martedì 30 novembre 2010

Nella metropolitana stamattina ho udito una conversazione tra due donne, di età apparente sui 25-30 anni (mi correva l'occhio perché erano entrambe molto carine, e quindi ha finito per correre anche l'orecchio). Una delle due raccontava all'altra (che mostrava un certo interesse) una settimana passata in un convento di monache. Senza telefonino, senza TV, senza internet. I primi due giorni “da impazzire”, e il resto della settimana di pace e quiete, tra pranzi poveri ma gustosi e un giardino bellissimo. Ne parlava come se fosse una vacanza alternativa. Ha parlato di tutto tranne della vita delle monache. In monastero si prega o no? Non l'ha detto. Si alzava come loro alle quattro del mattino o no? Le monache hanno orari diversissimi da quelli di un villaggio vacanze. Il nuovo trend del perbenismo borghese è la vacanza in monastero. Lì finalmente non si sente più il trillo del cellulare ad ogni momento, finalmente si sta in un posto senza il rumore di fondo della televisione, e c'è tanto da fare che non c'è tempo per inviare scemenze alla propria pagina su Facebook. Da come parlavano avevo però l'impressione che la preghiera non c'entrasse per niente. Da come parlavano pareva che le monache fossero solo delle gentili albergatrici e deliziose ristoratrici. Sembrava che la settimana di monastero servisse solo a spezzare il caotico rumore quotidiano di trilli-telequiz-facebook. A me non importa niente delle questioni religiose, però mi dà un principio di nausea l'utilizzo improprio delle cose. Una volta la vacanza era per riposarsi: oggi si torna dalle vacanze più stanchi di quando si era partiti. Una volta il monastero era per farsi monaca: oggi si va al monastero per avere un albergo silenzioso e senza TV internet telefonini. Ma niente paura: dura solo una settimana.

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