venerdì 22 aprile 2011

Dopo la menopausa quella donna aveva sviluppato lo spirito imprenditoriale nel campo immobiliare. Comprava una casa, dava una ripulita e un'imbiancata alle pareti, un'aggiustatina ai servizi igienici o ai termosifoni, e nell'arco di un anno la rivendeva a prezzo maggiorato, scremando un guadagno sempre più considerevole. Il mercato delle case andava ancora a gonfie vele. Era orgogliosa dei suoi successi, un po' meno orgogliosa del figlio sbalestrato e della moglie isterica di costui. Ad un certo punto, mentre il mercato cominciava a rallentare, volle tentare un'operazione alquanto ardita. Ebbe la faccia di bronzo di chiedere un prestito al figlio e alla nuora: diamine, due stipendi, potranno ben partecipare a questa operazione che ci arricchirà. Né loro né la banca ne vollero sapere. L'operazione non andò in porto ma prima che le venisse un magone micidiale aveva già comprato un'altro appartamento e si apprestava a rivenderlo. Con dispetto si accorse che era difficile rivenderlo. A quattrocento era impossibile, a trecentottanta non lo voleva ancora nessuno. Eppure al pianterreno hanno venduto a trecento un bugigattolo malridotto! Trecentosessanta, ancora nessuno. Doveva venderlo assolutamente, doveva “rientrare”, a costo di andare a pareggio doveva venderlo. Trecentocinquanta e nessuno si faceva avanti. Sarà l'estate, aspettiamo settembre. Nessuno. Un imprevisto fattaccio di cronaca nera nella zona rese ancora meno appetibile l'acquisto, con la crisi immobiliare che gonfiava sempre di più. Un mattino in treno le capitò di ascoltare una conversaione tra due persone. Parlavano della vendita di un grosso appartamento. “Nel 1971 suo padre aveva appena cominciato a lavorare, lo pagò quattordici milioni. Ora vuole venderlo a cinquecentomila”. “Perché cinquecentomila?” “Sai, sono cinque figli, e ognuno di loro voleva centomila euro”. Cifra tonda. Il valore dell'appartamento era stato fissato in base alla cifra tonda moltiplicata per cinque figli. Quattordici milioni di lire, nel 1971, erano poco meno di tre anni di stipendio. Cinquecentomila euro, per quello stesso mestiere e quella stessa specializzazione, sono trent'anni di stipendio. In quarant'anni, una casa comprata a “tre” vogliono rivenderla a “trenta”, come se l'invecchiamento e l'uso ne avessero decuplicato il valore. Fra quarant'anni, allora, pretenderanno “trecento” anni di stipendio? La donna restò talmente scioccata nell'udire quella conversazione surreale, che fu tentata di non scendere dal treno per continuare ad ascoltare e ripensare all'assurda lievitazione di prezzi degli immobili. Stava chiedendo trecentocinquantamila euro per un appartamento. Tentò di darsi una giustificazione: l'ho pagato trecentotrenta, lo rivendo a trecentocinquanta con un po' di manutenzione fatta, ci vado quasi a perdere. Ma possibile che un appartamento debba costare (in termini di salario reale) dieci volte il prezzo che aveva quarant'anni fa? Possibile che con quel “basso” prezzo (appena trecentocinquantamila) si facesse fatica a venderlo? Possibile che il mercato immobiliare stia arretrando proprio perché il prezzo delle case è assurdamente alto rispetto al loro valore? Possibile che ci sia stata gente che ha speculato su case pagate “tre”, rivendendole a “trenta” (da 14 milioni di lire a mezzo milione di euro) dopo averle utilizzate per vari decenni?

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