mercoledì 22 dicembre 2010

Alla luce di un fioco lampione, con un'aria così densa e fredda che temevi di far rumore a spostarla nel muoverti, con un mare placido alle spalle punteggiato solo dai colori delle stelle, appoggiata al muretto non smetteva di piangere e di domandare, con voce rotta, “ma perché? perché?” Una spiegazione non le sarebbe bastata. Non chiedeva un “perché”, ma chiedeva che tutto tornasse a mezz'ora prima, quando era contenta di avere un uomo, quando era orgogliosa di aver sempre qualcosa da perdonargli, quando la sua preoccupazione principale era cosa avrebbe indossato per questa sera così speciale, speciale come tutte le altre, speciale perché natalizia e festosa. Ma lui era lì a dirle che non avrebbero più potuto vedersi. Era lì a dirle che tutto era finito, che forse non era mai cominciato. Le era impossibile accettare questo imprevisto assoluto. Non aveva mai preso in considerazione l'ipotesi neppure come lontanissima, neppure come pensieraccio vendicativo nei tanti momenti di litigio e nei non pochi momenti di sconforto. Piantata così su due piedi, senza scuse. Lui non era più bello e desiderabile: i tratti del suo volto sembravano cambiati, erano quelli di un qualsiasi delinquente che stanco della solita donna la scarica da un momento all'altro. “Dai, parliamo un po'” le disse, come se le chiacchiere per distrarsi attutissero un dolore. Le lacrime le rigavano il trucco, il bel vestito sgualcito e spiegazzato da quei cinquanta metri di corsa, le scarpine carine sporche, la borsetta ammaccata e graffiata dall'impatto col muretto conservava le strisce di intonaco: il suo aspetto era quello del dramma più nero e più inaspettato. Con la voce rotta e la gola dolorante, gridava ancora “no, non è giusto! ma perché?” Ma non chiedeva una spiegazione, non chiedeva un perché. Lui sarebbe andato via già da tempo, ma sentiva che i passanti curiosi sarebbero stati pronti a chiamare la polizia e vigliaccamente cercava di contenere la disperazione di quella poveraccia, scopata e sfruttata per due anni e otto mesi e appena gratificata del più funesto regalo di Natale che una donna innamorata possa immaginare. Allontanandomi, ripongo il telefonino nel tascone del cappotto. Sta' tranquillo, vigliacco merdoso, non chiamerò i carabinieri se non sentirò urla più convincenti. Squallido merdoso, la tenevi solo come giocattolo da scopare e proprio oggi che lei aveva cominciato a sospettare dell'esistenza di un altro giocattolo l'hai scaricata. Lei voleva essere rassicurata da te e tu l'hai scaricata; lei voleva veder sparire il piccolo dubbio attraverso le tue scuse, e tu l'hai piantata. Avevi una faccia più fredda di un cadavere, avevi una determinazione da boia di professione. L'avevi inseguita per quelle poche decine di metri perché temevi che lei facesse un gesto insano: non era di lei che ti preoccupavi, ma del tuo buon nome, della tua immagine, della tua tranquillità. Sei solo un vigliacco merdoso.

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