giovedì 30 settembre 2010

Ecco un'altra nuova amica. Solito rituale dello scandagliare il suo album fotografico. Ecco le foto in spiaggia. Solito rituale del compulsarle compulsivamente una per una. Bah, pancetta. Bah, linea non eccezionale. Bah, anche lei è “sexy” soltanto perché espone le sue carni alla vista di noialtri maiali. Mi chiedo: perché le sto guardando? Mai vista prima: che urgenza c'è di osservarne la dotazione sessuale? Perché non riesco a fare a meno di eseguire questo rituale? Non sono il solo: a giudicare dai numerosi commenti, sono in tanti ad essere passati e ripassati su quelle foto prima di me. Un rituale a cui non riusciamo a sottrarci. Come se chiedessimo ad una donna appena conosciuta: mostrami il tuo corpo coprendo solo il minimo indispensabile (nel migliore dei casi ne ricaveremmo sganassoni, imprecazioni e la nomea di maniaci sessuali). Nell'ammettere vergognosamente a me stesso che lo faccio solo per inveterata (e apparentemente invincibile) abitudine da maiale, ricomincio a chiedermi perché siano così numerose le donne che lasciano a disposizione del resto del mondo le foto in cui si mostrano in pose provocanti (non solo quelle in costume da bagno). Come se fossero prostitute a caccia di clienti (ah, oggi si chiamano con nomi più eleganti, per esempio “escort”). Oggi il concetto di bellezza femminile è qualcosa di maialesco, è qualcosa di volgare. Quell'esposizione di curve, fatta da donne con ogni probabilità convintissime di non essere né belle né in forma, è il risultato concreto della loro vanità, che non serve ad altro che a far sognare maialoni che non saranno mai una parte della loro vita. La scrofa si mette in mostra, il maiale guarda, fine della storia. Vanità da una parte, maialismo dall'altra: e la solitudine resta uguale a prima.

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