lunedì 9 gennaio 2012

Una delle cose che più mi danno raccapriccio sono le tesi di laurea. Leggere una tesi di laurea è come entrare in un mondo chiuso, un mondo in cui l'autore tratta elegantemente ogni più piccola quisquilia del pelo del cammello, ma non ha mai visto un cammello di persona, magari neppure in fotografia. Sfogliando anche in formato PDF una tesi di laurea, avverto l'odore di aule polverose, di studenti sull'orlo di una crisi di nervi, di fogli di carta che strisciano sotto penne e matite, di sbadigli e di ipocrisie, di sigarette e di isterie, di canzonette e di imprecazioni contro il prof di turno che ha cambiato le carte in tavola all'ultimo momento. La tesi di laurea è qualcosa destinato ad essere dimenticato il minuto dopo che si è usciti dalla discussione. Qualcuno, avventatamente, ne fa una bandiera d'orgoglio: ma è un azzardo, perché chiunque abbia frequentato almeno un anno l'università sa benissimo che ciò che hai descritto e creato non nasce da una tua passione, ma dal modo più efficiente che hai trovato per assecondare i tuoi professori, per cavare il miglior voto possibile con la minor fatica possibile, per toglierti dai piedi quell'ostacolo burocratico ed avanzare di carriera. Per questo le tesi di laurea sono raccapriccianti. Descrivono, con gran pompa e gran burocrazia, ciò che in teoria doveva nascere dalla sete del sapere, ciò che in teoria doveva nascere dalla passione per la realtà, ciò che in teoria doveva qualificare il meglio di ciò che sei, ed invece non è altro che una recita, un gioco dalle parti, una finzione ipocrita funzionale ad un riconoscimento burocratico.

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