lunedì 6 dicembre 2010

“Ti conviene licenziarlo subito”, mi disse. “Altrimenti dovremo pagare, pagare e strapagare: ci conviene?” Avevo sempre considerato i miei dipendenti come poco più che numeretti su una tabella. Stavolta, misteriosamente, non riuscivo a cancellare un numeretto. Mi sarebbe costato solo una recita, una delle tante recite della mia vita, quelle in cui facevo la parte del “non posso fare altrimenti”, quella condita dal “dopotutto è meglio per te e per me”, quella che si conclude con l'inoppugnabile “sarebbe ingiusto se non lo facessi”. Non ero fatto per esitare. Tutte le volte che avevo esitato mi era costato caro. “Stai esitando”, mi disse, come leggendomi nel pensiero. “Le persone non sono numeri”, ribattei. “Stai esitando: ci costerà assai caro questo tuo improvviso attacco di bontà da film per ragazzi”. Sbuffai più per esalare le emozioni che il fiato. Poi, mentre ancora mi osservava silenzioso, gli dissi con quanta maggior gravità potevo: “mi faccia trovare tutte le carte pronte”. Assunse un'espressione che voleva essere un sorriso ma pareva invece il solito ghigno dello squalo davanti alla preda bloccata in un vicolo cieco. Voltandomi verso la tabella dei numeretti sul computer mi resi conto che quella era la mia matricola, quel numeretto da cancellare ero io. E quello squillo sempre più fastidioso era la mia sveglia. Nell'aprire gli occhi, mi dissi: “ma perché?” Per fortuna era domenica mattina: non so se ce l'avrei fatta ad andare a lavorare. Fu quello il giorno in cui smisi di fare jogging.


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