martedì 22 giugno 2010

L'unico momento in cui si agitano le bandiere e si canta l'inno nazionale è durante le partite di calcio. Il calcio è uno spettacolo. Come nel teatro abbiamo impresari, sceneggiatori, attori, così nel calcio abbiamo presidenti, allenatori, calciatori. Come nel teatro abbiamo compagnie, tour, performance, così nel calcio abbiamo squadre, campionati, partite. Chi va a teatro paga un biglietto: paga per le emozioni che proverà. Chi va allo stadio paga un biglietto: paga per le emozioni che proverà. Il calcio, come tutti gli sport, è fondato sulla vanità, sul sottomettere l'avversario, umiliandolo con il goal. Non c'è giornale che non si occupi di sport e di calcio. Il calcio “fa” il popolo italiano: bandiere, inni, unità di intenti nella gioia (quando si vince) e nella sofferenza (quando si subisce un goal o si perde). La repubblica italiana è fondata sul gioco del calcio. Il popolo italiano è manifestamente tale quando i giocatori della cosiddetta “nazionale” inseguono e scalciano un pallone. Una vera e propria religione, con tutti i suoi miti e riti, con tutti i suoi dibattiti e le sue regole dogmatiche, con tutto il suo significato (tale da poter litigare a morte tra tifoserie opposte, oppure sentirsi tutti in profonda comunione quando la “nazionale” gioca ai “mondiali”). L'inseguire e scalciare un pallone, secondo un insieme di regole che hanno un che di bizantino, frutta ai professionisti cifre allucinanti. Chi lavora e produce viene pagato quel tanto che basta per sopravvivere; chi scalcia un pallone guadagna cifre assurde e, se segna durante i “mondiali”, con buona probabilità diventa un eroe nazionale.

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