martedì 19 luglio 2011

Il nonno finalmente rientrò in cucina. “Se ne sono andati”, disse la nonna senza neanche guardarlo. Il nonno avrebbe voluto bofonchiare qualcosa, ma non riuscì a trattenersi dal chiedere a mezza voce: “ce ne sono ancora di patatine?” La nonna si girò lentamente e gli porse la scodellina con gli ultimi avanzi e tornò a dargli le spalle. Il nonno divorò le ultime briciole rimaste cercando di non far notare l'avidità. Da piccolo le aveva sempre desiderate, ma erano una cosa da ricchi. Per una vita intera aveva dovuto accontentarsi. Ed ora la figlia viziava -sì, viziava- quei due imbecilli di nipoti. Cenavano con gelato e patatine, due lussi che ai suoi tempi -sì, ai suoi tempi- erano solo per i figli dei ricchi, e solo per la domenica. Le due piccole pesti invece ne godevano tutti i giorni, sospendendo solo in caso di cibi di altrettanto livello di lusso. Il nonno si accorse di essere ancora in piedi. Ricordò quante volte, da giovane, aveva pranzato in piedi, cenato in piedi, fatto colazione (quelle rare volte in vita sua che aveva potuto far colazione) in piedi. Ai bambini avevano invece riservato il migliore dei cuscini e la migliore delle tovaglie per... farli giocare sul pavimento, farli riposare a terra! Quello che all'epoca era un'umiliazione, quello che poi verrà ricordato come segno di onore, oggi per loro è un gioco. Un cuscino perché i signorini non riescono a sedersi sul pavimento! Briciole di patatine dappertutto, il cuscino mogliore a raccoglierne ed a sporcarsi di polvere e di impronte di scarpe, e il nonno che in vita sua aveva dovuto dormire tante volte sulle sedie, a volte addirittura seduto, il nonno che si era sentito finalmente ricco quella prima volta che dormì nel camion ringraziando che non piovesse né nevicasse. I due pestiferi bimbi erano tanto stupidi quanto viziati, e si godevano i lussi che lui in vita sua aveva solo potuto sognare. Ancora un anno fa questo gli avrebbe messo tristezza. Ora era davvero vecchio, e non ce la faceva più neppure ad arrabbiarsi. Si vergognava anzi della sua avidità, del consumare le briciole e gli avanzi proprio come ai vecchi tempi. Una generazione se ne va, un'altra comincia ad invadere il mondo. La generazione di coloro che ebbero da sacrificarsi mangia residui di patatine sprezzando la cartella clinica, la generazione di coloro che come massima sofferenza hanno conosciuto talvolta i lussuosi salatini piuttosto che le lussuose patatine viene ora invadendo il mondo. I nonni avevano imparato a soffrire, i loro figli hanno beneficiato della sofferenza, i figli dei loro figli non sanno più cos'è il sacrificio, cos'è la sofferenza, cos'è il dover mendicare, cos'è il lusso conosciuto solo per sentito dire. Le generazioni che hanno sofferto hanno anche costruito (l'Italia del dopoguerra è stata rifatta da coloro che avevano dovuto subire gli effetti e le miserie della guerra), le generazioni che non hanno mai avuto da soffrire e da sacrificarsi non sanno far altro che consumare, pretendere, esigere, piagnucolare perché giovedì scorso a merenda accanto al gelato anziché le patatine c'erano i salatini. Il nonno avrebbe voluto ripetere per la millesima volta tutte queste cose alla nonna, ma si rendeva conto che non era quello l'uditorio che avrebbe dovuto ascoltarlo. Tornò in camera da letto sulla vecchia poltroncina che non lo aveva mai tradito, l'unico grande lusso della sua vita, comprata per un pugno di pane da dei ricconi che avevano visto distrutta la loro casa da una bomba degli americani. Si sedette come sempre, come prendendo possesso del suo trono, stendendosi sui braccioli e reclinando leggermente il capo. Chiuse gli occhi, e per qualche attimo immaginò di stare in piedi sulle macerie fumanti, con gli abiti anneriti e strappati qua e là, con il cappello unto e bisunto e calcato sulla fronte, urlare a degli scansafatiche qualsiasi che anche se la guerra era finita da tanto tempo c'era da rimboccarsi immediatamente le maniche e dar su di olio di gomito, perché gli uomini veri sanno di essere fatti per costruire, gli uomini stupidi pensano di essere fatti solo per distruggere. Gli sembrò di vedere un bambino di otto anni fermarsi davanti a lui. Avrà avuto l'età dei nipotastri viziati, ma aveva un'aria di chi desidera ascoltare ancora, di chi ha sete di parole sagge. Si figurò di saltar giù dal muro squarciato continuando a lodare le virtù degli uomini capaci di costruire, capaci di sacrificarsi, capaci di riconoscere che la fatica è una dimostrazione di un lavoro ben fatto e che il dolore è la conferma della stupidità di certuni che... Sentì nelle orecche come un frusciare di foglie, sentì di aver voglia di piangere, lui che non piangeva da quando aveva nove anni, sentì come se le lacrime gli stessero per bagnare il volto. Il suo unico ascoltatore, sorridendogli, cercava di trascinarlo qualche metro più in là, al centro della strada o di ciò che ne rimaneva e lui, senza sapere perché, oppose ancora un po' di resistenza, almeno finché non lo guardò negli occhi.

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