martedì 24 gennaio 2012

Ti svegli al mattino quasi gridando: “perché? perché?” Ti sdocci pensando a come sia bello tornare a letto, ma non puoi permettertelo. Ti vesti pensando a quale scusa trovare per non andare, ma non te ne viene nessuna. Esci di casa con un groppone in gola, tentando di consolarti pensando che dopotutto dopo poche ore sarà tutto finito. Arrivi lì e ti siedi aspettando il tuo turno, perché il mondo gira attorno a loro e non attorno a te. Finalmente entri, ed il losco figuro ti guarda in volto, come se stesse per dire: “ho scoperto il tuo peggior punto debole: sei finito”. Il tempo non passa mai e loro sembrano trovare ogni scusa per trattenerti più del necessario. Finalmente è finita, puoi uscire. “No, aspetti lì, un momento soltanto”. Dopo un “momento” di oltre quaranta minuti finalmente ti viene concessa udienza, quella per la quale hai bruciato mezza giornata di lavoro. E cosa ti vien detto? Proprio ciò che temevi: niente. Nemmeno un “no”. Forse pensavano che “no” sia poco gentile. Per cui i “sì” li dicono ad alta voce, ed i “no” li lasciano sottintesi. Mezza giornata di fatica per due minuti e mezzo di udienza nella quale non viene data risposta a nulla: devi capirlo tu che è un “no”. Maledetto galateo moderno.

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