venerdì 24 settembre 2010

Ecco un'altra “richiesta di amicizia” da parte di una donna che non conosco. Il successo di Facebook, come di quasi qualsiasi altro strumento, dipende all'uso improprio che se ne può fare: Facebook nasceva per trovare gli amici di sc uola ed è diventato tutt'altro. Con la donna che mi fa questa “richiesta di amicizia” vedo che ci sono “12 amici in comune”, ma io questa signora non la conosco. Nel cliccare per accettare l'amicizia, il primo pensiero è di uscire con lei. Un secondo dopo (sì, proprio un secondo dopo) scopro che ha una figlia adolescente. Dunque è stata sposata (forse lo è ancora) ed è tuttora mamma: due ottimi motivi per non corteggiarla. Potrei già azzerare questa cosa che il Facebook chiama “amicizia”, perché tra me e lei non c'è niente. Ma non lo faccio perché sono pigro ed ancor più perché mi piace vedere il numeretto del conteggio amicizie aumentare ancora. Più aumenta quel numeretto e più mi rendo conto che gli amici che conosco di persona sono una percentuale sempre più piccola. Più aumenta quel numeretto e più le amicizie normali (non dico le rare “amicizie vere”) sembrano diminuire. Tutta questa tecnologia, nel momento in cui sembra spazzar via la solitudine, ottiene invece l'effetto opposto. Ci fanno compagnia i numeretti. Ci sentiamo soli e ci coccoliamo i numeretti. Un collega di lavoro festeggiava il traguardo delle quattrocento amicizie ed io temevo che lui ripetesse quello stesso rituale festivo per ogni successiva cifra tonda.

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