mercoledì 2 novembre 2011

La solitudine del cucinarsi un po' di pasta, di domenica, da soli. Il dover fare in fretta, per evitare che qualcuno degli altri rientri e pretenda di pranzare, certamente aiutando, ma sicuramente sporcando altri piatti e stoviglie e procrastinando inutilmente il pasto. Metto in pentola l'acqua calda, perché così arriva a bollire prima. Prendo una delle confezioni di pasta già aperte, ci saranno duecento grammi ma è meglio così perché il sabato sera ho cenato in modo fin troppo frugale. La solitudine del cucinare da soli: seppellisco minuziosamente la confezione vuota nel fondo della pattumiera, perché nessuno se ne accorga, perché nessuno abbia da calunniare su quanta pasta effettivamente consumo in loro assenza. Non preparo nessun condimento, tiro fuori un piatto di plastica usa e getta, con la forchetta giro la pasta mentre si cuoce e assaggio continuamente. Questi assaggi sono il mio antipasto: anche se mezzi crudi, sono il mio aperitivo. Finalmente è cotta: scolo con perizia, senza usare lo scolapasta, e verso tutto nel piatto usa e getta. Con la stessa forchetta lo buco da un lato, lì dove sporge sul lavello, in modo da far defluire l'acqua residua. Aggiungo un po' d'olio. Mangio in piedi lì, davanti al lavello, con avidità. Un rumore mi fa voltare di scatto, ma per fortuna non è ancora la porta, non è ancora rientrato nessuno, dopotutto sono le 13:30 e ho ancora l'alibi per aver pranzato da solo. Seppellisco accuratamente nella pattumiera anche il piatto bucato, ho dunque sporcato solo una pentola e una forchetta, che lavo in fretta e ispeziono un'ultima volta prima di riporle con attenzione lì dove erano venti minuti prima. Sì, in poco più di venti minuti ho preparato la pasta, l'ho mangiata in bianco con un po' d'olio, ho lavato e fatto sparire le prove. Esco dalla cucina come un ladro, dando un'ultima occhiata per accertarmi di non aver lasciato prove: mangiano come lupi ma quando vedono uno che mangia in loro assenza subito sono pronti a gridare che la dispensa è vuota. Contribuisco alla spesa comune e mangio meno di quel che effettivamente pago e mi tocca perfino studiarmi il momento in cui mangiare da solo. È uno strano piacere, un curioso assaggio di solitudine, un doloroso ma gradevole momento di pace mangiare da solo, più guardingo di un ladro, più frugale di un povero pensionato.

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