giovedì 12 agosto 2010

Intontito, leggevo ad alta voce le parole che vedevo sullo schermo: “donna tu sei mia e quando dico mia dico che non vai più via”. Non sapevo che erano le parole di una canzone e perciò dico subito quello che penso: “che squallido maiale, quanta volgare violenza”. Cala un silenzio palpabile in ufficio. Dopo qualche istante una collega decide che non ho ancora capito il silenzioso gelo di rimprovero e con acredine quasi grida: “ma è Battisti!” Il peggior affronto che si può fare ad un cantante è declamare i suoi versi senza musica. Le melodie attenuano l'apparenza del significato delle parole, così come il miele attenuerebbe il sapore dell'arsenico. Quelle parole sono violenza. La donna che ascolta quella merda di musica è una donna che odia se stessa. “Ma stai decontestualizzando...” tenta invano di aggiustare il tiro. “Violenza”, insisto. Un uomo che ama non ciarla in quel modo, non urla come un rozzo barbaro il suo possesso. In italiano le parle “sei mia” non significano “non desidero altro” ma indicano un possesso. Cosciente o incosciente, quella testa di palta cantava un amore che è possesso, cioè non è amore. Insegna alle donne a odiare se stesse e confonde l'amore con il farci sesso. La rivoluzione dei costumi, durata tutta la metà del ventesimo secolo, ha trasformato l'amore tra un uomo e una donna in una faccenda di sesso e di possesso mascherata da ipocritissime parole poetiche.

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti vengono generalmente pubblicati solo dopo l'approvazione dell'autore del blog.