giovedì 7 ottobre 2010

Una vecchia amica mi telefona per chiedermi un'informazione. Doveva essere un'informazione assai preziosa per lei: mi ringrazia tantissimo. Pochi giorni dopo (cioè oggi) mi scrive un SMS per invitarmi ad uno spettacolo teatrale. Detesto il teatro. In altri tempi avrei accettato, solo per uscire con lei. Ma detesto il teatro, specialmente quello moderno. L'istinto mi dice che dovrei approfittare della riconoscenza di quest'amica, convinta che io le abbia fatto chissà che gran piacere nel fornirle quell'informazione che cercava. La parte più timida di me tenta di suggerirmi che lei aveva chiesto quell'informazione solo per potermi invitare ad uscire senza che ciò apparisse come una sua iniziativa, ma solo come gesto di riconoscenza. Troppo poco. La parte più maialesca di me mi suggerisce l'immagine di noi due abbracciati, ma l'intelligenza prende il sopravvento e mi ricorda che se proprio ciò dovesse avvenire vuol dire che un attimo dopo verrei denunciato alla polizia. Nel nostro mondo di single, piccoli eventi come un invito a teatro vengono fabbricati come risultato di una riconoscenza (piuttosto che di iniziativa sentimentale) e diventano pieni di tanti significati tranne quello più ovvio (l'assistere ad una stupida performance teatrale). Corteggiamenti tra single che non vogliono sbilanciarsi: questa è la vera performance teatrale, non l'esecuzione di un copione ma il costruire in tempo reale occasioni, parole, sensazioni, silenzi, messaggi, allusioni, segnali. Segnali, segnali, segnali... Lei costruisce l'occasione per uscire con me ed io ho delle remore perché non mi piace il teatro (ma forse è proprio questo il motivo per cui ha scelto il teatro). I nostri rispettivi meccanismi di difesa organizzano, costruiscono, mandano segnali, segnali, segnali. Io avrei piacere a passeggiare con lei in riva al mare tenendola per mano. Lei probabilmente avrebbe uguale piacere. Ma non sappiamo dircelo, non possiamo dircelo. I segnali che ci lanciamo sono complessi, sono costruiti come una strategia da campione di scacchi. Muove il pedone lì: mossa apparentemente inutile, perditempo, rischiosa. Ma gli outcome di quella mossa diverranno chiari venti mosse dopo. Quella mossa era un segnale, un invito, e non richiede una tua precisa reazione ma prepara le reazioni alle tue possibili reazioni. Uno studiarsi a vicenda, un lanciarsi segnali e segnalini confusi quel tanto che basta da non ammettere l'evidenza. E cioè che sarei contento di averti accanto a me, in riva al mare, passeggiando tenendoci per mano e commentando la forma bizzarra di qualche nuvola... e fermandoci non appena ci torna in mente che la vita è un'altra cosa, ed io ho da fare, e pertanto ti lascio lì. E forse anche tu pensi la stessa cosa, forse anche tu faresti allo stesso modo. Un fascio di innamoramenti tenuti in cuore, un desiderio di avere accanto una donna che non sia semplicemente il solito giocattolo sessuale... eppure, da un momento all'altro, vien voglia di piantarla, di lasciar tutto, di scappare via. Paradossale e grottesco è il fatto che il cercarsi e mettersi insieme è un'opera cervellotica e complessa, fatta di segnali, di inviti “non spontanei” ma di riconoscenza, fatta di ordalie come l'assistere ad uno spettacolo teatrale che non interessa a nessuno dei due, il permanere distaccati quando l'istinto e il sentimento suggeriscono diversamente... il recitare un copione, il copione dell'amicizia mentre sotto sotto cova il corteggiamento. Ma quand'anche finisse tutto come nel più romantico dei sogni, il mal di vivere, la noia, la nostalgia di qualcos'altro (senza neppure sapere cosa sia questo “qualcos'altro”) tornerebbero, e tornerebbero anche la solitudine e l'inquietudine che c'erano prima.

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