martedì 1 giugno 2010

Forse dovrei qualificarlo come un caso di mobbing. Ma all'origine di tale mobbing c'è un suo limite, una sua insicurezza. Un milione e mezzo di lavoratori italiani vittime del mobbing, secondo una stima ISPESL. In quel milione e mezzo ci sono anch'io. Ma credo di aver identificato la causa (la strana psicologia del capo) e credo pertanto di aver sviluppato qualche contromisura. Le mie “serafiche” risposte alle sue ansiosissime obiezioni mi faranno passare per un antipatico saccente. Forse anche per scansafatiche (ma qui tutti sanno che se il capo ti accusa di essere scansafatiche, probabilmente non lo sei). Qualche giorno fa ho visto in diretta un altro dei “sottoposti” agire allo stesso modo. Stava raccogliendo le sue cose per andare via senza accumulare troppo “straordinario non pagato”. Il capo pretende controlli, pretende mail, pretende verifiche. Quel “sottoposto” ha resistito alla tentazione di dire “sto andando via, proprio adesso vuoi tutte queste cose?” Ha preferito rimarcare l'inutilità di tutte quelle richieste, rispondendo con un ragionamento sintetico, sembrava quasi un elenco di scuse di chi ha fretta ma centravano bene le questioni. Quando lo vidi parlare così, mi dissi che anch'io dovevo continuare. Il capo assunse un'espressione infastidita, ma tacque per un secondo. In quel preziosissimo secondo di pausa il “sottoposto” infilò la porta dell'ufficio e andò via.

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