terribile quando qualcuno guarda le parti del corpo che mettono in mostra. Cara miss spogliarello, se hai scelto di mostrare in pubblico quella scollatura, perché tenti di coprirla (più istericamente che pudicamente) quando cogli qualcuno che per una frazione di secondo la guarda? Ma non c'è problema: basta guardare le tue foto su Facebook. Lì sei in bikini, e si vede assai più che da questa scollatura che frettolosamente e furiosamente tenti di coprire. Che c'è? La tua morale ipocrita è essere bigotta in strada e libertina sulla spiaggia? La tua morale borghese è essere pudica in strada e baldracca su Facebook?
Uno dei miei sogni proibiti: passare una notte in albergo con una donna. Non per fare quel che pensate voi (ma sì, diciamo pure “non tanto”), ma per gustare il ronzio delle voci degli amici e dei colleghi il mattino dopo in ufficio. Le dicerie volano velocissime: basta fare di tutto per non farsi notare, che si viene immancabilmente notati. In questo misero mondo di sessualismo sfrenato, orgoglioso, esasperato, c'è una bigotteria sessistica che è l'opposto speculare (dunque uguale) della bigotteria puritana ipocrita borghese.
Una volta si diventava adulti senza vedere invecchiare i propri genitori. Oggi si nasce con genitori già vecchi.

martedì 9 novembre 2010

La tua strategia è brillante. Ma proprio per questo è prevedibile.
Il nonno prende la cassetta degli attrezzi e la porta sulle scale. Deve, deve assolutamente mostrare la sua utilità. Anche se tutte le altre volte è sempre finita nei guai. Non se la sente di star lì a “fare il vecchietto”: avverte l'urgenza di dimostrare che è utile, che fa qualcosa di buono per tutti. Deve. Prende le pinze e comincia a forzare lentamente il gancio. Lui sì che ha la saggezza necessaria per questo tipo di lavoro: chiunque avrebbe agito subito con forza. Ma lui no, lui forza delicatamente, perché non vuole che si spezzi. Solo lui poteva fare un lavoro del genere: anzi, solo lui “doveva” farlo, perché sapeva che doveva farlo per mostrarsi utile. Un attimo dopo il gancio si spezza. La ruggine ha ceduto. I cardini sono inclinati, l'anta resterà sempre aperta. Mette un po' di nastro isolante verde (è l'unico che aveva! pazienza se stona col colore del muro!) che si stacca quasi subito per il peso dell'anta. Mette nastro e nastro con abbondanza, fino a sudare per lo sforzo. Finisce il rotolo del nastro. L'anta sembra reggere. Un attimo per rompere il gancio, un quarto d'ora di preparazione, un quarto d'ora per rimediare al danno fatto, tentando di non pensare a cosa farà l'umidità a quel nastro. Torna in casa, imprecando. La figlia non intuisce al volo e gli domanda, pensando di far cosa gradita: “allora, hai sistemato quel gancio?” Il nonnetto impreca qualcosa sull'utilità delle persone e si allontana, cercando di non pensare ai tempi in cui era giovane e gli anziani non avvertivano la necessità impellente di produrre qualcosa di elogiabile dalla società.

lunedì 8 novembre 2010

In maniera inversamente proporzionale alla propria tendenza ad assimilarsi alle bestie, gli uomini utilizzano gran parte del loro tempo per pensare ai gesti e alle parole necessari per recuperare punti agli occhi delle donne che gli interessano. Questo succede perché una delle più terribili armi di una donna è il considerarti antipatico. Per un nonnulla ti tolgono dieci, venti, cento punti-simpatia. Certe volte sembrano perdonarti e restituirti buona parte (mai tutti) i punti-simpatia che ti avevano decurtato sull'onda di qualche momentanea emozione che cinque minuti dopo non ricordano più. Ma anche quando ti perdonano per crimini che sono tali solo nei più remoti anfratti delle loro isterie, sei sempre a rischio di un nuovo e più grande salasso. Lo sto notando in particolare in un'amica che sebbene innamorata folle del suo fidanzato, non perde occasione per decurtargli punti in modo sottile e continuo. E' innamorata follemente di lui, ma non lo ama.
Una delle cose che più odio è dare il cattivo esempio. Non è una forma di perbenismo, ma di autodifesa. Non è un castrarsi, ma è un investimento. Da adolescente ebbi l'occasione per approfittare di una compagna di classe. Quando ero pronto a partire riflettei per una frazione di secondo: “se fa questo con me, poi si sentirà abilitata a farlo con chiunque”. Vidi scorrere davanti ai miei occhi i miei compagni di classe, animali dalle sembianze umane, bestie incapaci di cercare altro che sesso, partite di calcio, videogiochi. Mi parve di vedere anche tante altre bestie di tante altre classi, e di tante altre scuole. Da questo esercito di bestie mai sazie emerse uno dei più lerci proprio nel momento in cui la mia compagna di classe si sentiva più sola (o più in vena, o più annoiata, o con qualsiasi altra scusa buona per farle abbassare un po' le difese). Vidi come davanti ai miei occhi la scena in cui lei diceva tra sè e sè: “perché no? dopotutto l'ho già fatto una volta. Anzi, stavolta potrei provare qualcos'altro”. Un cattivo esempio vale spesso più di cento crimini concreti. Lasciai perdere e andai via, dispiaciuto di aver sprecato un'occasione per soddisfare il mio egoismo e anche con un senso di amarezza pensando al prossimo approfittatore, meno scrupoloso e più animale di me. Quest'ultima fobia, però, non riusciva a cancellare quello strano retrogusto di serenità che avvertivo dal profondo del cuore.

domenica 7 novembre 2010

Oggi è peggio che nel “1984” di Orwell. In quel romanzo si ipotizzavano macchine che capaci di fabbricare romanzi e canzoni. Oggi i cliché della narrativa e del cinema sono talmente standard e talmente prevedibili che è come se ci fossero davvero dei macchinari in funzione per creare le storie da propinare ai lettori e telespettatori. Nel romanzo di Orwell l'idea che le macchine fabbricavano romanzi e canzoni serviva a mostrare la disumanità della società. Oggi è peggio che in quel “1984”, anche senza quelle macchine (per adesso!) perché la società è disumanizzata anche più di allora. “Ma come, non guardi le partite della nazionale?” mi chiedeva un collega con espressione attonita. “Davvero non hai mai letto un libro di questi autori?” mi chiedeva basita la collega che aveva appena sciorinato un elenco di nomi che non avevo mai sentito prima (o forse avevo sentito e dimenticato un attimo dopo). “Ma allora che razza di musica ti piace?” mi sgridava un collega a cui incautamente avevo detto che nel campo musicale da troppo tempo regna la desolazione (è la pura verità, l'indicibile verità). Siamo messi peggio che nel “1984” di Orwell perché ciò che comandano le mode è legge, ciò che comanda quella legge viene accolto di cuore e con entusiasmo: in “1984”, almeno, erano imposizioni subite con rassegnazione, era entusiasmo ipocrita; oggi invece è entusiasmo convinto, scelgono dal menu preconfezionato per loro e con ciò sono convinti di essere liberi. Il peggior schiavo è quello che mentre vive come uno schiavo crede di non essere schiavo. Oggi è peggio che in “1984” di Orwell.
Anche stavolta mi sono innamorato di un personaggio di una serie televisiva. Da qualche anno a questa parte mi capita sempre più di rado perché ciò che viene trasmesso in TV è di una banalità sempre crescente, banalità che viene forgiata anche attraverso una pessima traduzione e recita dei dialoghi. Oggi, al più, ci si affeziona ad una serie. Oggi l'enigma è: “come andrà a finire”. Oggi il cruccio è: “faranno morire questo personaggio o faranno uscire uno che prenderà il suo posto per fare giustizia?” Oggi ci si interroga sulla trama, non sui personaggi. Ieri era possibile innamorarsi di un personaggio e di seguire la serie sceneggiata pensando ogni volta: come mi sarei comportato al suo posto? Cosa avrei fatto se fossi stato il suo uomo? Oggi non è più possibile affezionarsi o innamorarsi, perché è tutto un cliché di banalità, è tutto un cliché di immancabili baci, immancabili scene di sesso, immancabili lieto fine (o triste fine) che si possono prevedere fin dai primi minuti. Più è banale una trasmissione, più gente gonfierà il proprio ego pensando “ah, ho capito tutto”, e quindi più spettatori collezioneranno. Una volta si raccontavano storie, si raccontavano emozioni, si raccontava vita vissuta o storie realisticamente possibili. Oggi si raccontano banalità: oggi diventa sempre più raro potersi innamorare di un personaggio.

sabato 6 novembre 2010

Ecco un'altra donna troppo suscettibile e... capace di perdonarti solo quando vede regali. Anche questa è una sottile forma di prostituzione. Sottile e ipocrita: lei non si sente una baldracca perché non ha mai commerciato con quelle cose, però il suo rapporto con gli uomini è una continua compravendita di sentimenti. “Mi sento offesa: con che regalo intendi perdonarmi?” Un uomo come me non ha molto margine per contrattare il prezzo: o paga o perde l'amicizia. Donne del genere sono talvolta così ferrate in questo commercio di sentimenti che sono disposte a perdere tutte le amicizie pur di mantenere fisso il listino prezzi. Non voglio nemmeno aprire il discorso del saper perdonare di cuore: voglio solo biasimare quella suscettibilità artificiale su cui è fondato quel commercio di sentimenti che non è molto distante dal commercio del proprio corpo.

venerdì 5 novembre 2010

Quando un uomo si sente stanco, seccato, affaticato, frustrato, la prima idea che gli passa per la testa è il sesso. In realtà cerca la compagnia di una donna, cerca una donna che lo consoli (poiché un amico, anche grande amico, non basta), cerca una compagnia femminile che lo “completi”. Ma inevitabilmente, prima che alla delicatezza femminile (la vera delicatezza, quella che sa capire quale è il cruccio del suo uomo e sa rispondere in modo adeguato), l'uomo pensa al sesso. Sono convinto che storicamente non è mai stato così. Solo con la rivoluzione sessuale degli ultimi cinquant'anni l'uomo si è trasformato in bestia ordinariamente assetata di sesso: tant'è che si contenta del sesso virtuale, si contenta di parlare di sesso per ore intere senza annoiarsene mai, si sente importante e maschio solo se “dimostra” (più con parole e insinuazioni che con gesti concreti) di essere pronto a far sesso. Si sente solo e triste, e cerca il sesso: è lo stesso meccanismo per cui certe persone, quando avvertono malinconia, cominciano ad ingozzarsi. Mangiare (e ancor più il mangiar troppo) non è un rimedio alla malinconia, così come il sesso non è un rimedio alla solitudine, così come la droga non è il rimedio al mal di vivere. I mali dell'animo umano non si curano strapazzando il corpo con medicine, cibo, droghe, sesso.

giovedì 4 novembre 2010

La mia donna ideale? Difficile definirla. Quelli che in una considero difetti, in un'altra donna considero pregi. Il carattere è più importante del corpo, perché la donna non è solo un giocattolo sessuale. Voglio una donna anticonformista. Oggi il conformismo impone che le donne debbano essere un po' baldracche? Voglio una donna pulita, che non sia inquinata dal moralismo borghese ma non sia nemmeno inquinata dal libertinismo idiota donatoci dall'ultimo mezzo secolo di rivoluzione sessuale. Oggi la moda impone una figura di donna che è contemporaneamente preda e cacciatrice, che vuole apparire dolce (ed eventualmente pura) ma è maliziosa e vendicativa (ed eventualmente egocentrica). Desidero una donna normale, che sia capace di amarmi perché è già capace di non odiare se stessa. Nella misura in cui una donna odia se stessa, è incapace di amare un uomo. Le donne che odiano se stesse dovrebbero restare tutte zitelle (e infatti normalmente finiscono zitelle, anche se sono passate attraverso molti letti maschili).

mercoledì 3 novembre 2010

I fuochi d'artificio sono una delle manifestazioni più imbecilli della nostra epoca. Rumori ed eventualmente colori, ad un costo tutt'altro che irrisorio. Tutto qui: rumori e qualche luce, fracasso e qualche colore. Tutto qui.
La rivoluzione sessuale anziché liberare la gente l'ha ingabbiata in schemi prefabbricati. Single? Sei un relitto. Fedele? Sei antiquato. Pudico? Sei bigotto. Gay? Sei all'avanguardia. L'oppressione sessuale è anzitutto verbale. Tanto baccano sull'omofobia, e siamo arrivati all'obbligo dell'eterofobia. Tanto baccano contro la morale bigotta borghese, e abbiamo ottenuto un libertinismo ipocrita e, a suo modo, altrettanto bigotto e altrettanto borghese. Odiavano (giustamente) la bigotteria e hanno rimediato con una sessualizzazione esasperata, sessualizzando perfino coloro che non hanno ancora l'età adulta (dove per “età adulta” voglio intendere l'età in cui si possono fare scelte ponderate ed equilibrate e non dettate dalle tempeste ormonali e dalle mode calate dall'alto). Odiavano il legalismo borghese ed hanno inventato un nuovo legalismo, ancora più borghese: quello le cui frasi cominciano con “ma che c'è di male?”

martedì 2 novembre 2010

A cena dall'amico sposato. Moglie nevrotica, bambini iperattivi. Impossibile parlare di qualsiasi cosa eccetto delle smancerie di una mamma nevrotica. Se fossi cristiano penserei di aver fatto un'opera di bene: per una buona sera l'amico non ha avuto di fronte soltanto le nevrotiche ossessioni della propria moglie. Nemmeno per sogno gli suggerirei di divorziare, perché sarebbe come suggerire la ghigliottina a chi ha l'emicrania. Però mi dispiace per lui perché questo è il prezzo che si paga per aver voluto sposare una bella donna.