martedì 22 giugno 2010

Qualche mese fa un mio collega di lavoro ha avuto un “incentivo” per essere stato capace di risolvere un grave problema in una settimana anziché un mese come era stato pianificato dagli alti vertici aziendali. L'incentivo consisteva in una lettera di encomio consegnata da uno dei manager ed un distintivo aziendale, più un discorso di elogio e di incitamento a continuare a lavorare con l'efficienza mostrata in quel caso. Il giovane collega si è sentito onorato per tale trattamento, che però io ritengo altamente disonesto. Se un dipendente fa risparmiare all'azienda cento euro, gli si diano in premio sullo stipendio almeno cinquanta. Penne, agende, fermacravatte, sono come le perline agli zulù. Il tuo dipendente non è un rimbambito, non puoi regalargli quella spazzatura, che va bene al più come corredo agli auguri natalizi. Figurarsi quel distintivo che all'azienda sarà costato cinquanta centesimi. Poi, considerato lo stipendio del manager che gli ha fatto la predica, quanto è costata quella predica all'azienda? Parecchie decine di euro. Perché non glieli si dava in denaro sonante? Il manager non avrebbe perso un'ora del suo tempo ad elogiare uno che nemmeno conosce, né avrebbe dovuto umiliarlo consegnandogli un distintivo col logo aziendale come se fosse una introvabile reliquia di un santo medievale. Invece no. Il tuo lavoro è merce. L'azienda ti considera un contenitore di merce. Ti premia con un distintivo e una predica, perché tu non dubiti mai che il tuo lavoro è una merce, perché tu non sia mai tentato di pensare che quella merce possa premiare anche te oltre che loro.

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