lunedì 11 agosto 2014

Ora lei non mi risponde da più di un mese. Non mi ha cancellato da skype. Vuole tenere il broncio e aspettare che io faccia un passo avanti. Non sopporto l'idea di doversi trattare da estranei in attesa che uno dei due si decida a recitare la parte del chiedere perdono (poiché la mia non sarebbe una recita: io sono pressoché sempre capace di essere sincero). Così sto resistendo alla tentazione di chiamarla. Voglio proprio vedere quanto dura. So che durerà ancora un bel po' perché siamo in estate. Starà andando al mare. Con la sua comitiva di bellimbusti e di viscide amiche. Tutti preoccupati di appaiarsi o di trovare qualcosa da sfruttare (anche solo guardando, anche soltanto fantasticando). Magari è stato proprio qualcuno della comitiva a sparlare di me e a metterle qualche strana idea in testa e a convincerla che sono io quello che deve farsi perdonare. E che il prezzo del perdono deve essere fastidiosamente alto e umiliante. Oppure semplicemente io non sono mai stato nessuno per lei, al più un animale da compagnia nei momenti in cui nessuno della comitiva è presente sul suo facebook. La gente, infatti, ha le sue cose da fare. La gente ha una vita piena di impegni. Lei no. Lei vive in attesa di un evento. Vive in attesa di qualcosa che non arriva mai. Non sa neppure lei cosa. Non lo desidera nemmeno. Vive come quando sta davanti alla tv in attesa che trasmettano qualcosa di interessante, subendo programmi e pubblicità che continuano ad annoiarla. Per lei vedermi umiliato significherà potersi vantare con qualcuno di avermi dato una bella lezione. Di aver scoperto un mio errore nei suoi confronti in modo che lei - novella principessa - potesse riflettere e decidere quale scotto farmi pagare prima di guadagnare il suo perdono. Quando saranno passati diversi mesi, forse dimenticherà tutte queste scemenze, e tornerà a contattarmi.

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