venerdì 7 ottobre 2011

È andata dall'avvocato per chiedere un consiglio. Per chiedergli consiglio bisogna ovviamente pagarlo. L'avvocato la ascolta per una mezz'ora, quasi senza parlare. La interrompe una sola volta: l'avvocato dell'avversario “è una brava persona, un professionista”. Come, scusi? In quel momento lei ha capito che la cricca degli avvocati non fa le “cause” ma fa le farse. In tribunale sarebbe stata tutta una farsa. I due avvocati erano d'accordo. Ma lei non poteva più facilmente uscire da quella tenaglia mortale. Stava pagando un avvocato che era già intenzionato a farle perdere la causa perché l'avvocato dell'avversario “è una brava persona”. Magari gli deve un favore. E lei che lo pagava per farsi utilizzare come pedina di un gioco più grande. Paga per il consulto e va via col cuore in gola. Si ferma a piangere prima di uscire dal portone. L'avvocato le ha venduto chiacchiere e la sta tradendo. Cosa fare? Gli amici consiglieranno di denunciarlo, di abbandonarlo, di fare chissà cosa, ma giunti a questo punto della causa, dopo anni di combattimenti, vale ancora la pena protrarre la farsa? Vale davvero la pena alzare la posta? Si fa prima a lasciare andare avanti l'ingiustizia. Si fa prima a lasciar perdere la causa (nonostante l'avversario abbia sempre avuto torto marcio). Le battaglie legali sono fatte per chi ha i milioni in tasca, non sono fatte per la gente che semplicemente chiede giustizia. Il mondo dei tribunali e degli avvocati è spaventosamente marcio. Un avvocatuccio qualsiasi che voglia far carriera, che gode di uno studio prestigioso, che ha un favore da fare a qualche altro avvocato... lei lo ha pagato, per ottenerne solo guai, anni di guai, anni di ansie e di ingiustizie.

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