venerdì 11 febbraio 2011

Le tre amiche ciccione, probabilmente un po' ubriache, che saltellavano e ballavano nella metropolitana. Dev'essere triste, la solitudine. Dev'essere tanto triste l'essere scartate e umiliate per quei chili di troppo. Lancio uno sguardo involontariamente lungo (pochi decimi di secondo) ad una delle tre. Se ne accorge. La vedo appendersi ad uno dei sostegni, come una bambina scatenata (e temo per il sostegno, poco abituato ad un simile stress meccanico). Le accenno un sorriso. Ti sono vicino, vorrei esserti vicino, vorrei darti quelle coccole che pensi ti siano sempre state negate a causa di quei rotoli di lardo. So cosa provi: anch'io sono scartato e umiliato ogni giorno, per fattori tutto sommato secondari (aspetto fisico, condizione economica, e stupidate simili). Ti capisco, ti vorrei esprimere la mia solidarietà. Ti sei rifugiata nell'alcool come le tue coetanee ed ora ti senti meno inibita a danzare come una scimmietta. Il destino ci separerà: io scenderò qualche fermata dopo la tua. Non posso seguirti, non posso approcciarti, perché sei troppo giovane e penseresti a qualcosa di cattivo, qualcosa di sporco e morboso. Perciò ti saluto con un ultimo brevissimo sguardo, un ultimo brevissimo sorriso, augurandoti di trovare uno come me, uno che guarda prima al cuore e poi alla pancia, uno che desidera amare piuttosto che uno che desidera scopare, uno che sappia cosa significhi essere guardati con commiserazione o con sufficienza, che sappia cosa significa essere presi in giro e umiliati per una qualsiasi differenza dai Canoni Fondamentali della Bellezza. Chissà se ti rivedrò mai, in questa metropolitana dove scorrono interminabili fiumi di persone di ogni colore e di ogni forma.

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