giovedì 26 maggio 2011

Una donna che soffre per dei mali che non si è inflitta lei stessa, ai miei occhi è una donna più attraente. “Attraente” è una parola che oggi indica solo le solite curve. Ma nel suo significato originale indica “qualcosa che ti attrae”. Il mio cuore è più vicino ad una donna sofferente, poiché la sofferenza è un'ingiustizia profonda, e sento come giusto l'esserle vicino e (per quanto mi sia possibile) tentare di alleviare la sua sofferenza. Che, se si tratta di solitudine, è anche la mia sofferenza. La solitudine è una delle peggiori ingiustizie, e almeno per buona parte è un'ingiustizia perpetrata da questa società e dai suoi astrusi canoni sull'amore, sull'amicizia, sulla lealtà, sulla fedeltà. Pare facile parlare di “lealtà” o “amicizia” e poi scoprire che dopo tanti sterili e fumosi proclami, la società schiaccia te e tutti quelli che come te hanno creduto in quei valori. Amare una “donna che soffre” non è solo un mio desiderio personale: è anche questione di giustizia. Quella donna con i capelli castani, che soffre per quella terribile malattia, non merita il presunto amore di quel dandy. Merita piuttosto il mio amore sincero. Quel dandy la tratta come un pupazzetto di peluche ed è certamente pronto a piantarla. Io non la tradirei mai, lui l'avrà già tradita. Io non la lascerei mai, lui gioca a fare il duro perché gli piace tenere le redini e far mordere il freno. Alla sofferenza fisica di quella donna, lui aggiunge la sofferenza del cuore: proprio il contrario di ciò che farei io. L'ho detto: è una questione di giustizia. Ma agli occhi di chi conosce il travaglio del mio cuore (e del cuore di lei), le cose stanno bene così. Cinicamente dicono: lei non lo manda via e perciò merita di soffrire anche sul piano sentimentale. Solo io, che le voglio bene sinceramente, soffro insieme a lei.

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