giovedì 24 novembre 2011

Una delle cose che più odio. Il suo ghigno beffardo. “Cos'è questa roba?” mi chiede sarcastico. In un momento mi sale la pressione a diecimila. Mantengo il contegno e rispondo velocissimo: “esattamente quello che mi è stato chiesto dieci volte consecutive”. Colpito. “Ma non si può usare, non possiamo aggiungerla come dicevo...” Ottima reazione, ma l'istinto mi ha già trasformato in un lupo incontrollabile: “se non va bene la rifaccio daccapo”. Un momento di pausa, e proprio mentre sta per aprir bocca do un'altra bordata: “sono già impegnato con l'altra faccenda, ho bisogno di tempo”. Da vecchio speculatore va in stop-loss: “va bene, va bene” guardando altrove. Torno al mio posto, trattenendo la tentazione di sbuffare e cercando di non mostrare il mio volto ai colleghi. Passo un intero pomeriggio cercando di non pensare ad altro, cercando di non ricordare quanto si diletti ad umiliare inutilmente i sottoposti, assegnando compiti fastidiosi, incarichi insignificanti proprio nelle settimane in cui il lavoro si fa più duro. È un maledetto mobber, come tutti quelli del suo livello, arrivati a comandare senza aver mai avuto bisogno di obbedire, incapaci di pensare, incapaci di progettare, incapaci di agire, incapaci di intuire, pronti solo a menar giù una telefonata quando si accorgono che un incarico qualsiasi può essere rifilato a qualcuno dei sottoposti. Un vecchio sbruffone, nonostante abbia la mia stessa età. “Cos'è questa roba?” Infuriarsi significava dargli ragione. Fingere di non capire il sarcasmo significa dargli un colpo sotto la cintura. Ma non avevo previsto la sua ultima via d'uscita: assegnare quello stesso incarico -fastidioso e impossibile- al collega che mi difende di più. Se l'azienda fosse seria, dovrebbe licenziare in tronco chi fa mobbing, e dovrebbe licenziare ancora più in tronco chi fa mobbing in modo da creare odio e divisioni tra i dipendenti “fatturanti”, quelli che producono, quelli che col loro malpagato lavoro tengono in piedi l'azienda.

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