lunedì 2 gennaio 2012

Recentemente ho commesso l'errore più infame, quello che auguro ai miei peggiori persecutori. Nel presentare tutti gli esattissimi motivi per cui un certo incarico non si può fare, ho espresso all'ultimo momento una mia opinione: “secondo me” (già bastavano queste due parole per condannarmi) “è inutile mobilitare sforzi e persone” (errore! errore! queste parole giudicano l'operato di un imbecille senza dimostrare, in modo comprensibile ad un imbecille, la sua imbecillità). L'errore è stato tanto più infame in quanto, a distanza di meno di un giorno, ciò di cui avevo espressamente negato l'esistenza, si è rivelato esistente e a portata di mano. Ciò che io dicevo faticoso per mesi, diventava accessibile in un giorno o due. Mi sono insomma giocato, per lungo tempo, tutta la (pur magra) reputazione che avevo faticosamente accumulato in tanti anni. Quella merda del capo, una vera volpe, anzi, una serpe, ha evitato di rispondere. Ha conservato il mio appunto, pronto a tirarlo fuori quando aprirò di nuovo bocca: vedete? lui è quello che ha da opinare sulle decisioni che noi autorevolmente prendiamo, lui è il disfattista che pensa -senza dimostrare- che noi sbagliamo, lui è quello che crede di sapere più di me e addirittura più di quell'altro lì che ha duecento dipendenti... Quella sera non riuscivo a dormire. Alle due di notte ancora mi rigiravo nel letto. Il giorno dopo un silenzio tombale su tutta la faccenda non fece altro che farmi bruciare ancora di più i nervi: la sera pure continuai a rigirarmi nel letto fino alle due. La sconfitta totale continua a farsi sentire. Assorbire una autoinflitta bastonata come quella, restando in mezzo ai lupi che sorridono perché sanno che la potranno riutilizzare contro di te almeno per diecimila volte, richiede un tempo lunghissimo, richiede di cambiar aria.

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