venerdì 24 giugno 2011

Il capo impone degli obiettivi da raggiungere. Ci vogliono cinque minuti per spiegarli chiaramente, lui impiega tre ore di riunione per delinearli in una maniera che dire confusa è dir poco. All'avvicinarsi della scadenza, vista l'oggettiva impossibilità di raggiungere i risultati, un sottoposto va a presentargli le correzioni indispensabili per salvare capra e cavoli. Il capo, come se recitasse la parte di uno psicotico, nega ad una ad una ogni possibilità, preparandosi contemporaneamente ad utilizzare quel sottoposto come capro espiatorio. Morale: non conta niente raggiungere i risultati, anzi, è deleterio proporre qualcosa per ottenerli, è pericoloso prendere iniziativa. Come i carcerati del periodo staliniano, l'importante è mantenere costantemente un atteggiamento formale, freddo, asettico, senza emozioni. Il capo rispetta più le macchine che le persone: perciò con il capo bisogna essere delle macchine. Ho grande stima per quell'uomo calvo che era riuscito ad essere una macchina, al punto da permettersi di dire “sono le diciotto, riprendiamo domani”, alzarsi ed andar via. Se io mi permettessi una cosa del genere me la farebbero pagare assai cara: invece quell'uomo calvo è riuscito, con il freddo esercizio e la fredda precisione lungo freddissimi anni, a “stabilire il precedente” per cui alle diciotto in punto stacca, qualsiasi cosa succeda al mondo. Lo invidio per il risultato ottenuto, ma non lo invidio per essere diventato una gelida macchina umana.

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