domenica 7 novembre 2010

Oggi è peggio che nel “1984” di Orwell. In quel romanzo si ipotizzavano macchine che capaci di fabbricare romanzi e canzoni. Oggi i cliché della narrativa e del cinema sono talmente standard e talmente prevedibili che è come se ci fossero davvero dei macchinari in funzione per creare le storie da propinare ai lettori e telespettatori. Nel romanzo di Orwell l'idea che le macchine fabbricavano romanzi e canzoni serviva a mostrare la disumanità della società. Oggi è peggio che in quel “1984”, anche senza quelle macchine (per adesso!) perché la società è disumanizzata anche più di allora. “Ma come, non guardi le partite della nazionale?” mi chiedeva un collega con espressione attonita. “Davvero non hai mai letto un libro di questi autori?” mi chiedeva basita la collega che aveva appena sciorinato un elenco di nomi che non avevo mai sentito prima (o forse avevo sentito e dimenticato un attimo dopo). “Ma allora che razza di musica ti piace?” mi sgridava un collega a cui incautamente avevo detto che nel campo musicale da troppo tempo regna la desolazione (è la pura verità, l'indicibile verità). Siamo messi peggio che nel “1984” di Orwell perché ciò che comandano le mode è legge, ciò che comanda quella legge viene accolto di cuore e con entusiasmo: in “1984”, almeno, erano imposizioni subite con rassegnazione, era entusiasmo ipocrita; oggi invece è entusiasmo convinto, scelgono dal menu preconfezionato per loro e con ciò sono convinti di essere liberi. Il peggior schiavo è quello che mentre vive come uno schiavo crede di non essere schiavo. Oggi è peggio che in “1984” di Orwell.

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