venerdì 20 gennaio 2012

Cioè, ritrovi su internet il curriculum di quel tuo compagno di classe, quel perdigiorno, quel che lasciò tutto per correr dietro a una gonnella e poi lasciò di nuovo tutto quando la gonnella lo piantò... Ed ora ha un curriculum che sembra una sinfonia di Beethoven, collaborato di qua, lavorato di là, socio lì, fellow member là, associato qui, consulente là... la prima cosa che ti chiedi, mordendoti il labbro per l'invidia, è “come ha fatto?” Poi cerchi di negare, di fartene una ragione: avrà esagerato lì, barato là, spacciato fischi per fiaschi, vendute lucciole per lanterne... E poi ancora ti rendi conto che alcune delle cose sono semplicemente irrealistiche e desideri dimostrarlo per tutte, vorresti che la sua ignoranza proverbiale dimostrasse l'insulsaggine di tutte quelle associazioni e aziende dai nomi stratosferici. Finalmente finisce l'invidia e riaccendi il cervello. Nel mio curriculum posso vantare poche cose. Durante la vita ero impegnato a vivere, non a cercare titoli e trofei. E nella scuola come nel lavoro ho appreso la più estenuante e odiosa delle lezioni: che va avanti non chi merita ma chi ha la parentela giusta. Non chi ha studiato, ma chi è stato amicone e compagnone di tizio e caio. Non chi ha lavorato per rendere realtà un progetto, ma chi ha barato con la realtà e con i progetti. Forse è ancora la voce dell'invidia. Però a guardare il mio curriculum, così scarno, così misero di fronte al suo, il primo grido che ho dentro è quello: durante gli anni della mia vita, ero impegnato a vivere, non a leccare piedi.

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